Il trasformismo di nani e ballerine
15/11/2016
FELICE DE SANCTIS - Trasformismo è il termine che più si addice alla situazione politica attuale, che vede in campo forze più o meno politiche che hanno matrici diverse, convergere su un obiettivo comune: la conquista del potere e magari il perseguimento di interessi che possono essere politici o economici dettati dalle lobby cittadine, prima fra tutte quella dei costruttori o meglio dei palazzinari. Certamente dai tempi di Agostino Depretis, inventore della formula del trasformismo nel lontano 1880, acqua ne è passata sotto i ponti, ma non è stata sufficiente a modificare il dna italiano che nel trasformismo si riconosce profondamente. E i cicli politici, ma anche storici, ritornano puntualmente e vichianamente sia in Italia che a Molfetta. La storia insegna, ma non ha scolari, come diceva saggiamente Cicerone e gli italiani spesso si innamorano di qualcuno, pentendosene amaramente dopo 20 anni, sprecati invece di per migliorare e cambiare il Paese. Così l’Italia resta indietro, gli altri avanzano e noi ci ritroviamo sempre a piatire (oggi all’Europa) uno zero virgola in più per andare avanti e non affrontare manovre economiche correttive più pesanti del solito. E’ quello che sta succedendo in questi ultimi anni e soprattutto mesi, col fenomeno del populismo galoppante che siamo stati capaci di esportare anche negli Stati Uniti, come una volta esportavamo la mafia. Abbiamo fatto scuola negli States che si sono ritrovati un Trump che mai avrebbero immaginato, alla più alta carica dello Stato. E la cosa non può lasciare indifferente il resto del mondo, tenuto conto dell’influenza che gli Usa esercitano a livello planetario. Anche a Molfetta il trasformismo, per usare un termine “nobile” che nasconde in realtà il più locale “ciambotto”, la zuppa di pesce alla pugliese che nobilita un piatto mettendo insieme specie diverse, col risultato di un’ottima pietanza. Si saranno ispirati a questa specialità culinaria, coloro i quali si stanno cimentando nella composizione di una coalizione di governo in cui siano presenti tutti e il contrario di tutti? Cosa tiene insieme anime diverse, se non gli interessi di potere? Come pensano di poter governare costoro, dove è caduta la passata amministrazione di centrosinistra, proprio a causa di conflitti fra le diverse anime interne che pure si proclamavano di sinistra, figurarsi ora fra anime meticce? Forse il mastice del potere non basta a spiegare il fenomeno, se non si considera il livello dei personaggi di queste aggregazioni eterogenee: voltagabbana, seconde e terze file della politica, che assurgono al ruolo di protagonisti. Del resto non è un mistero che il venire meno di figure forti e rappresentative, rimaste, non si sa se per scelta o per caso, senza eredi, abbia lasciato spazio a mediocri soggetti o a cariatidi del passato, ormai consunte o a dinosauri estinti, ma clonati da chi non aveva di meglio da proporre come candidato sindaco. E la fioritura di liste civiche che ci attende, ma che è già cominciata, ne sono un significativo segnale. Si va da quelli che vogliono mettere jeans e scarponi moderni a Garibaldi (una pubblicità eufemisticamente insignificante, che rischia di divenire un boomerang come quella degli aeroplanini di carta) a quelli che si vogliono dare una mossa e l’attendono dall’alto, come una manna dal cielo, per la quale è pronta già la dea politica in grado di risolvere ogni problema. Considerato che Garibaldi non ha portato bene al Mezzogiorno e che quindi adottarlo come simbolo significa ignorare la storia, darsi una mossa dimostra il timore che il populismo alla 5 Stelle o peggio alla Salvini, possa attecchire anche da noi. Ma la divisione in tanti pezzi del Movimento di Grillo, oggi non sembra produrre una prospettiva politica, se non un voto di protesta di limitata portata. E sì, perché a Molfetta sono tornati i signori delle tessere, convinti di poter mettere insieme, ciascuno per la propria parte, 2.000, 3.000 voti o anche 500 da sommare agli altri per fare il numero necessario ad eleggere un sindaco. Se non si ricorre al voto di scambio, già praticato in passato da qualcuno del centrodestra, difficilmente si riuscirà a pilotare i cittadini verso il proprio candidato. E qui Trump ha molto da insegnare anche a una sinistra divisa fra ex amici di Guglielmo (Dèp) che si esercitano nelle prove di ritorno al futuro nel Pd (oggi di Piero de Nicolo, che lo ha ridotto al lumicino e in brandelli, domani di chissà quale erede designato) e i Rifondaroli “duri e puri” (di facciata), che restano settari e incapaci di dialogo per la loro radice elitaria e