La guerra al nemico invisibile
15/01/2022

La paura più temibile è “la paura diffusa, sparsa, indistinta, libera, disancorata, fluttuante, priva di un indirizzo o di una causa chiari; la paura che ci perseguita senza una ragione, la minaccia che dovremmo temere e che si intravede ovunque, ma non si mostra mai chiaramente”, lo scriveva il filosofo polacco Zygmunt Bauman, noto per la definizione di “società liquida”.

Di fronte a questo nemico invisibile, il Covid, siamo in guerra da due anni, una sorta di terza guerra mondiale, veramente globale, che coinvolge tutti i popoli della terra, come non era mai avvenuto prima. Nessuno può dire di esserne fuori ed è una guerra che non vede fazioni contrapposte, perché il nemico è unico, comune a tutti, al punto che le “armi” adottate sono più o meno le stesse. Occorre sopravvivere in questa dura lotta, far fronte a nuove situazioni, come le varianti, resistere, ma anche adattarsi con un atteggiamento psico-socio-culturale, una innovativa forma mentis coraggiosa e prudente al tempo stesso in questa strategia “bellica” per evitare conseguenze disastrose sul piano non solo sanitario, ma anche economico, sociale, organizzativo e perfino politico.

Abbiamo, volenti o nolenti, un destino comune, senza frontiere e il linguaggio che utilizziamo è quello della metafora bellica a cominciare dal “coprifuoco”, il lockdown, per continuare con gli “eroi in trincea”, medici e infermieri, mentre i virologi diventano “generali” e il vaccino “un’arma”.

Emergenza e resilienza diventano le parole chiave della nostra condizione di umanità sotto attacco da un nemico comune e invisibile, quindi più pericoloso. Siamo passati da un atteggiamento di paura e prudenza, da una condivisione comune del pericolo, affrontato, nella prima fase, con l’ottimismo degli slogan “andrà tutto bene” all’atteggiamento attuale scettico e quasi negazionista dell’esistenza del virus.

La necessità di contrastare e prevenire il contagio da coronavirus ha indotto i governi della maggior parte dei Paesi a varare misure costrittive della libertà personale che hanno indotto a forzato “lockdown” domestico. “Io resto a casa” è diventato un obbligo sociale prescritto. In Italia dal 9 marzo 2020 abbiamo condiviso costanti cambiamenti della vita quotidiana attraverso modifiche del modo di vivere e diversi decreti del Governo. A partire dal 4 maggio, dopo due mesi si è attivato un nuovo cambiamento: l’ingresso di tutti nella fase 2 per stabilire un nuovo “tempo e spazio” condiviso, nuovi modi di “condivisioni del sociale” per creare condizioni concrete di esistenze che evitino un ulteriore disagio psicologico nel nostro vivere la quotidianità.

Ma a renderci meno timorosi, ma anche più incoscienti, è stato proprio il vaccino, contestato da una minoranza, definita “no-vax”, ma che rende anche loro stessi più sicuri, anche se non lo ammetteranno mai. Una sicurezza sulla pelle degli altri, i vaccinati, ai quali si contesta l’efficacia del vaccino, ma della cui immunità, anche se non totale, questi negazionisti si servono per la loro campagna contro il vaccino e il green pass.

Ma chi sono questi no vax? Da un’indagine de “lavoce.info” emergono i diversi profili psicologici di esitanza: al di là dei fattori demografici (genere, età, appartenenza geografica) e dello stato socio-economico, a fare la differenza sono la presenza di sintomi ansioso-depressivi (spesso indotti dalla pandemia e dal lockdown), il set valoriale delle persone (chi è più o meno altruista), l’orientamento politico e non ultimo il senso di auto-efficacia nella gestione della propria salute. Questi fattori psico-sociali si intrecciano nelle storie ed esperienze delle persone, tanto da far emergere diverse casistiche tra chi non sa ancora se vaccinarsi o no: da coloro che sono fatalisti e poco coinvolti nella prevenzione del virus, a coloro che sono scettici e sfiduciati verso il sistema sanitario e i suoi operatori; fino a coloro che, in preda a spunti più paranoici, temono che dietro al processo di sviluppo scientifico (veloce) dei vaccini ci siano conflitti di interesse. Ma ci sono anche coloro che sono più egoisti e individualisti nell’approccio alla salute e che pensano di non ricevere dal vaccino un vantaggio sufficiente a superarne il rischio.

