Dialettica e competenza sono scomparse dal panorama politico contemporaneo non solo a livello nazionale, ma anche locale.
Questa riflessione ci è venuta in mente qualche giorno fa in occasione dell’apertura dell’archivio Finocchiaro, ascoltando Claudio Martelli parlare del politico molfettese socialista che lui non ha conosciuto, ma del quale ha apprezzato la grande competenza e la capacità dialettica.
Chi come noi ha avuto l’occasione di incontrarlo e confrontarsi anche duramente, non può fermarsi a riflettere su quello che è diventata oggi la politica, senza questi personaggi del Novecento che, pur con il loro carattere difficile, hanno saputo dare un’impronta significativa alla storia del nostro Paese e della nostra Molfetta.
E ci è venuto in mente un bel libro pubblicato da Marsilio nel 2016 “L’arte del non governo. L’inesorabile declino della Repubblica italiana” di Piero Craveri. Se si considera che questo volume mette in discussione la classe dirigente degli ultimi settant’anni, compresi i pezzi da novanta della politica italiana, tranne lodevoli eccezioni che, secondo l’autore, non arrivano a contarsi sulle dita di due mani, cosa dovremmo dire degli uomini politici dell’ultimo decennio, comprendendo fra questi anche Berlusconi, la cui discesa in politica ha fatto più danni di una guerra mondiale?
Craveri attribuisce a questi uomini di governo la “malsicura” conoscenza dell’economia e ironizza sul “male inteso primato della politica” dietro il quale quei leader dell’epoca cercarono di occultare le loro scarse virtù.
Oggi, nello scenario attuale dominato da sovranismo e populismo, le carenze individuali e collettive non vengono più mascherate, anzi vengono esaltate attraverso i social, dove basta uno slogan strampalato, due titoli ad effetto che fanno aumentare i like e l’audience della pagina social, e il gioco è fatto. Così si conquistano consensi di tanti sprovveduti per i quali è più importante una battuta ad effetto o una promessa impossibile, di azioni concrete e razionali.
L’emergere della banalizzazione sul fronte politico, ha eliminato il confronto, c’è solo immagine da vendere, al punto da far rimpiangere perfino le noiose, ma efficaci, tribune politiche degli anni Sessanta e Settanta.
La dialettica e soprattutto la competenza sono state sostituite da un click che ti permette di diventare deputato (tra l’altro non è più il popolo a scegliere i propri rappresentanti, ma le segreterie dei partiti) o addirittura ministro. E di esempi, ne abbiamo, soprattutto nelle fila dei 5 Stelle e della Lega, di politici ignoranti messi al potere, grazie non a una conclamata democrazia dal basso, ma a una sciatteria politica e demagogica imperante.
Manca una classe politica, ma è assente anche un disegno politico, basti pensare all’amministrazione comunale di Molfetta, frutto di un insieme di liste civiche e di un irresponsabili Pd, legato più alle poltrone che a un progetto politico (e lo sta confermando). Così dobbiamo accontentarci di una classe politica poco preparata e per nulla efficiente, fatta di gruppetti di militanti-mercenari, senza passione, pronti a passare da un partito e da uno schieramento all’altro, pur di ottenere qualche prebenda.
E non meravigliamoci se poi scoppiano gli scanali e se la magistratura è ancora una volta chiamata a un ruolo di supplenza pur di garantire uno straccio di legalità, anche se, grazie alle leggi sulla prescrizione e alle maglie larghe delle leggi che gli avvocati sanno attraversare, alla fine nessuno è colpevole e si è perso solo tempo, magari per colpa di qualche magistrato distratto che ha condotto indagini superficiali.
E loro, tutti saccenti, professori, medici e politologi, anche se non sanno parlare in italiano, si sentono in grado e in diritto di giudicare e di dare perfino consigli. Certo, l’umiltà non è della politica, ma almeno si poteva salvare la decenza. No, nemmeno quella.
Se poi non accetti i consigli (stupidi) sei tu antidemocratico. Ma di cosa ci meravigliamo se anche la Meloni e i fascisti, Salvini e Casapound si appellano a quella democrazia che, se fossero loro al potere, sopprimerebbero insieme alla libertà di stampa. Come i talebani che in Afganistan che promettono libertà, ma praticano assolutismo e intolleranze tribali.
Pretendere di dare lezioni di politica da Facebook o Twitter (Trump e Salvini sono maestri in questo) con presunzione e arroganza, fa capire il basso livello in cui siamo precipitati, grazie agli utili idioti che non mancano mai (vedi i no vax).
Si è perduto il senso di comunità a favore di una egolatria, per la quale la visibilità prevale sulla serietà, preferendo parlare e agire di pancia, piuttosto che di cervello.
Sono le chimere dell’antipolitica che hanno portato anche a Molfetta all’elezione di gruppi e personaggi che, ai tempi di Finocchiaro, avrebbero fatto al massimo i bidelli (con tutto il rispetto per loro) di una sezione di partito, nemmeno i portaborse. E oggi l’autoreferenzialità di una classe dirigente di infimo livello sta producendo danni incalcolabili alla città, che difficilmente si potranno recuperare in futuro, lasciando alle nuove generazioni problemi e debiti che sarà duro superare.
L’incapacità di realizzare una politica moderna, ha portato a rispolverare i vecchi metodi degli anni ’60, ’70 e ’80, quando l’edilizia la faceva da padrona e anche opere pubbliche inutili, pur di far trionfare il mattone, erano il segno (illusorio) del progresso e della capacità di amministrare. Molfetta conquisterà il triste primato del cemento, superando perfino Bari per lo scempio delle nuove Punte Perotti sul lungomare, mentre resteranno le scuciture sociali e civiche, che privilegiano la concentrazione della ricchezza nelle solite mani, alla faccia dell’etica morale e politica della qualche qualcuno si riempie la bocca.
Sarebbe più saggio e perfino più onesto dire la verità ai cittadini, ma la verità fa perdere consensi e voti di cittadini indifferenti e attenti solo al proprio particulare, o, peggio, che preferiscono essere illusi, piuttosto che accettare una realtà scomoda.
Chissà come avrebbe tuonato il nostro Finocchiaro (come fece negli ultimi anni di vita) contro questo malcostume politico ed economico locale e sullo sperpero di denaro pubblico soprattutto per opere inutili e destinate ad essere incompiute, trasferendo errori e debiti sulle deboli spalle delle generazioni future.
Ecco perché arrendersi, o peggio rassegnarsi, sarebbe imperdonabile. Tanti parlano di riformismo, senza conoscerne il significato, perché attuarlo richiede coraggio e impopolarità. A rischio di restare scomodi, come siamo sempre stati e sulla scia degli insegnamenti di qualche vescovo scomodo, continueremo il nostro impegno civile, sperando che ci sia una voglia di riscatto che, sinceramente, non vediamo nemmeno all’orizzonte. Pessimismo, no realismo.
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