FELICE DE SANCTIS - Governo senz’anima e senza progetto o visione. E’ questa l’esperienza politica che Molfetta sta vivendo da due anni e mezzo a questa parte, da quando, cioè, l’ex sindaco di centrosinistra Paola Natalicchio aveva provato a cambiare la politica locale, senza riuscirci, gettando la spugna e obbedendo impulsivamente e umanamente a un moto di delusione, che ha lasciato orfana la sinistra, ma anche la città. Paola, è così caduta nella trappola della sua stessa maggioranza e del Pd in particolare, che già studiava gli scenari futuri di alleanze “ciambotto” con l’unico obiettivo di raggiungere il potere. Così le terze e le quarte file della politica, sono assurte a protagoniste per “gestire” la città.
E sì perché la stagione della vittoria della Natalicchio è stata l’ultima che ha fatto sognare Molfetta, provando ad immaginare un progetto, una visione di società, un modello, un percorso e soprattutto una prospettiva sulla quale investire e scommettere. E la partecipazione di popolo fu notevole, come quella che oggi si vede con le sardine. Forse Paola è stata la prima sardina, finita però nella pancia di quei pesci grossi e affamati che avrebbero realizzato il ciambotto.
Nasce così la giunta di destracentro con qualche residuo di sinistra voltagabbana (leggi il Pd) che, pur di governare, si è trasformato in lista civica al servizio di Emiliano, novello Noè che traghetta tutto nel proprio porto (non quello di Molfetta).
Si definisce subito amministrazione del fare, con a capo un politico esperto come Tommaso Minervini, già sindaco in passato. E come primo obiettivo si dà quello di demolire tutto il passato: “è stato un disastro, noi siamo i bravi e sistemeremo ogni cosa”. E questo è già il primo errore: non si può rinnegare un passato del quale si è parte integrante e nel quale tutti gli amministratori attuali hanno avuto un ruolo non secondario, sia col sindaco Azzollini, sia con la Natalicchio.
In pratica, rinnegano se stessi, ma per giustificarsi demonizzano i loro ex sindaci: Azzollini a destra e Natalicchio a sinistra. Ma non dicono che molti dei provvedimenti che oggi vengono realizzati, sono stati avviati proprio dai predecessori. Soprattutto dalla Natalicchio che, con le sue dimissioni, in pratica, ha lasciato molte opere incompiute, per le quali erano stati già superati gli ostacoli più grossi, come ben sa il presidente del consiglio comunale Nicola Piergiovanni (che ripeteva spesso). Insomma, una strada in discesa, che i nuovi gestori della cosa pubblica percorrono senza difficoltà anche per la disponibilità finanziaria garantita dall’ex sindaco Antonio Azzollini con i fondi per il nuovo porto. A questi si aggiungono i mutui e i debiti che pagheranno i nostri figli.
Ecco il collante del “ciambotto”, che ha messo insieme anime diverse di destra e una presunta anima di sinistra quale era il Pd, a guida di un segretario partito da destra per arrivare a sinistra per opportunismo politico. «Perché farci sfuggire l’occasione di “appropriarsi” di un’eredità politico-finanziaria che rendeva tutto più facile?», si sono detti i protagonisti di quest’armata Brancaleone.
Per attuare il progetto, occorreva una guida che conosceva bene la macchina amministrativa come Tommaso Minervini, con esperienza di governo, grande lavoratore, un politico che amava la propria città ed era disponibile a tornare al governo con la destra, lui ex socialista che in passato aveva già percorso quella strada per arrivare alla massima carica cittadina. Ma Tommaso, non avendo un proprio bacino elettorale, doveva giocoforza affidarsi alle liste civiche, capeggiate dall’altro uomo di destra, Saverio Tammacco, spostatosi velocemente nella “sinistra” di Emiliano, per ragioni di potere. In questa situazione lui faceva il sindaco ombra, condizionando Minervini debitore alle liste civiche di un’elezione altrimenti impossibile.
Un sindaco che per rilanciare la propria città, non ha esitato, in tempi di crollo delle ideologie, a venire a patti con le destre che aveva combattuto in passato, ma che ora lo avrebbero condizionato. Così è stato: basterebbe il proliferare dell’edilizia (vera anima nera della città) a dimostrarlo.