In più, il senso di grande incertezza in cui ci troviamo da diversi mesi fa da terreno fertile per il crescere di false credenze. Le teorie “complottiste” risultano così ipotesi esplicative più seduttive dei dati di ricerca reale, soprattutto quando la situazione in cui si vive appare complessa e fuori dal controllo personale. Di fatto si tratta di risposte semplici e parziali a domande complesse, che sono poi le stesse domande complesse che anche gli scienziati si pongono.

Vi sono poi fattori di personalità che ci rendono più facili vittime di queste credenze. E’ proprio la tendenza a una “mentalità calcolatrice”, al pensiero “cospirazionista” (cioè al cercare un colpevole in ogni evento e situazione) unitamente al bisogno psicologico di sentire tutto sotto controllo che – per assurdo – rendono le persone poco avvezze a ragionare sulle evidenze scientifiche (per scolarità o esperienza pregressa) a cadere preda di teorie semplicistiche.

Tra i fattori che spiegano l’esitazione verso i vaccini, com’era prevedibile, c’è anche la sfiducia nella scienza. Covid-19 è stato un “stress test” per la relazione scienza e società. Era già una relazione fragile, ma si è ulteriormente incrinata nei lunghi mesi di lotta contro la pandemia. Rispetto a marzo 2020 il livello di fiducia degli italiani nella scienza biomedica è diminuito di ben 14 punti percentuali (dal 79% di chi dichiarava piena fiducia al 65%), e questo atteggiamento è uno dei principali predittori dell’intenzione vaccinale delle persone.
Infine c’è la cosiddetta “infodemia”, intesa come sovrabbondanza di informazioni (poche adeguatamente accurate, la maggioranza per nulla, specialmente diffuse dai social e non verificate giornalisticamente), così come la enorme massa di notizie contradditorie, spesso false e purtroppo molto “contagiose”.

Per le suddette ragioni è difficile convincere gli scettici no-vax, che arrivano perfino a negare l’esistenza del virus quando colpisce loro stessi e li porta anche alla morte. Ci chiedevamo, nella prima fase della pandemia, se saremmo usciti migliori o peggiori da questa esperienza. Molti erano ottimisti, la realtà, fatta anche di odio verso chi predica la necessità del vaccino (giornalisti compresi, paragonati ai terroristi), ci ha riportati nella peggiore umanità, dove non si rispettano le regole e nemmeno le opinioni della maggioranza, considerata manovrabile e succube dei governi. Questo atteggiamento, e soprattutto questi comportamenti, rischiano di far diventare molto più lunga questa “guerra” al nemico invisibile che, come tutti i nemici scaltri, approfitta delle debolezze e delle contraddizioni altrui per impossessarsi dei loro corpi e devastarli.

Anche lo smog uccide, ma le resistenze a ridurre l’inquinamento, fanno sottovalutare i fattori di rischio e ci costringono a convivere con un fattore di morte e malattie molto elevato. Ma su questo fronte, dove servirebbero, non ci sono contestatori no-smog.

Questo la dice lunga sulla povertà e la debolezza degli argomenti dei no-vax che, per pretendere maggiore libertà in questa emergenza, finiscono per limitare la loro stessa libertà (ma questo non è il male peggiore, perché ognuno del suo mal pianga se stesso) limitando quella degli altri, che sono la maggioranza.

Per concludere con un sorriso sui no-vax, ci piace raccontare un episodio reale che dimostra come la semplicità popolare sia capace, in una battuta, di spegnere anche il più agguerrito no-vax.
In un grande mercato romano discutono dai propri banchi un signore attempato e una signora, ambedue verdurai: il signore è un vax-scettico, e ripropone l’argomento per cui questi vaccini sono solo sperimentali. La verduraia gli risponde: “Ma che parlate voi, che vi siete tutti presi il Viagra che neanche sapevate cosa c’era dentro!”.

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Felice de Sanctis
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