Ritorno al futuro
15/01/2021

Mortal cosa son io, fattura umana/tutto mi turba, un soffio sol mi abbatte/ il tempo che mi crea quel mi combatte, lo psichiatra e psicoanalista Franco De Masi riporta questa citazione dell’opera “Il ritorno di Ulisse in patria” in cui Monteverdi mette queste parole in bocca all’Umana Fragilità.

E’ una citazione che ci è sembrata appropriata per l’incipit di questa riflessione sul 2021, dopo l'annus horribilis del Covid: aspettative, speranze sul mondo e il tempo che verrà. Riflessioni che abbiamo chiesto anche ad alcuni amici e che costituiscono il primo piano di questo numero di gennaio della rivista e che abbiamo intitolato “Ritorno al futuro”, dopo la pandemia, anche per l’arrivo del vaccino a cui tutti affidiamo le nostre speranze.

Non siamo al “day after”, perché realisticamente ci attendono ancora mesi in cui dovremo continuare nella nostre limitazioni della libertà, utilizzare le mascherine, evitare assembramenti e praticare il “distanziamento sociale”, che è quanto di più mortificante si possa chiedere alla specie umana.

Ma la pandemia, è inutile nasconderlo, ha modificato all’improvviso, e contro la nostra volontà, la vita di tutti noi in tutto il mondo, per combattere un nemico invisibile e quindi più insidioso che ci sta portando via amici e parenti con una violenza mai vista prima, nemmeno in guerra. E ci fa sentire impotenti e consapevoli di tutta la nostra fragilità umana. Un nemico subdolo, che si serve di noi stessi per contagiare gli altri: amici, parenti, sconosciuti, ricchi, poveri, potenti e miserabili, con un livellamento sociale che solo la malattia e la morte sono capaci di realizzare.

Ci sentiamo, giorno dopo giorno, sopravvissuti temporaneamente a una catastrofe planetaria senza precedenti, con la quale dovremo convivere, ahimè, ancora a lungo, prima di venirne fuori. Il coronavirus, o Covid, come è ormai definito nella terminologia internazionale, ha messo a nudo le nostre debolezze, facendoci sentire indifesi, anche se alcuni continuano a negare l’esistenza del virus, fino a quando non ne restano vittime anch’essi.

Sono cadute tutte le nostre sicurezze, frantumatesi in poche settimane e il ritornello che “nulla sarà più come prima” comincia ad assumere contorni più realistici e ci spinge a rileggere le relazioni umane in questo tempo di limitazioni e trasformazioni profonde. Sarebbe un errore pensare solo all’Italia, quando ci troviamo di fronte alla globalizzazione del dolore e della tragedia che ha solo due strade davanti a sé: la chiusura nei nostri egoismi nazionalistici, alimentata da sciagurati populisti, che hanno avuto nel presidente Trump il loro massimo esponente, oppure un ritorno a una reale solidarietà, come sta dimostrando l’Unione Europea, dopo anni di divisioni, ritrovando i motivi della solidarietà, uno dei suoi principi ispiratori.

Attribuire meriti a questa pandemia sarebbe assurdo, ma occorre riconoscere che è riuscita, involontariamente, a far riscoprire alcuni valori familiari e sociali che avevamo dimenticato. Oltre al valore della famiglia, c’è anche quello dell’amicizia e delle relazioni sociali e perfino della scuola. Anche gli studenti, che prima scioperavano per non andare in classe, oggi protestano per tornarci. E’ proprio vero: le cose si apprezzando quando si perdono.

Anche a livello politico sarà necessario interpretare il cambiamento con nuove idee e nuova programmazione. Non si potrà continuare con la politica degli anni 60 e 70 basata sugli appalti per le opere pubbliche, ma si dovrà dare più spazio all’ambiente e alla qualità della vita. Non ci sarà spazio per il finto verde per mascherare l’incapacità di gestire.

