Lo ius soli una battaglia di civiltà
15/10/2017
FELICE DE SANCTIS - «Immigrati, per favore, non lasciateci soli con gli italiani…», questa scritta su un muro è la risposta più significativa a chi oggi si scatena contro lo ius soli (diritto legato al suolo, al territorio), espressione latina utilizzata volentieri in politica per rendere più incomprensibile il significato di un diritto scontato, necessario. Almeno sulla carta, per la nostra cultura della tolleranza e dell’accoglienza e soprattutto per il buonsenso. Invece, sul diritto di cittadinanza ai figli degli immigrati che sono nati, vivono in Italia, parlano la nostra lingua, amano il nostro Paese e non conoscono nemmeno da lontano il Paese dei loro genitori, si sta scatenando la più vergognosa, anticristiana e anticivile delle battaglie, figlia di un razzismo senza ragioni. Cerchiamo allora di spiegare di cosa si tratta, considerato che molti italiani, come hanno dimostrato diverse interviste televisive, non conoscono non solo il significato del temine, ma nemmeno quale diritto realmente si concede con questa legge di cittadinanza, moto attenuata rispetto a quella di altri Paesi, primo fra tutti gli Stati Uniti. Attualmente è in vigore la legge 91 del 1992 che prevede lo ius sanguinis (diritto di sangue), cioè un neonato è italiano solo se uno dei due genitori lo è. Tutti gli altri possono diventarlo ma solo al compimento dei 18 anni e solo se, dal momento della nascita a quello della richiesta, la residenza è sempre stata in Italia. Le uniche eccezioni che prevedono l’applicazione dello ius soli riguardano i figli di ignoti o apolidi, i cui genitori, insomma, non possono in alcun modo trasmettere al neonato la propria cittadinanza. Sostenuto da una parte del Partito Democratico, ostacolato da Forza Italia, Lega Nord e Movimento 5 Stelle (quest’ultimo ha annunciato l’astensione dal voto al Senato dove la legge è ferma, come già fece alla Camera), il disegno di legge in discussione introduce automaticamente lo ius soli temperato a chi nasce in Italia da genitori stranieri, ma solo nel caso in cui uno dei due genitori sia titolare del permesso Ue per soggiornanti di lungo periodo. Tutti gli altri (gli extracomunitari, in pratica) possono inoltrare la domanda solo nel caso in cui nel nucleo familiare uno dei due genitori disponga di un reddito pari o superiore all’importo annuo dell’assegno sociale, di un alloggio idoneo e abbia superato il test sulla lingua italiana. L’altra via per un minore straniero è richiedere la cittadinanza in base allo ius culturae (diritto di cultura) che passa dalle aule di scuola e la concede agli stranieri nati o arrivati in Italia entro i 12 anni di vita che hanno frequentato almeno 5 anni di scuola e completato almeno un ciclo (elementari o medie) di studi. Quelli arrivati dopo i 12 anni, invece, possono ottenerla alla maggiore età e solo dopo aver concluso un ciclo, il che non è una novità da poco dal momento che introduce il concetto di merito. Tra i potenziali beneficiari dello ius soli e quelli dello ius culturae si stima che i nuovi cittadini italiani sarebbero appena 800mila. Insomma, tra ius soli, ius sanguinis e ius culturae, il latino crea qualche confusione e loro, i più piccoli, si ritrovano strizzati nella morsa della politica e dell’ignoranza. Vediamo alcune cifre: nel 2015 sono nati 488mila bambini, 73mila di loro (il 15%) sono figli di genitori stranieri, 28mila hanno solo un genitore straniero. A questi numeri vanno aggiunti gli oltre 25mila minori arrivati Italia non accompagnati, 6mila dei quali persi nel nulla. Insomma, un vero e proprio esercito di minori scappati (con o senza le loro famiglie, prima o dopo la nascita fa poca differenza) da guerre, carestie, violenze e povertà, che il giorno del 18° anno di età si ritrovano a vivere con meno diritti dei loro compagni di banco. Condividiamo quanto scrive Chiara Saraceno su Repubblica: «Continuare a tenere ai margini, come estranei da non ammettere a un'appartenenza comune, dei bambini, adolescenti, giovani che aspirano a questa appartenenza rischia di farli sentire e comportarsi come tali: senza obblighi perché privi di reciprocità, risentiti, ostili. È una meraviglia che questi ragazzi e giovani continuino ostinatamente a rivendicare la propria italianità. Sono di fatto italiani». E sempre in tema di cifre che descrivono più chiaramente e precisamente la situazione di quanto non faccia la propaganda razzista e interessata della destra, riportiamo i risultati di un recente sondaggio dell’Osservatorio Europeo sulla Sicurezza che certifica come la quota di italiani favorevoli allo ius soli sia calata al 52% dal 57% di giugno 2017 e dal 70% di febbraio dello stesso anno. Negli anni precedenti il dato aveva toccato anche percentuali dell’80%. Un crollo verticale provocato dalla propaganda xenofoba. Ecco che cavalcare la tigre della paura (dovuta crisi economica e al terrorismo), fa il gioco di razzisti e fascisti, che sperano così di veder crescere i loro voti come è avvenuto in Francia e Germania. La cultura della paura non ha fatto mai bene all’Italia, ma anche agli altri Paesi. Non dimentichiamo che le due guerre mondiali sono nate proprio da questa percezione di paura. E oggi il sentiment degli italiani, in un Paese sempre più povero, sempre più vecchio (i giovani vanno all’estero, ma c’è anche un forte calo delle nascite) è quello del timore del peggio, di un futuro di minoranza nella propria terra. In realtà siamo di fronte ad una grande sconfitta culturale, che il Pd, con le sue ambiguità e i suoi opportunismi elettorali, ha contribuito a creare, quando avrebbe dovuto favorire la cultura della tolleranza, tipica non solo della matrice cristiana della nostra società, ma anche della tradizione della sinistra. La scelta multiculturale, invece, può arricchire il nostro Paese non solo dal punto di vista economico (quest’anno le imprese di extracomunitari sono cresciute del 20%, mentre quelle italiane sono calate del 2,9%: il che significa che gli stranieri hanno portato ricchezza e dato lavoro anche a noi), ma anche sociale e umano. E aggiungiamo anche da quello della sicurezza, perché non accettare l’integrazione, significa spingere tanti giovani verso la criminalità organizzata. Non bisogna dare ascolto alla pancia della gente, ma ragionare in modo intelligente. Non dimentichiamo che siamo stati anche noi emigranti e che gli Stati Uniti sono diventati il Paese più importante del mondo grazie all’integrazione razziale che, oggi, uno scellerato presidente come Trump vorrebbe cancellare, riportando indietro l’orologio della storia. Non possiamo lasciare un milione di italiani senza cittadinanza. E’ una battaglia di civiltà: gli amici dei nostri figli devono avere gli stessi diritti, le stesse opportunità, gli stessi punti di partenza. Va incentivata, invece, la cultura dell’accoglienza, come ci ha insegnato don Tonino Bello. Solo allora riusciremo a non essere più un Paese in decadenza, che in questo caso rischia sì di essere colonizzato, se non riesce ad integrare le culture. E allora veramente ci sarà da fare appello agli immigrati perché ci difendano dagli italiani. Quelli peggiori. QUINDICI – 15.10.2017 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
Copyright© 2006 Felicedesanctis.it .Tutti i diritti riservati. Powered By Pc Planet