Quel diffuso odore di bruciato
15/01/2025

Un forte odore di bruciato su un terreno così arido da non far crescere più un filo d’erba: mutuando la definizione di Molfetta fatta da Pietro Mastropasqua, già candidato sindaco del centrodestra, si può dare l’idea del clima politico della nostra città.

“Quindici” ha deciso di intervistare Mastropasqua, già assessore all’urbanistica dell’amministrazione Minervini, quindi un politico che conosce da dento il Palazzo, le cui pareti non sono un mistero per lui. Ancora oggi nel Palazzo si vive lontano dalla gente e dai suoi problemi, impegnati a stappare bottiglie, a festeggiare e a inventarsi successi inesistenti, come aggiunge lo stesso consigliere di opposizione.

Occorre ridare dignità a una città che ha conosciuto gli scandali, le inchieste giudiziarie e che offre un’immagine di sé poco edificante, anche se ad edificare palazzi sono in tanti in una corsa al mattone senza precedenti e senza limiti.
Una città non solo senza più storia, ma anche senza idee, ideali, programmi, prospettive che non siano la cementificazione selvaggia pubblica e privata. Una città sempre sporca e senza decoro.

E la politica cosa propone? Una visione vecchia e superata delle priorità e dei bisogni dei cittadini. Anzi una vera mancanza di visione e di futuro.
Per restare al potere in un ciambotto (mai definizione fu da noi più indovinata e azzeccata) di liste civiche ormai rancide, fatta di personaggi senza qualità e senza mestiere che vivono della politica, grazie alla quale si arricchiscono, favorendo clientele in un meccanismo amicale del quale nemmeno si vergognano, come il governo di destra destra che abbiamo a Roma e che ha fatto dell’amichettismo una regola.

All’opposizione abbiamo forze di destra e sinistra: non è sintomo di indipendenza dell’amministrazione in carica, ma di personalismo e abbandono della politica nella sua accezione più nobile, da parte della maggioranza a favore di una gestione del potere senza ideali, fuori dei bisogni reali dei cittadini.
La visione di città è quella che serve a restare a galla con accordi di sopravvivenza reciproca nella prospettiva di accrescere potere, visibilità e consensi. Ci chiediamo: per la gente sono prioritari gli impianti sportivi o quelle opere che migliorano la qualità della vita?

E’ così avviene che le terze e quarte file di una classe dirigente mediocre (è un eufemismo) si fanno protagoniste senza merito. Per parafrasare Musil, sono uomini senza qualità che vivono alienati dal mondo reale e privi di autentici interessi che non sia quelli di una poltrona o di una fascia. Si garantiscono così generosi stipendi pubblici che fuori non riuscirebbero ad ottenere. Uomini con la malattia della volontà, privi di passione politica e avari nel servizio alla comunità, con la presunzione di cambiare la realtà non secondo i bisogni, ma secondo gli interessi politici del piccolo cabotaggio. Per continuare a galleggiare fra un incarico e l’altro, in una coalizione “civica” (o “cinica” avrebbe detto don Tonino), il cui collante è solo l’interesse politico personale e non quello collettivo.

Di qui l’elevato astensionismo dei cittadini alle elezioni, che è la vera bocciatura di questo governo ormai al capolinea, un governo che è stato capace di escludere i cittadini dalla partecipazione, considerandoli alla stregua di un gregge. Ma le pecore sono sempre meno. E hanno cavalcato l’indifferenza e la rassegnazione anche di coloro che singolarmente non potranno costituire un’alternativa di governo.

Così, col divide et impera, tra ricatti politici reciproci, cambi di casacca utilitaristici di impresentabili, stop and go politici (li abbiamo visti e sentiti questi opportunisti in consiglio comunale) e conseguenti prebende, si conserva un ciambotto rancido, con la inutile speranza che si possa ravvivare con qualche nuovo pesciolino, destinato però a putrefarsi subito nel brodo deteriorato e scaduto da un bel pezzo, anche se ancora propinato come fresco ai cittadini, che ne fanno indigestione ogni giorno. E vivono di politica all’ombra di una poltrona senza gambe. Siamo passati dai signori delle tessere ai detentori di pacchetti di voti fatti di gente pronta a riscuotere il prezzo del proprio sostegno alle urne.