A pagare il prezzo più alto saranno i giovani, già precari, che si ritroveranno sul mercato del lavoro con sbocchi ridotti, senza che siano state predisposte soluzioni alternative (e a Molfetta non è certo il porto, lo sbocco occupazionale, ammesso che si riesca a terminare). Ci si è limitati ad erogare sussidi a pioggia che lasceranno traccia sul debito pubblico che dovranno essere proprio i nostri figli a pagare.
La crisi sanitaria, climatica, demografica rischia di trasformarsi in crisi democratica, a causa dell’instabilità che stiamo vivendo, con una crisi sociale che provoca l’aumento delle diseguaglianze e il declassamento del ceto medio. Ecco la necessità di intercettare il bisogno di cambiamento, con idee nuove e uomini nuovi, non proprio anagraficamente, ma soprattutto culturalmente.

La gente è sempre più manipolata e manipolabile attraverso i social: Trump docet. Il presidente Usa è stato il modello di riferimento per la destra italiana che ha esaltato la mediocrazia, contestando ogni iniziativa governativa, invece di puntare sull’emergenza per una politica comune, ha scelto la strada del conflitto per aumentare i consensi. Eppure i grossi problemi italiani, in una carenza di riforme strutturali, restano, come ripetiamo da tempo, l’enorme debito pubblico, la disoccupazione giovanile e la mancanza di lavoro in genere e la spaventosa evasione fiscale.

Occorre, invece, come avvenuto con altri Paesi, sforzarsi di puntare a una risposta globale ad una sfida planetaria attraverso l’economia circolare. Serve una discontinuità per riscrivere il tempo presente inserendosi in un discorso globale e non solo nazionale. L’alternativa è rileggere le relazioni umane, se non si vuole annegare nel nazionalismo. L’Europa in questa situazione ha dato buona prova nella politica del welfare, dando lezione anche agli Stati Uniti. La via socialista di mercato è diventata vincente rispetto al capitalismo occidentale. Con l’aumentata presenza dello Sato, al quale tutti hanno chiesto aiuti, sono stati introdotti, col Covid, anche inconsapevolmente, elementi di socialismo.

Ma è stato il trionfo della tecnologia quello che ha permesso sia la didattica a distanza, lo smart working, ma soprattutto l’intelligenza artificiale e i Big data (che hanno consentito di mettere in comune dati e informazioni sul virus) riuscendo a produrre un vaccino in tempi rapidissimi, impensabili in passato. L’automazione, dipinta come la fine del lavoro, in questo caso si è presa la rivincita, presentandosi come evoluzione. Se l’Italia avesse studiato e preparato in tempo il cambiamento, non si troverebbe ancora svantaggiata. Quella sorta di luddismo moderno ostile alla tecnologia, alimentato da settori conservatori della destra egoista e affarista, ha fatto intravedere poche vie d’uscita, che hanno spinto i lavoratori, soprattutto quelli licenziati e disperati, ad accettare impieghi di grado inferiore, con una dequalificazione complessiva della forza lavoro e soprattutto con il ritorno a forme di sfruttamento che sembravano dimenticate. E tanti che hanno votato per Trump in Usa e per Salvini e Meloni in Italia, lo hanno fatto spinti dalla disperazione. La recrudescenza di problemi razziali è dovuta anche a questa situazione cavalcata dai populismi che non hanno prodotto mai nulla di buono, anzi hanno portato alla conflittualità fra i popoli.

Dice il matematico Ian Stewart, membro della Royal Society, che siamo arrivati alla negazione e alla svalutazione della verità e dell’evidenza razionale. Di qui la necessità di mettere il bene comune alla base di tutto, anche dei sussidi, per evitare che la forte dipendenza dalle risorse pubbliche, possa alimentare l’egoismo sociale.

L’agente infettivo è diventato anche un agente sociale, mettendo in contrapposizione giovani e anziani. Il virus si è impadronito del tempo e ha dato spazio alla rassegnazione, mentre occorre restituire un futuro al Paese, puntando alla salvezza collettiva, altrimenti non se ne esce.

Ecco perché si deve evitare di passare dal secolo breve (il Novecento) al secolo della solitudine, come l’ha definito l’economista e saggista inglese Noreena Hertz alimentato dai nuovi populismi e dai movimenti di estrema destra e da social network e internet che creano l’illusione di una comunità che non è reale, ma virtuale.

La riscoperta della comunità reale è l’unica strada per un reale ritorno al futuro.
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Felice de Sanctis
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