Alla ricerca della sinistra perduta
15/01/2023

La politica è un forte e lento trapanare di tavole dure con passione e misura nello stesso tempo. È senz’altro vero, e tutta l’esperienza storica lo conferma, che non si raggiungerebbe il possibile, se nel mondo non si tentasse sempre di nuovo l’impossibile. La definizione è di Max Weber, economista, sociologo e filosofo del secolo scorso.
Insomma, questo sarebbe il compito della politica, quale mediazione dei molteplici interessi: fare il possibile perseguendo l’impossibile! In questa permanente e quasi conflittuale tensione, Pietro Scoppola ravvisava la passione per/della politica, intesa e vissuta “come valutazione del possibile e sofferenza per l’impossibile”.
Qual è oggi l’idea della politica in questo proliferare di liste civiche, ultimo rifugio allo spappolamento dei partiti che vede sopravvivere il PD in crisi di identità e alla ricerca di un ruolo e di un futuro all’interno di una sinistra divisa e confusa?
Se lo chiede “la gente di sinistra”, come la definisce Pier Luigi Bersani, ex segretario del Pd, guardando a questo momento di crisi, del quale solo ora il suo partito si rende conto, di fronte alla sconfitta elettorale e all’avanzare di una destra non liberale, ma con matrici fasciste, arrivata al governo del Paese, più per gli errori degli avversari, che per meriti propri.

Il Pd sembra essere diventato l’ultima scialuppa a cui aggrapparsi in un mare confuso e agitato, una barca che non sa dove andare e ha perso l’orientamento avanzando alla deriva. Le divisioni interne provocate e ancora oggi alimentate da un Renzi opportunista, hanno trovato al suo fianco Calenda che sogna di ottenere quel protagonismo che gli è sempre mancato. Certamente non è un’alleanza omogenea, bensì la somma di due egolatrie senza visione di futuro.

In questa ricerca della sinistra perduta, il Pd non riesce più a rappresentare le fasce sociali più deboli, che non si identificano nei suoi uomini, ma nemmeno nei suoi programmi.

Scegliere un partito oggi è un segno di identificazione troppo forte per molti cittadini che preferiscono le varie liste civiche che consentono un’operazione di mimesi aristotelica alla ricerca di un’improbabile felicità. Il voto diventa così più sfumato, meno marcato, permettendo all’elettore di non qualificarsi. Proliferano così le liste personali in grado di raccogliere consensi e voti che poi vengono usati a scopo autonomo. Liste che sono sfogatoi che mettono insieme valanghe di candidati, ma la politica fatta dalla massa è il crepuscolo della politica di massa. “La democrazia dei nanetti”, la definirebbe Sartori.

Un consiglio comunale liquido (alla Baumann) come quello che abbiamo a Molfetta è solo l’orticello di qualche micronotabile che, attraverso i trasformismi incessanti dei sistemi politici soprattutto locali, punta a piazzare membri della famiglia senza qualità per continuare la dinastia di potere e interessi politici. E il bene comune?

Nella sinistra il riformismo è stato sostituito dall’opportunismo tattico (in questo Renzi e Calenda sono maestri), con un Pd capro espiatorio dell’intera sinistra per eludere un serio confronto interno.

In questa ricerca della sinistra perduta, a Molfetta abbiamo un Pd senza volto, quello dei signori delle tessere che restano nel partito per logiche personali e quelli che vanno nelle liste civiche per logiche di poltrone, pronti a votare per esponenti del partito regionale, candidati al Parlamento, con la logica del personaggio di riferimento, al quale ricorrere in caso di bisogno.
La sinistra così a Molfetta, come in Italia, ha deciso di perdere per mancanza di coraggio nel delineare un profilo ideale e politico in grado di promettere, ma anche affrontare un cambiamento radicale dell’attuale modello di società, oggi in crisi, di fronte alle crescenti disuguaglianze, all’aumento della povertà anche fra il ceto medio, mentre i disastri ambientali fanno da cornice a uno scenario, dove la destra si muove e avanza a proprio agio.

Di fronte a questa drammatica realtà assistiamo al politainment: la politica come uno spettacolo di intrattenimento su un Titanic sempre più in pericolo.

Quello che manca è il rapporto fra politica e cultura, un argomento che abbiamo affidato alla bella penna di Zaccaria Gallo che in altre pagine apre un interessante dibattito fra gli intellettuali.
A loro, ben 35 anni fa, si rivolgeva anche il profeta venerabile don Tonino Bello nel suo j’accuse: “Ci state lasciando soli. Vi siete ritirati nelle vostre torri d’avorio, non si sa bene se a meditare vendetta, o a ruminare sterili supplementi di analisi, o a contemplare dalle vostre aride specole i fasti di una dietrologia senza speranza. Siete latitanti dall’agorà. È più facile trovarvi nelle gallerie che nei luoghi dove si esprime l’impeto partecipativo che costruisce il futuro. State disertando la strada. Per scarnificare la storia di ieri, state abbandonando la cronaca di oggi che, senza di voi, è destinata a diventare solo cronaca nera”. 
Sembra che il tempo non sia passato, anzi la situazione è peggiorata. La sinistra ha deciso di perdere, nessuno si assume il coraggio di scelte sbagliate: l’effetto è l’astensionismo devastante.

“Non ci sono più i luoghi della politica dove è possibile conoscere e studiare i problemi e confrontarsi con gli altri… ogni cambiamento spaventa tutti… non si riesce a discutere insieme tollerando le differenze e valorizzando le idee condivise”, afferma Genni Gadaleta Caldarola in un altro articolo su questo numero, mentre Giacomo Pisani scrive che “è necessario collaborare per rilanciare la cultura, per rafforzare i processi di inclusione e le politiche sociali, per migliorare la vivibilità dei quartieri, comprese le periferie, per vivacizzare il commercio di prossimità e i luoghi di aggregazione. Partire dai problemi e dai bisogni diffusi per immaginare delle risposte condivise può forse aiutare a creare nuove identità collettive, laddove si è assistito, negli ultimi anni, alla crisi della condivisione e al primato del singolo”.

E qui ci piace ricordare anche un altro profeta dimenticato, il compianto Guglielmo Minervini, che nel suo libro “la politica generativa” parla di una politica che si oppone completamente alla vecchia, ribaltandone usi e metodi, mettendo al centro il cittadino, trasformandolo da spettatore inerme a protagonista attivo. Dobbiamo convincerci che il periodo di crisi che stiamo attraversando, non è passeggero. I Comuni hanno sempre meno risorse, e quello che una volta era il compito del sindaco, ascoltare i cittadini e risolvere i problemi, è più difficile. Per sopravvivere e andare avanti è necessario che venga riscoperto il senso di comunità.
Di fronte all’avanzare di populismo e sovranismo, bisogna avere il coraggio di osare per affrontare i problemi reali della nostra società dal lavoro alla sanità, dall’immigrazione all’equità fiscale, dalla sicurezza all’eguaglianza territoriale (altro che autonomia differenziata per emarginare ancora di più il Sud).

Sarà in grado il Pd di rappresentare questi interessi popolari o si condannerà ad un ruolo marginale da suicidio politico, lasciando spazio al camaleonte Conte e ai 5 Stelle campioni di trasformismo senza idee e senza progetti? In Italia, come a Molfetta questa è l’ultima occasione di salvarsi con un nuovo Ulivo, alleanza fra diversi in un’emergenza ben più pericolosa di Berlusconi, con un Meloni deciso a stravolgere le regole della democrazia e far trionfare una destra che può divenire illiberale.
Ecco perché bisogna tentare l’impossibile.

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Felice de Sanctis
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