FELICE DE SANCTIS - È stato un incontro con la Storia la visita di Papa Francesco a Molfetta. Ma non quella storia evocata da chi vuol far risuonare la spettacolarità, l’unicità, la rarità dell’evento che resta tale, ma la Storia di un Pontefice che si inginocchia ad un sacerdote, a un vescovo, dimostrando che la Chiesa del grembiule non è uno slogan ripetuto e citato di don Tonino Bello, ma è un modo di vivere. E’ quel vivere per servire, altrimenti non serve per vivere.
È stato un incontro a distanza fra due uomini di Chiesa, tra due uomini di fede, tra due profeti di pace, tra due pastori “armati” dello stesso pastorale che guida il popolo di Dio, l’unico capace di trasformare una vita in una festa, come ci ha ricordato Francesco.
Ora Francesco e Tonino camminano insieme, parlano la stessa lingua, come dimostrano le citazioni del Papa che ha assimilato la poesia delle parole di don Tonino e ha instaurato un dialogo con lui. E’ questo il miracolo del potere dei segni. Non sappiamo quante di quelle migliaia di persone accorse a “vedere il Papa” siano coscienti della profondità di questo incontro e di questo dialogo a distanza, perché Don Tonino, “seminato nella sua terra” ci viene incontro dal futuro non dal passato. Perché lui è già futuro, un Pastore fattosi popolo come ci ricorda Francesco perché davanti al tabernacolo amava farsi mangiare dalla gente.
E quel profumo di popolo era tutto nell’aria quella mattina del 20 aprile scorso trasformatosi da giorno triste del ricordo di una perdita di 25 anni fa, nel giorno di festa per la ritrovata presenza di chi testimonia ancora i valori di pace e di fratellanza in una terra vocata alla pace, finestra aperta sul Mediterraneo, ponte di accoglienza per i poveri del mondo. Tonino e Francesco ci dicono: Non ti scoraggiare, Chiesa di Dio, anche se il compito che ti ha assegnato il Risorto la sera di Pasqua è difficile, richiede una carica eccezionale di speranza, e ti espone costantemente al rischio di essere giudicata ingenua, visionaria o sognatrice ad oggi aperti.
Occorre, perciò, essere visionari e combattere le tante ingiustizie consumate sulla pelle dei poveri. E’ questo il messaggio di Tonino che Francesco rilancia dalla sua terra e ci spinge al coraggio della verità, senza essere “prigionieri del calcolo, vestali del buon senso, guardiani della prudenza, sacerdoti dell’equilibrio”. Ecco perché appaiono miserabili tutti quei segni del potere (o presunto tale) che si sono manifestati nel distribuire privilegi per accattonare consenso politico, da parte di personaggi squallidi che caratterizzano lo scenario locale.
Al di là dell’ipocrisia palpabile di una minoranza, il 20 aprile ha visto protagonista il popolo di don Tonino, quello dei semplici, dei poveri, dei disabili che hanno cercato la carezza di Dio nel suo apostolo Pietro che, come ha voluto la profezia, è venuto a fare visita al vescovo degli ultimi e alla sua gente, quel popolo in attesa per ore per celebrare i suoi due pastori e farsi guidare lontano dalle “tentazioni ricorrenti di accodarsi dietro i potenti di turno, a ricercare privilegi, ad adagiarsi in una vita comoda” per diventare, invece, “corrieri di speranza” di un mondo migliore e di una società più giusta, dove tutti trovino il proprio posto e dove la dignità del lavoro sia predominante sul “profitto con la sua avidità”.
Bando allora agli «specialisti della perplessità, ai contabili pedanti dei pro e dei contro, ai calcolatori guardinghi fino allo spasimo prima di muoversi» e spazio ai giusti, agli onesti a chi si mette al servizio della comunità, non per servirsene, ma per donare il proprio tempo per il bene comune. Perché non bastano “le opere di carità se manca la carità delle opere” come ci ha insegnato il nostro Pastore. Dovremmo provare vergogna per i nostri immobilismi, le nostre continue giustificazioni per sfuggire alle responsabilità che dovremmo assumere quando ci mettiamo al servizio degli altri.
Sono tanti, perciò, i messaggi che Papa Francesco ci ha lasciato: no ai compromessi col potere, scegliendo la non violenza come una priorità, senza scoraggiarsi di fronte alla frantumazione dei nostri sforzi e alla povertà dei risultati. Essere testimoni di pace al servizio della verità sulla sequela di don Tonino, che resta presente in mezzo a noi e lo dimostra col potere dei segni che si manifestano in tutta la loro forza. E anche se tanti, domani avranno già dimenticato questo giorno di storia e i suoi messaggi scomodi, il popolo dei semplici continuerà nella sua missione disinteressata verso una Chiesa appassionata dell’uomo, sempre col grembiule. Perché la Storia siamo noi.
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