«La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del Paese e la tenuta del regime democratico».
Ricorre in questi giorni il 37° anniversario della morte di Enrico Berlinguer (11 giugno 1984) e proprio in questi giorni fra gli scandali nazionali e quelli locali, torna prepotentemente di attualità quella “Questione morale” che il segretario del Pci aveva sollevato nella famosa intervista al direttore di Repubblica, Eugenio Scalfari il 28 luglio del 1981.
Berlinguer parlava della degenerazione dei partiti, oggi stiamo peggio, perché ai partiti si sono sostituiti i Movimenti, le Leghe, i gruppi di potere che fanno capo ad un leader, senza un programma e senza una propria identità. A livello locale abbiamo il proliferare delle liste civiche formate il più delle volte da personaggi voltagabbana passati da un partito all’altro, fino a realizzare una lista personale che di politico ha poco, ma di affaristico molto. Spesso si rivelano gruppi di interesse ai quali l’etica politica non importa, perché hanno a cuore solo i voti che si possono raccattare con promesse elettorali e scambi di favori.
L’etica pubblica costituisce una base necessaria della legittimità democratica dei governanti, e quindi un preliminare essenziale di qualsiasi azione e giudizio politici, almeno in democrazia. L’etica pubblica non è dunque una fuga dalla politica, ma uno dei fondamenti della democrazia. Nel momento in cui i cittadini sono responsabili delle azioni di governanti democraticamente eletti, essi sono anche responsabili della loro condotta (al limite anche di parte della loro condotta privata). Se i cittadini pensano che una certa condotta dei politici sia immorale, questo non è base per giudizi penali, come molti credono; ma è base di giudizi politici, giudizi che possono portare a comportamenti elettorali conseguenti. Se mi sento responsabile di una cattiva azione compiuta da un mio dipendente, il minimo che possa fare è rescindere il contratto che ho fatto con lui ed evitare che egli continui a compiere le azioni che ritengo immorali in nome e per conto mio.
Quando si parla di questione morale, oggi non va dimenticato il carattere strutturale e non occasionale dei fenomeni di corruzione, cioè che non il singolo politico o amministratore, ma il sistema funziona a regime perpetuando abusi e irregolarità di ogni tipo. Insomma, a preoccupare oggi è l’intreccio tra politica e malaffare, che non ha più carattere patologico, ma fisiologico, in quanto attiene ai criteri effettivi di gestione del sistema politico. Ecco perché le riforme istituzionali sono urgenti.
Francesco Bacone nel saggio “Della Grandezza” indicò la lentezza, la villania, la debolezza e le corruzioni, come i quattro difetti dell’autorità. Dopo quattro secoli, queste metastasi hanno ormai occupato l’intero corpo del sistema, anche a livello istituzionale. E’ la politica che si deve inchinare alla legge, non il contrario, col tentativo di raggirarla, come avviene sempre più spesso, nella convinzione che il senso comune abbia pacificamente accettato che l’uomo politico o di potere, possa comportarsi in modo difforme dalla morale comune.
La facilità con cui si sfugge alla giustizia, complice un sistema farraginoso che attraverso le prescrizioni e le lungaggini, alla fine garantisce l’impunità a chi commette reati, soprattutto se potente e membro della pubblica amministrazione, finisce per creare nell’opinione pubblica la convinzione che, poi, tutti la fanno franca, che i processi si sgonfiano e tutto si conclude a tarallucci e vino. L’unica punizione risulta la carcerazione preventiva che, con buona faccia di bronzo, si dimentica e si fa dimenticare.
Lungi da noi l’idea del giustizialismo, le garanzie di innocenza valgono e devono valere per tutti. Ma giustizia deve essere fatta, soprattutto quando a pagare sono i più deboli, soprattutto quando ad essere depredate sono le risorse pubbliche, cioè i soldi dei cittadini. Ecco perché la riforma della giustizia che si insegue da anni, deve essere prioritaria, sia per allontanare il giustizialismo, sia per evitare inutili carcerazioni preventive quando le accuse si sgonfiano, complici indagini spesso frettolose o magistrati “distratti”.
