FELICE DE SANCTIS - Ci sarebbe forse possibile vivere, se fosse corrotta quella parte di noi che viene turbata dall'ingiustizia, mentre dalle cose giuste riceve giovamento? È giusto o ingiusto che si cerchi di evadere pagando e ringraziando coloro che ci aiuteranno a farlo? Se ci sembra giusto, proviamoci; altrimenti, se ci apparirà chiaro che di un'azione ingiusta si tratta, non preoccupiamoci di dover morire o di subire qualsiasi altra pena, restiamo con tranquillità al nostro posto e diamoci pensiero, piuttosto, di non commettere ingiustizia. E se commettere ingiustizia è, per chi lo fa, cosa né buona né bella, noi non dobbiamo nemmeno ricambiare le ingiustizie, qualsiasi cosa gli altri facciano a noi. A condividere queste opinioni sono e sempre saranno in pochi, e fra chi la pensa così e chi no, non è possibile comunità d'intenti. Ma può sopravvivere, e non essere sovvertita, una città in cui si fa quanto è possibile per distruggere le leggi, una città in cui le sentenze non hanno efficacia, e possono essere invalidate e annullate da privati cittadini?
Ci è venuto a mente il celebre dialogo di Platone, il Critone, nel quale si parla del tentativo dei discepoli di convincere Socrate a fuggire dalla prigione, corrompendo i carcerieri e del rifiuto del filosofo greco, pensando allo scempio avvenuto a Piazza Minuto Pesce, con la distruzione dei banchi di vendita del pesce come segnale del proprio potere o meglio della propria prepotenza da parte di chi non intende rispettare le leggi e osa sfidare le istituzioni.
Con questo atto senza precedenti, che va condannato senza indugio, siamo all’esasperazione di quell’individualismo, tollerato e dilagato negli anni scorsi, in nome di una falsa libertà per cui piccoli e grandi reati che vengono tollerati, alla fine diventano abitudine, regola nell’evasione dalle regole, un malcostume diffuso che sfocia nell’illegalità diffusa.
Il rapporto con le regole non può essere di convenienza o peggio di paura, perché in tal modo si lascia a pochi delinquenti la facoltà di agire nel nome di tutti. E “il così fan tutti” o l’idea che bisogna accettare una realtà perversa, nella convinzione che “le cose non cambieranno mai”, diventano lievito per la micro criminalità, anticamera del crimine organizzato.
Ecco perché è indispensabile un recupero di moralità personale e di responsabilità individuale, che con l’esempio può divenire responsabilità collettiva, o meglio cultura del bene comune e del rispetto del patrimonio pubblico e dei diritti altrui. La depenalizzazione delle coscienze ha procurato a tutti un comodo alibi per esaltare la libertà individuale a scapito di quella collettiva. Perciò non può esserci legalità senza cultura. E l’esempio che viene offerto in consiglio comunale da alcuni rappresentanti dell’opposizione, non è certamente costruttivo, ma mortificante per l’immagine delle istituzioni.
Alla luce di queste considerazioni, si spiega, ma non si giustifica il barbaro gesto della distruzione del mercato, un comportamento inquietante, al quale ha fatto bene il sindaco a dare un segnale forte, di coraggio, non di paura. Perché gli autori del gesto sono dei vigliacchi che ricorrono a questi mezzi in quanto incapaci di affrontare a viso aperto la realtà, così la loro falsa arroganza nasconde una povertà di fondo che non riescono a mascherare.
Accanto alle responsabilità materiali, che ci auguriamo gli inquirenti riusciranno a individuare e sanzionare, ci sono quelle politiche di chi continua a seminare odio tutti i giorni, in una campagna elettorale continua, rivelatrice oltre che di una povertà di idee e di intelligenza, soprattutto una povertà di cultura civica. Le menti malate e disturbate che alimentano questo odio, fanno breccia, infatti, nella frustrazione degli sconfitti, i quali, privi di una cultura non solo istituzionale, ma anche sociale, cercano di recuperare terreno aggredendo gli avversari, considerati nemici da distruggere. E la città? Quella può attendere, ora è importante recuperare consenso a tutti i costi, anche sulla pelle dei cittadini e sulle spalle della città.
