Jurassic park
15/09/2015
FELICE DE SANCTIS - Molti di loro si erano estinti con il meteorite Tangentopoli e la fine della cosiddetta prima repubblica, altri hanno resistito grazie al loro tenace spirito di sopravvivenza e, pur sconfitti a ripetizione, non si sono arresi e cambiando sempre pelle, hanno cercato di riciclarsi. Parliamo di antichi rettili politici che sono ancora fra noi, forti di pseudogeni ancestrali e di mutazioni progressive oggetto di studi antropologici. Dinosauri politici non accettano il ricambio generazionale, preferendo la gerontocrazia dei professionisti del potere, accusando la nuova classe dirigente di essere impreparata e inesperta, dimenticando le loro origini. Ma noi c’eravamo e ricordiamo bene le loro difficoltà, i loro errori, la politica della spesa pubblica di quella Dc, che ha lasciato alle nuove generazioni un debito pubblico spaventoso, conferma del suo fallimento. Che dire delle risorse distribuite dai partiti di Andreotti e Craxi per far aumentare i posti pubblici e il proprio bacino elettorale fatto di questuanti senza merito? Per non parlare del berlusconismo degli ultimi 20 anni, erede di quella politica, che è riuscito a fare perfino peggio della prima repubblica, con una corruzione dilagante e un immobilismo politico devastanti. Il risultato di questo modello fallimentare è questa Italia e questa Molfetta che hanno lasciato ai giovani di oggi, togliendo loro perfino la speranza. E questi mesozoici politici, invece di tacere, continuano a blaterare in comizi semideserti o in assemblee di partito autoreferenziali, dimostrando perfino ignoranza economica sulle cause dell’attuale crisi e soprattutto sulle terapie per risolverla. Le vecchie ricette sono superate, ma loro conoscono solo quelle e continuano a ripeterle ossessivamente come quei nonni incapaci di stare lontani da una macchina che non conoscono più e invece di inventarsi un altro mestiere, magari quello del pensionato, continuano a fare danni. Sono fermi all’era geologica, quando la politica era un campo per iniziati dove la gente non si addentrava, convinta che toccasse ad altri trovare le soluzioni, con l’eterna delega che tanti guasti ha prodotto nel nostro Paese e della quale ora i giovani pagano le conseguenze, con una disoccupazione record e un’economia al collasso. E così continuano ad avanzare come ombre oscure della politica, contrarie alla partecipazione e con un audace gattopardismo osano perfino ispirarsi per “cambiare verso” a quel Matteo Renzi, che ha fatto della rottamazione di questi dinosauri, la regola principale della sua azione politica. Si richiamano alla politica, ma non si rendono conto che il messaggio che trasmettono è proprio quello che alimenta il vento dell’antipolitica. Cosa hanno da dare ancora i lillinosauri spinorauri o l’annalisaura brontosaura: basta fare i loro nomi alla gente, per sentirsi rispondere: come, ancora loro? Aldo Moro sosteneva che la politica è guardare oltre l’orizzonte e cercare l’ignoto. Ma questi giurrassici a furia di guardare lontano, hanno finito col diventare strabici con la metafora della politica come condizione di potere e ora vengono a proporci soluzioni miracolose, obsolete ricette del “riscatto della città”, frutto delle loro sconfitte elettorali. Battuti come candidati sindaci da un allora sconosciuto Guglielmo Minervini, continuano ancora oggi a portare rancore con un linguaggio livoroso, che scivola facilmente nell’offesa che cancella perfino quel moderatismo al quale dicono di ispirarsi, facendo di loro estremisti politici, pronti ad ogni rissa: nel partito, nella città, sui manifesti. La loro politica vecchia, anzi ancestrale non incanta più nessuno, ma loro non se ne rendono conto e continuano, lancia in resta, come novelli Don Chisciotte, a combattere i mulini a vento e a illudere i quattro gatti che li seguono. Ma la città non può continuare ad assistere a queste pagliacciate di frustrati della politica, a nessuno interessano i loro discorsi, a sentirli vanno i soliti quattro gatti del circolo del burraco, ma riescono ugualmente a creare confusione. Ed è quello che vogliono: non proposte costruttive, ma demolire tutto quello che ha a che fare con i loro nemici. Che importa dei problemi della città, del faticoso tentativo di cambiare: i cambiamenti per loro devono sempre lenti e avvenire con gradualità anche quando arriva un asteroide come il sindaco Paola Natalicchio a scuotere l’esistente. Difficile per loro pensare a una cesura netta col passato, occorrono lenti mutamenti in grado di far alternare le ere geologiche, permettendo la propria sopravvivenza. E così, dopo un faticoso accordo raggiunto nell’interesse della città, riprendono a destabilizzare in nome di cosa e di chi? Chi sono i loro referenti? A quali lobby devono dare conto? A quelle che hanno ridotto Molfetta e l’Italia all’attuale condizione, cavalcando come unico obiettivo per la crescita e lo sviluppo quell’edilizia vero cancro che ha devastato il territorio? E poi parlano di cerchi magici, proprio loro che in quei cerchi sono vissuti e nei quali sono cresciuti Per questi campioni dell’instabilità (ricordate i «governi balneari» della Dc) uscire di scena è difficile, perché, senza continuare a propinarci la favoletta di inesistenti riscatti e di ridicole verifiche di maggioranza e programmatiche (linguaggi anch’essi dell’era mesozoica) non prendono esempio da qualche loro amico di partito, già sindaco della città, che ha saputo mettersi da parte lasciando un ricordo migliore di coloro che passeranno alla storia come attempati insoddisfatti a caccia di poltrone? O frustrati invidiosi dei successi di un giovane sindaco lontano dalle vecchie logiche di partito alle quali loro continuano ad ispirarsi e temono che possa fare meglio di loro? Ci siamo sempre sforzati di ispirarci agli insegnamenti del nostro grande vescovo profeta don Tonino Bello, le cui parole sono sempre attuali e non ci stanchiamo di ripeterle in ogni occasione: «La politica è innanzitutto arte. Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più all’invenzione creativa che gli viene chiesta dalla irrepetibilità della persona. La politica è, poi, arte nobile. Nobile perché legata al mistico rigore di alte idealità. Nobile perché emergente di incoercibili esigenze di progresso, di pace, di libertà. Nobile perché ha come fine il riconoscimento della dignità della persona umana, nella sua dimensione individuale e comunitaria». QUINDICI – 15.9.15 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
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