Cultura della legalità e questione morale
15/12/2022

Passano gli anni, cambiano i costumi, crollano i partiti, nascono le liste civiche, muore l’ideologia e trionfa il populismo. Ma resta la questione morale.

Già Enrico Berlinguer nella famosa intervista ad Eugenio Scalfari nel lontano luglio del 1981 sosteneva che «i partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela: scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società e della gente, idee, ideali, programmi pochi o vaghi, sentimenti, passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”. La carta geopolitica dei partiti è fatta di nomi e di luoghi». Sembra scritta oggi.

In questi giorni assistiamo all’ennesimo scandalo di corruzione che coinvolge addirittura il Parlamento europeo e, ahimè coinvolge politici italiani, tanto da far pensare che questo vizio sia insito nel nostro dna. Abbiamo esportato la mafia negli Usa e ora esportiamo la corruzione nella Ue. Non che questo fenomeno non sia già presente anche all’estero, ma la penetrazione istituzionale in un organismo europeo, fa più male.

La questione morale è la madre di tutte le questioni perché conduce inevitabilmente al decadimento culturale prima, ma anche economico, sociale, in sintonia con il degrado morale di una parte del nostro ceto politico.

Siamo passati dalla corruzione a livello partitico, mal giustificata dai costi della politica, alla corruzione personale. Perché, se i partiti erano espressione di interessi economici e di lobby di potere, nelle organizzazioni attuali, dai movimenti politici nazionali alle liste civiche, prevale l’individuo, il “boss” sotto mentite spoglie, che ha come fine solo l’interesse e l’arricchimento personale. Con questi discorsi si rischia il qualunquismo e si favorisce il populismo, ma serve a spiegare anche il fenomeno dell’astensionismo elettorale che cresce anno dopo anno. L’imperativo morale, di kantiana memoria, è un retaggio del passato, perché le coscienze non si formano più alla cultura della legalità, ma a quella dell’utilità.

Enzo Risso nel suo libro “"La conquista del popolo. Dalla fine delle grandi ideologie alle nuove identità politiche" pone il tema delle nuove fratture sociali che sono all’origine dei nuovi partiti. I vecchi cleavages (scollature, spaccature) del Novecento erano quattro: centro/periferia (all’origine dei partiti etnoregionalisti); Stato/Chiesa (che hanno sospinto i gruppi confessionali e i partiti liberali); città/campagna (a fondamenta dei partiti agrari); capitale/lavoro (all’origine dei partiti socialisti e comunisti). Durante il secolo scorso ci sono stati anche altri due cleavages: democrazia/dittatura (all’origine dei partiti fascisti) e natura/produttivismo (a fondamenta dei partiti Verdi). Le nuove fratture sociali che stanno ridisegnando il sistema politico italico sono: onesti/furbi (M5S); italiani/immigrati (Lega); ricchi/poveri (Lega, M5S e in parte Pd); lavoro flessibile/lavoro stabile (nessuno per ora); equità/diseguaglianza (in parte Pd e M5S); tasse/libertà (Forza Italia e Lega); popolo/élite (M5S e Lega).

Anche la scuola non riesce più ad educare, svuotata dalla sua sacralità e ridotta a un’attività “consuetudinaria” che ha solo l’obiettivo di portare a un diploma, perdendo ogni finalità educativa affidata a una famiglia che non ne ha più coscienza o ai social che sono diventati i nuovi dei dell’epoca del grande fratello. Eppure recentemente la scrittrice Dacia Maraini ammoniva: «Ogni luogo ha la sua sacralità da rispettare e la scuola più di altri luoghi va onorata proprio perché da decenni è stata dissacrata e va riportata alla sua dignità di centro comunitario del pensiero, della conoscenza e della democrazia».

Perché la cultura è legalità, la legalità è democrazia, democrazia è onestà, onestà è dovere morale. E il cerchio si chiude.

E il politico del nostro tempo è il frutto di questa incultura (non possiamo definirla nuova cultura, perché offenderemmo la stessa natura del termine). Quanti sono i politici capaci di sentire e soffrire l’immoralità della loro condizione di alterità dai cittadini, di immunità dalle loro sofferenze, che permettono a chi governa di capire il diverso e le esigenze della comunità che non gode di privilegi, che finiscono per costituire una casta? La casta diventa un modello da imitare e da conquistare e una volta raggiunto questo status, grazie alla cooptazione del boss e non per scelta della base, ci si considera al di sopra della legge.

Sempre Berlinguer chiedeva che i partiti finissero di occupare lo Stato, oggi lo stato è occupato da individui che non rispondono a nessuno e talvolta nemmeno alle leggi, sempre stravolte, sempre più permissive in nome di una presunta libertà, come proclama il centrodestra al potere, che si serve perfino di ex magistrati con la voglia di rifarsi verso la propria categoria, nella quale non si è riusciti a raggiungere obiettivi sperati.

Con la cultura dell’illegalità, del favore a chi viola la legge con l’evasione e la corruzione, si alimenta la cultura del privilegio a danno dei poveri e degli emarginati, ai quali si vuole togliere perfino un aiuto economico come il reddito di cittadinanza, in nome di una falsa legalità contro abusi che non si è capaci o non si vuole correggere o controllare.

Diciamoci la verità: al popolo è stata tolta anche la possibilità di scegliere i propri rappresentanti, togliendo loro anche la possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, dimenticando che certi bisogni sociali e umani ignorati vanno soddisfatti, come ricordava sempre il buon Berlinguer, perché la professionalità e il merito vanno premiati, assicurando la partecipazione di ogni cittadino alla cosa pubblica.

Fuori dalla cultura della legalità, trionfano i fenomeni di barbarie sociale, come la corruzione, ma anche il diffondersi della droga, il rifiuto del lavoro, la noia, la disperazione, che portano a una società malata fatta di grandi masse di disoccupati, sfruttati ed emarginati.
E’ ancora possibile salvare la nostra società? Noi siamo ottimisti, ma solo se la questione morale diventa un imperativo morale.

Sarebbe questo l’augurio migliore che ci piace fare ai nostri lettori per questo Natale e per il Nuovo Anno.

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Felice de Sanctis
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