Ancora un Natale sotto il segno del Covid. Qualcuno, in queste condizioni, forse rimpiange il consumismo, non tanto per il valore (o il disvalore) in sé, quanto per il clima diverso che si respirava.
Ora le restrizioni ci costringono a tenere un po’ a freno la nostra gioia e la voglia di stare insieme a festeggiare. Ma occorre essere prudenti anche perché, per colpa di pochi irresponsabili, i cosiddetti no-vax e no green pass, è più difficile raggiungere l’immunità di gregge e la sconfitta del maledetto virus.
A Molfetta sarà un Natale sotto il segno di don Tonino, ormai Venerabile per la gioia della Chiesa e di tutti coloro che lo hanno amato, ma sarà anche un Natale ancora segnato dallo squallore di una politica incapace di dare risposte a cittadini sempre più sfiduciati da una classe dirigente (forse il termine è anche eccessivo) incapace e di basso livello. Una classe politica senza dignità, come scrivevamo in un precedente editoriale, fatta di personaggi che sono transitati da un gruppo (partiti ormai non esistono più) all’altro, senza vergogna e senza rispetto per se stessi e i loro elettori.
Si spiega così il senso di stanchezza, disgusto e perfino allergia nei confronti della politica che provoca il cosiddetto astensionismo. “Cittadini senza politica e politica senza cittadini” definiva questa situazione qualche tempo fa Valentina Panzè, professore associato di Filosofia politica all’Università di Torino: «Il crescente distacco tra cittadini e istituzioni che si registra nella maggior parte delle democrazie contemporanee non è ascrivibile solo a qualunquismo, disinteresse o protesta, più o meno consapevole, nei confronti di una classe politica inadeguata e corrotta. È indice di qualcosa di più grave: una radicale perdita di fiducia nella democrazia come veicolo di cambiamento ed emancipazione sociale, che oggi interessa in particolare i più poveri e i più svantaggiati».
Con le parole del sociologo tedesco Wolfang Streeck, la politica sembra essere diventata un «gioco di intrattenimento per la classe media» (o medio-alta, dato lo scivolamento verso il basso del ceto medio colpito dalla crisi). Un gioco che non appassiona, e non coinvolge, chi ha perso qualsiasi speranza nella possibilità di una soluzione collettiva ai propri problemi.
Se si aggiungono i continui episodi di corruzione e di malgoverno che coinvolgono il ceto politico, non stupisce che alla disillusione dei poveri si sommi il boicottaggio consapevole degli indignati.
In questo percorso alla ricerca di una spiegazione del fenomeno della fine dei partiti e del trionfo delle liste civiche, incontriamo il filosofo politico Carlo Galli il quale osserva che: «quando, con la crisi della Prima repubblica, alla politica dei partiti si sostituì la politica spettacolo, tutta spostata sulla comunicazione e sul carisma del leader, questa politica, omogenea a livello nazionale, ha perduto la presa sui territori, che sono rimasti consegnati a gruppi locali, a clientele e a cricche ormai autoreferenziali, semplici anelli di cordate politico-affaristiche rispetto alle quali il brand politico nazionale era, ed è spesso tuttora, una copertura ideologica pubblicitaria, di pratiche sostanzialmente private, prive di respiro pubblico e civico».
Sembrano parole scritte per la nostra Molfetta che sta vivendo la stagione politica peggiore della sua storia, affidata a liste civiche costituite da personaggi privi di dignità politica, veri e propri mercenari pronti a passare da un fronte all’altro e viceversa, pur di ottenere prebende e di diventare ago della bilancia delle diverse coalizioni, una sorta di Ghino di Tacco, come Eugenio Scalfari definì il segretario del Psi, Bettino Craxi.
Il sindaco di Molfetta chiama “civismo” questa aggregazione di liste civiche, che gli consente, componendo e scomponendo le varie formazioni, di restare sempre attaccato alla sua poltrona, forse volendo richiamarsi al “Percorso” di un altro Minervini, quel Guglielmo, che egli ha spesso osteggiato e contribuito a far cadere, ma che era tutt’altra pasta, con tutt’altra dignità politica.
Avere le mani libere e non rispondere a nessuno, costituisce questa sorta di populismo dei Minervini e degli Amato che cavalcano il qualunquismo delle deleghe in bianco dei cittadini che loro non rappresentano e che alimenta l’antipolitica. A sostegno delle “grandi opere” della sua amministrazione, Minervini ha messo su un ufficio stampa-propaganda, a cui affidare comunicati elogiativi quotidiani che narrano le gesta del principe. Un racconto fantastico, la politica raccontata per comunicati. Una sorta di Minculpop certificato che, di fronte all’unica voce critica, quella di “Quindici”, che pure pubblica, per dovere di cronaca e di rispetto delle opinioni, i comunicati del Comune, riceve le lamentele del sindaco, in quanto non allineati come si vorrebbe nel Palazzo.
Insomma, il civismo populista non accetta dissensi che possono disturbare il sogno di una città smart e del suo re, ormai sempre più nudo.
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