Il cavallo di Troia
15/01/2018

Felice de Sanctis

Ci è venuto a mente il mito omerico del cavallo di Troia, utilizzato dai greci nel 1184 a. C., oltre 3200 anni fa per espugnare la rocca di Ilio, pensando alla storia politica di Tommaso Minervini. La similitudine omerica gli si addice considerando che nella sua prima volta da sindaco, nel 2001, utilizzò il centrodestra di Fini e Berlusconi per arrivare a Palazzo Giovene. In quell’occasione contribuì a creare o quantomeno a rafforzare la figura politica del sen. Antonio Azzollini, che fece parte anche della sua giunta, per poi scaricarlo e prendere il suo posto nella consiliatura successiva.

Ora da una coalizione di centrosinistra ha fatto da cavallo di Troia per espugnare il centrodestra ed emarginare il senatore rimasto senza truppe, passate col nuovo condottiero Tommaso che si è smarcato anche a sinistra e ha messo su una coalizione di destracentro, da “Quindici” ribattezzata il “ciambotto”, che ha vinto le elezioni amministrative e governa Molfetta. Un capolavoro politico-strategico, che spiega l’odio e l’avversione feroce di Azzollini e di Isa de Bari, candidata sindaco sconfitta, che non avevano fatto i conti col Fattore T, quando facevano opposizione dura, anche a colpi di carta bollata all’amministrazione di centrosinistra di Paola Natalicchio.

La metafora del cavallo di Troia è un inganno frequente nella politica di oggi, sia a livello locale sia nazionale e spiega i continui cambiamenti di fronte e le alleanze anomale, come quella di Molfetta, che ha coinvolto anche il PD trasformatosi quasi in una lista civica di centrodestra (una sorta di novella Dc), tenuto conto che la sua componente di sinistra ha abbandonato il partito.

Ma c’è un’altra componente nella coalizione di maggioranza, che non può essere ignorata, la vichiana eterogenesi dei fini, che comporta conseguenze non intenzionali ad azioni intenzionali. Le azioni umane, secondo questo principio, possono portare al conseguimento di fini diversi da quelli prefissati. Insomma, nell’intento di raggiungere una finalità, c’è il rischio che si arrivi a conclusioni opposte.

«Pur gli uomini hanno essi fatto questo mondo di nazioni [...] ma egli è questo mondo, senza dubbio, uscito da una mente spesso diversa ed alle volte tutta contraria e sempre superiore ad essi fini particolari ch'essi uomini si avevan proposti» ammoniva Giambattista Vico in Scienza nuova (1774). E riutilizzando gli stessi strumenti per altri fini e ricombinandoli con le azioni collettive, si possono ottenere risultati talvolta persino paradossali, non calcolabili né con regole né con l’esperienza. Del tutto imprevedibili e in antitesi rispetto ai fini originari.
Anche l’economista e sociologo italiano dell’Ottocento Vilfredo Pareto nel suo “Trattato di sociologia generale” nella parte riguardante la definizione dei tipi di azione sociale e l’analisi della loro logicità e non-logicità, definisce l’eterogenesi dei fini l'esito di un particolare tipo di azione non-logica dell’essere umano e della collettività.
Del resto nella lingua greca, eterogenesi è una parola composta da altre due: eteros e genesis. Eteros equivale ad altro. Genesis equivale a nascita, origine. Perciò Eterogenesi significa “nascita di ciò che è altro, diverso... contrario”.
Queste riflessioni ci sono venute a mente nel corso dell’intervista al sindaco che vi proponiamo in altra pagina, soprattutto di fronte a “candide” ammissioni come quella dell’ineluttabilità della politica e della divisione quanto più larga possibile dei “pani e dei pesci” per garantire la stabilità o l’ammissione di aver lasciato un Comune indebitato nella sua scorsa esperienza, perché “così fan tutti” e lo avevano fatto perfino suoi predecessori del calibro di De Cosmo e Finocchiaro.

“Passo intere giornate a sanare gli errori del passato”, ha detto Minervini, quasi a sottolineare la sua missione salvifica nei confronti della città, superando i modelli politici del Novecento, come i partiti, e sposando una sorta di antipolitica che però potrebbe aprire la strada al qualunquismo o a qualcosa di peggio, che potrà travolgere anche lui. Ecco l’eterogenesi dei fini.

Tommaso Minervini, forse, crede nell’astuzia della ragione Hegeliana, cioè che un’azione compiuta per la gloria personale, possa avere benefici a carattere generale. Ecco perché considera naturale avere tante deleghe, le più importanti, in quanto ritiene di dover controllare tutto e, così, lo fa direttamente in prima persona a beneficio della collettività.

Questo passa dal presupposto che le forze della coalizione siano sempre obbedienti, perinde ac cadaver, e, come un corpo morto si facciano portare ovunque da lui o da altri dietro di lui. Appunto chi c’è dietro tutto questo? Ecco perché non si fida e vuole leggere e vedere tutto e, per evitare più passaggi, lo fa direttamente. Una spiegazione plausibile all’accentramento delle deleghe. Tra l’altro la qualità del personale politico è molto bassa e quindi Tommaso con la sua esperienza politica e amministrativa, non teme i tranelli che lui ha compiuto ai danni di altri (Guglielmo Minervini e Paola Natalicchio).

Ritiene perfino utile e produttivo il nuovo porto commerciale, che ha preso l’impegno di portare a termine nel più breve tempo possibile e sicuramente prima della fine del suo mandato quinquennale, per sottrarre al sen. Azzollini, il suo cavallo di battaglia e seppellirlo politicamente in modo definitivo.

Del resto il povero Azzollini oggi è in affanno per conquistare una candidatura al parlamento nella sua difficile posizione di carenza di voti e soprattutto per il coinvolgimento in due processi penali pesanti come quello del porto commerciale di Molfetta e della Divina Provvidenza di Bisceglie. Sono situazioni che non giocano a suo favore e il ritorno alla casa del padre Berlusconi ha avuto anche questo come obiettivo, considerato che l’ex Cavaliere non potrà criticare altri per altre situazioni giudiziarie nelle quali anche lui è rimasto coinvolto.

E le prossime elezioni politiche saranno la cartina di tornasole per valutare i rapporti di forza delle due componenti di destra, mentre la sinistra, divisa come non mai, si lecca le ferite della caduta dell’amministrazione di centrosinistra e si interroga sul suo futuro, senza però riuscire ancora una volta a fare fronte comune. Ma questo argomento lo affronteremo in una prossima occasione.

Le elezioni, infatti, potranno avere una ricaduta politica anche a livello locale, dove l’incertezza ha determinato il proliferare delle liste civiche, costringendo perfino il Pd a trasformarsi in tal senso.

Il dibattito quindi, oggi non è più nella ricerca di una prognosi, ma nella diagnosi della crisi della politica. Non è la cura, ma è la malattia.

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