Intanto ora si avvicinano le elezioni regionali e il Tammacco, al quale il successo è sfuggito per un soffio la volta scorsa, mira ora ad ottenere il risultato pieno, contando sui consensi prodotti dall’amministrazione comunale “ciambotto”, che non ha lesinato nelle spese e nelle opere pubbliche, spesso inutili, ma “visibili”. Una politica vecchia da anni Sessanta e Settanta, quando l’edilizia e soprattutto le opere pubbliche rappresentavano un sicuro veicolo elettorale, accompagnato da inaugurazioni e tagli di nastri con monsignore al seguito. Sembra di guardare vecchie foto in bianco e nero.
Ecco i cantieri perenni, ecco un verde pubblico mal gestito con l’effetto annuncio per dare l’illusione che la città sia in movimento, mentre il sindaco in buona fede sogna la coesione di una comunità che non esiste e che non si sente partecipe di un progetto finto.
Un bluff mediatico, accompagnato dal solito sito fiancheggiatore che ai comunicati entusiastici dell’ufficio stampa del sindaco, aggiunge di suo anche elogi e meriti di questo presunto rinascimento cittadino.
Intanto ora per l’amministrazione Minervini è tempo di procedere allineati e coperti dietro Tammacco per arrivare alla sua elezione al consiglio regionale. A contrastare questa avanzata, forte anche della debolezza della sinistra ancora intontita e smarrita e a prenderne le redini, si propone l’ex sindaco Dc, Annalisa Altomare, candidandosi anch’ella alla Regione, sempre per Emiliano, con l’obiettivo dichiarato di raccogliere i voti di tutti coloro (e sono tanti) a cui non va di ingoiare il “rospo” Tammacco. E si vocifera di un’altra candidatura, ancora in pectore, che sarà resa pubblica nei prossimi giorni.
In questo scenario, quale sarà il ruolo che giocherà l’ex sindaco ed ex senatore di Forza Italia Antonio Azzollini, sbalzato di sella da Carmela Minuto che gli ha sottratto il seggio, facendolo finire nel dimenticatoio? Liberatosi da ingombranti processi, Azzollini ora punta al suo rilancio in politica e sta studiando le mosse dei suoi ex amici, che gli hanno voltato le spalle nel momento delle difficoltà. In realtà l’ex senatore non possiede una grossa consistenza elettorale personale, il partito è in parte passato con la nuova senatrice azzurra e i suoi sergenti stanno già schierati altrove. Perfino un collettore di voti come Pino Amato, perduta la possibilità di ottenere una candidatura regionale dalla dissolta Udc (forse è rimasta solo a Molfetta), si sarebbe avvicinato al “ciambotto” del quale ufficialmente continua ad essere oppositore in consiglio comunale.
Ad Azzollini restano due strade per recuperare consensi: allearsi con Fratelli d’Italia oppure prendere in mano le redini della Lega (alla quale ha regalato le quote latte, quando era presidente della Commissione Bilancio del Senato) per cavalcare l’onda salviniana finché dura.
E la città sta a guardare e a guardarsi: sporca, incivile, rissosa, individualista, diffidente, povera, con i suoi giovani che emigrano per trovare quel lavoro che qui non c’è e che non arriverà con la ripresa del cantiere del nuovo porto commerciale, la cui conclusione, se mai ci sarà, li vedrà già pensionati. E una classe imprenditoriale, priva di cultura d’impresa, poco sognatrice, molto “bottegaia”, ancora legata all’assistenza pubblica e alla politica, non è certo in grado di creare stabili posti di lavoro, di innovare e investire, ma di conservare l’esistente, timorosa di scelte visionarie e del coraggio necessario per dare una svolta alle proprie aziende e alla città.
In questo scenario, Molfetta si candida a capitale italiana della cultura, con concorrenti ben più attrezzate e agguerrite da Trani a Barletta, da Bari a Taranto, solo in Puglia. In questo sì, non basta la buona volontà e l’impegno reale del sindaco, perché l’amministrazione comunale è molto visionaria, nel significato peggiore del termine.
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