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Molti dei problemi di Molfetta nascono dall’urbanistica e dall’edilizia selvaggia che ha imperato per anni, favorendo speculazioni, arricchimenti (anche illeciti) e saccheggio del territorio.
Il mercato si è incaricato di fare giustizia di prezzi alti e impossibili, ingiustificati in una situazione di crisi che ha portato il settore ad una perdita superiore al 30%. I prezzi sono calati, ma è difficile vendere, mentre i soliti politici servi delle lobby dei costruttori, continuano a sostenere che l’edilizia può dare ricchezza e rilanciare l’economia cittadina e chiedono il rilascio di altre licenze, che poi non verranno mai ritirate. Per fare la fotografia dello stato attuale, ma anche un’analisi della situazione, “Quindici” in questo numero propone un’inchiesta sull’urbanistica, facendo parlare tutti i soggetti che agiscono nel mercato immobiliare, i quali confermano il mancato incontro tra domanda e offerta.
Di qui la necessità che la politica svolga un ruolo attivo in questo senso, magari anche impopolare, soprattutto perché deve contrapporsi ai politici servi del mattone e insensibili alla devastazione del territorio. Occorre, infatti, e l’inchiesta di “Quindici” lo conferma, puntare alla ristrutturazione del patrimonio esistente soprattutto nel centro della città, per evitare che questo possa diventare un deserto, con tutte le conseguenze anche sul piano del commercio cittadino. Un centro dormitorio non serve a nessuno e un centro abbandonato è ancora peggio. Per fare questo, occorre dotare il centro di quei servizi, dai trasporti ai parcheggi, che possano renderlo più vivibile. E questo sembra l’obiettivo che perseguono con grande fatica gli amministratori, alla ricerca anche di soluzioni alternative che permettano il difficile rilancio della città, dopo anni di abbandono e di degrado.
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Quando parliamo di cultura civica, intendiamo soprattutto riferirci in primis a quella di chi è incaricato di amministrare la cosa pubblica e deve farlo con la diligenza del buon padre di famiglia, in modo oculato, senza sperpero di denaro pubblico e con la necessaria trasparenza da permettere il controllo del proprio operato da parte dei cittadini. In questa logica appare, perciò, strano e, di conseguenza anche misterioso, il comportamento di chi amministra società partecipate dal Comune: in particolare la Multiservizi. Questa partecipata da sempre difetta di trasparenza, anche per il comportamento arrogante di chi si è avvicendato alla presidenza. Questo avveniva in passato, ma sembra continuare ancora oggi: non si registra un segnale di cambiamento. Con la nuova amministrazione alla guida della società si sono succeduti due personaggi con qualche evidente problema di trasparenza: l’attuale segretario del Pd, Piero de Nicolo, costretto a dimettersi per la spiacevole vicenda dell’assunzione dei due parenti della consigliera comunale Ciccolella del suo gruppo e il nuovo presidente della società Leo Amato, sempre dell’area de Nicolo, che rifiuta di parlare con i giornalisti. E’ un suggerimento del suo referente? Vorremmo ricordare al presidente che la Multiservizi non ha sede in via Manzoni, ma è una società pubblica che deve, perciò, rendere conto ai cittadini del suo operato, anche per non ritrovarsi, poi, in situazioni spiacevoli come avvenuto in passato. Se poi il segretario del Pd avvalla questo comportamento, è ancora più grave per un esponente del centrosinistra: sono i fatti, non le parole, quelli che contano.
E va bene che ormai la politica del Pd è diventata un fritto misto, auspice anche il segretario regionale, nonché presidente della Regione Puglia, Michele Emiliano, che benedice pubblicamente il consigliere comunale di Forza Italia, Saverio Tammacco che alle ultime elezioni lo ha sostenuto portandogli voti, ma c’è sempre un limite alla decenza.
QUINDICI – 15.10.2015
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Felice de Sanctis