una logica stalinista verso coloro che azzardano una critica per una purezza tutta da dimostrare. Poi c’è Sinistra italiana, gruppo emergente, ma che a Molfetta ha già due anime non proprio dialoganti fra loro, anzi estremamente diffidenti. E tutto ciò perché a Molfetta la politica non la fanno le forze politiche, ma i personaggi con le loro simpatie e antipatie, che diventano maggioranza quando si aggregano e suicide quando entrano in conflitto. Parlare alla pancia della gente, può portare a un successo politico, ma non certo al progresso della città. E’ l’effetto della fine delle ideologie, che vede anche a destra una situazione confusa, con una parte delle forze politiche che si riconosceva in Azzollini, oggi inginocchiata da Emiliano, per recuperare qualche briciola di incarico (vedi vari Tammacco, Caputo & C.) e lo stesso senatore isolato e alla ricerca di una convergenza con quelli che si proclamano i salvatori della patria, i congiurati dell’ex sindaco Paola Natalicchio, i Bruto, pronti a incassare il premio del loro omicidio politico. Ma l’ex sindaco Azzollini, che come trasformista non teme confronti, avrebbe deciso di combattere la propria battaglia su due fronti: uno quello di Forza Italia, sua formazione ufficiale al momento e una lista civica che appoggerebbe il centrosinistra e nella quale farebbe confluire i suoi voti più consistenti. E questo per non subire l’ira del suo mentore Schifani, che lui segue in ogni giravolta politica, annusando, volta per volta, la formazione vincente o comunque più conveniente sul campo. In questo Azzollini, bisogna riconoscerlo, è un buon cane da tartufo. La coalizione vincente alle passate elezioni si era messa insieme solo per battere il senatore, che ha capito la strategia e non vuole ripetere l’errore. All’epoca sbagliò candidato scegliendo Camporeale, questa volta il candidato proprio non ce l’ha e quindi preferisce ritagliarsi uno spazio (con potere di interdizione, una sorta di golden share) in quel fac-simile di centrosinistra che ha come “Giovanna d’Arco”, l’ex sindaco Annalisa Altomare (col contorno di qualche miserabile personaggio minore in cerca d’autore, insignificante che cerca disperata visibilità con le sue esangui esternazioni su facebook), vogliosa di misurarsi con la sua avversaria Paola Natalicchio e dimostrare di saper fare meglio di lei, imbarcando di tutto di più, compresi orfani e voltagabbana del centrodestra. Insomma, secondo i calcoli di questa formazione, non ci sarebbero avversari a destra e vincerebbero al primo turno, ma devono fare i conti con le aspirazioni di tanti altri personaggi come Nicola Piergiovanni, Tommaso Minervini, il rinfrancato Pino Amato e perfino con l’ultimo arrivato sulla scena Pasquale Mancini, ex azzolliniano di ferro che promette di stupire tutti per il suo programma trasversale e, secondo lui, ampiamente condivisibile. Su tutti incombe il convitato di pietra, quell’urbanistica speculativa e palazzinara, che ha condizionato da sempre i destini e la crescita (meglio sarebbe dire la decrescita o il mancato sviluppo) della città. La presenza di qualche imprenditore edile agli incontri di aspiranti candidati sindaci, non lascia tranquilli. Il consumo di suolo zero, che è stata la bandiera della Natalicchio, per questi “uomini nuovi” va ammainato in fretta, anche se Molfetta, come dimostrano di dati che pubblichiamo in un articolo all’interno di questo numero di “Quindici” la indicano fra quelle con indici più alto nella cementificazione e basso nella qualità dell’habitat. Una cosa è certa, la conflittualità sarà ancora più esasperata (la politica dei ricatti, a volte, premia e la doppia morale può essere utile da utilizzare per gli ingenui e i creduloni), con prospettive di insulti e attacchi ai non amici, alla stampa non allineata e scomoda, ai presunti avversari e anche ai dissidenti interni. Il conflitto è il modello che questi nuovi soggetti prediligono, pronti alla gogna e alla demonizzazione degli avversari, con una litigiosità e una violenza mai visti fatti di preconcetti, presunzioni e false verità. I soggetti che si propongono, infatti, tranne qualche rarissima eccezione, non hanno capacità di dialogo, non sono aperti al confronto. Nani e ballerine, avrebbe detto l’ex ministro Formica, con la sua formula di successo. Le danze sono cominciate. Ne vedremo delle belle, soprattutto dopo il referendum costituzionale, quando i giochi potranno cominciare. E noi di “Quindici” saremo qui a raccontare quello che gli altri non dicono. QUINDICI – 15.11.2016 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
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