E il Palazzo celebra se stesso e balla sul Titanic, dimenticando che tra propaganda e realtà c’è non il mare, ma un oceano pronto a travolgere tutto e tutti.

Non è una visione pessimistica ma realistica di coloro che pensano ancora con la propria testa e sfuggono all’ipocrisia celebrativa per guardare in faccia una triste realtà. Ma sul Titanic si balla e si stappano champagne, si pagano campagne pubblicitarie su qualche media e si preparano i filmati celebrativi di improbabili successi amministrativi, favoriti anche dalle copiose risorse di passate amministrazioni comunali (fondi porto) e da soldi pubblici mai così copiosi (PNRR), approfittando della sonnolenza della comunità, “distratta” dai problemi reali dell’esistenza quotidiana (inflazione e carovita, sanità, scuola, ecc.).
E via a spendere e spandere approfittando del torpore intellettuale di una classe media impoverita e costretta a fare i conti ogni giorno con problemi economici complessi, che le impediscono di farsi comunità partecipativa (e al “potere” sta bene così). Favorire le individualità, discriminando volutamente a favore dell’amichettismo, serve a dividere e imperare (ce lo insegnavano già i latini).

Il rischio è di ritrovarsi in dissesto, lasciando le macerie ai successori, dopo aver bloccato tutto con concessioni pluriennali che vanno anche oltre il proprio mandato politico-elettorale. “Se perdiamo, lasciamo una serie di problemi e opere irrisolte; se vinciamo, sappiamo dove mettere le mani per continuare nell’andazzo amministrativo attuale”. E’ questa la logica di chi governa a Molfetta, ma anche in Italia?

Lo scenario alternativo è ancora frammentato tra una destra rappresentata dal già candidato sindaco Mastropasqua che si propone di superare gli schieramenti e di mettere insieme un movimento di opinione come già accadde con Guglielmo Minervini e Paola Natalicchio, superando steccati politici e partitici. Su questo progetto c’è il silenzio del partito che è al governo nazionale, quel Fratelli d’Italia che a Molfetta è schierato all’opposizione, ma che difficilmente potrà allearsi con il PD, anche perché la politica di destra del leader Meloni finora è stata divisiva. Appare emblematico il silenzio del segretario Adamo Logrieco, che ha perso il seggio proprio a favore del democratico Alberto D’Amato. Logrieco non si schiera in questa sorta di governo di programma o di salute pubblica per cacciare quello che considerano il “tiranno” Minervini e si limita a fare opposizione. Ma non basta: occorre indicare un’alternativa convincente, altrimenti c’è il rischio che restando isolato, anche questo partito finisca nel ciambotto delle civiche, magari dando loro dignità politica.

Sul fronte opposto affievolitasi a sinistra la stella di Felice Spaccavento, restano divisioni e incomprensioni, ma rinasce il PSI (Minervini tornerà col suo vecchio partito o questi socialisti si schiereranno con il ciambotto?). Intanto si registra un timido segnale positivo di Rifondazione comunista che, dopo anni di volontario isolamento, apre alla ricerca di un’alternativa di governo. Ma con chi? Il PD resta condizionato al suo interno da qualche signore delle tessere che ha lavorato per il proprio tornaconto politico. E poi, la politica si fa con i numeri, ma finora i fronti appaiono tre: le civiche di Minervini, le civiche di Mastropasqua e la sinistra divisa. Nessuno ha i numeri per governare, nemmeno la coalizione uscente che deve trovare anche il candidato sindaco da sostituire a Minervini che non può più candidarsi (ma potrebbe scegliere di fare il sindaco all’ombra di qualche politico meno capace ma disponibile ad avere il suggeritore alle spalle).

C’è chi ipotizza uno scambio fra lo stesso Minervini e il consigliere regionale Saverio Tammacco: il primo alla Regione, il secondo al Comune, anche se è difficile che chi è stato sempre l’uomo ombra o il burattinaio, scenda in campo in prima persona.

Ci sono ancora tre anni prima del voto, ma, in politica come ai mondiali di calcio, le squadre devono allenarsi e prepararsi in tempo, per questo i giochi sono già cominciati.

Ma l’odore acre, la puzza di bruciato, è ancora diffusa.

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“Quindici” mensile
15.1.2025

Felice de Sanctis
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