Ricordiamo le due scuole di pensiero contrapposte nel raggiungimento del fine politico: per Platone la politica è l’unico mezzo per la realizzazione del “sommo bene”; mentre per Machiavelli la menzogna appare nel Principe come una qualità e una dote necessaria che egli deve possedere per mantenere il potere.
Oggi la connessione fra percezione della corruzione e sentimenti antipolitici nella storia del nostro Paese è ovvia, la critica morale dei politici è aumentata esponenzialmente quando i cittadini hanno percepito che i politici non rispettano le regole e usano le proprie funzioni per l’arricchimento personale, non per promuovere il bene comune. Reagendo a questo atteggiamento, molti esponenti della classe politica italiana hanno tentato di separare la critica morale della politica – e gli auspici di una moralizzazione della politica – da sentimenti antipolitici.
Ma la questione morale è solo politica? Guardiamoci allo specchio e iniziamo a riflettere che l’etica della cosiddetta “casta” non è differente così tanto da quella del Paese. In un circolo vizioso, la classe dirigente si sente autorizzata a furberie, visto che la società stessa le commette. Viceversa la società si sente autorizzata a evadere, eludere, eccetera, visto che la stessa politica lo fa. La questione morale, quindi, non è oggi solo come sosteneva Berlinguer occupazione di posti di potere. Questa è una parte, decisamente importante, ma non l’unica.
L’ultimo scandalo che ha colpito la città di Molfetta riguarda la cosiddetta “Appaltopoli” che vede al centro l’ex assessore ai Lavori Pubblici avv. Mariano Caputo, già sottoposto ad indagini giudiziarie, che lo spinsero alle dimissioni, anche per salvare l’amministrazione comunale ciambotto o frankenstein delle liste civiche col Pd, trasformato anch’esso in lista civica. La frenesia dei lavori pubblici in città, ci aveva spinto a definire ironicamente l’assessore Caputo come “cantiere perenne”. Oggi abbiamo la percezione dei motivi di tale frenesia che, se le accuse della magistratura risulteranno fondate, sarebbe legata alla voglia di “incassare il più possibile” come risulta dalle intercettazioni della Guardia di Finanza: «Dobbiamo incassare il più possibile… devo incassare il più possibile. Tanto quelli arrivano, quegli altri arrivano, arrivano con calma. Con calma il 2020 sarà un anno straordinario per me. Devo incassare. Insomma dalle strade non meno di 100mila euro, dal lotto numero 1 incassiamo all’atto preliminare». Caputo, secondo il Gip «ha chiaro il piano di incasso delle tangenti».
Di fronte a questa situazione, dietro la quale potrebbero esserci anche altri personaggi che agiscono nell’ombra senza esporsi, preferendo il ruolo di burattinai per non rischiare in proprio e al di là del risvolto giudiziario che farà il suo corso (ci auguriamo che gli indagati riescano a dimostrare una loro estraneità alle accuse loro rivolte), ma esiste un problema politico. La politica non può attendere i tre gradi di giudizio: passeranno almeno due legislature, o meglio consigliature, per arrivare a una sentenza definitiva. In questa situazione la correttezza, quell’etica politica di cui parlavamo prima richiederebbe al Pd di fare un passo indietro e di uscire dal ciambotto (le poltrone in questa situazione diventano di secondaria importanza), magari denunciando il presunto malaffare, per evitare di esserne travolto. Soprattutto per il sindaco Tommaso Minervini sarebbe auspicabile, nel rispetto per la carica che ricopre e nella quale crede sinceramente, un atto di responsabilità, dimettendosi dall’incarico, per separare alcuni comportamenti presunti illeciti di altri, dalla propria azione di governo e dal proprio ruolo. E questo in massima trasparenza.
Beniamino Finocchiaro e Gaetano Salvemini, che lui ha come suoi riferimenti, l’avrebbero fatto senza indugio, denunciando anche certi comportamenti amministrativi.
Un sussulto di dignità, che non gli manca, non guasterebbe.
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