FELICE DE SANCTIS - La politica è anzitutto «arte». Il che significa che chi la pratica deve essere un artista. Un uomo di genio. Una persona di fantasia. Disposta sempre meno alle costrizioni della logica di partito e sempre più all'invenzione creativa che gli viene chiesta dalla irripetibilità della persona.
Ci sono venute in mente queste parole di don Tonino Bello pensando alla situazione politica locale che di «arte» sembra avere ben poco. Quello che sta avvenendo all’interno del Pd, dove sembrano tornare i vecchi cacicchi della peggiore politica e gli strani inciuci con il centrodestra non sgraditi (è un eufemismo) al candidato del centrosinistra alla presidenza della Regione Puglia Michele Emiliano, dimostrano che si è in presenza dell’arte del possibile e la scienza del relativo come la definiva il famoso politico tedesco Otto von Bismarck 1815 – 1898, che teorizzò anche la teoria della forza supera il diritto.
E dopo quella che sembrava una nuova stagione amministrativa, ma anche politica per Molfetta, destinata a far dimenticare un passato infelice con personaggi più preoccupati del proprio successo, più calati nella propria egolatria che nel perseguimento del bene comune, si tenta di riportare indietro l’orologio della storia.
Non sono bastati i disastri che il centrodestra ha provocato in oltre 10 anni di gestione della città, non sono bastati gli scandali, primi fra tutti quello edilizio e quello del porto, con conseguenti arresti di personaggi legati a questo o quel politico, non è bastata la constatazione di una economia al collasso, che ha messo la città in ginocchio, costringendo tanti giovani a scegliere la strada dell’emigrazione per trovare lavoro. La lobby del mattone e quella affaristica, dopo essere state costrette a battere in ritirata, anche a causa dei loro stessi errori, che hanno provocato il collasso delle stesse aziende edili, stanno provando a riemergere individuando nuovi referenti politici, per poter continuare lo scempio del territorio, utile solo all’arricchimento di pochi a danno di tutti.
La ricerca di altri settori di sviluppo, fra cui la cultura e il turismo, meno invasivi del territorio, anzi utili alla sua valorizzazione, sfruttando anche le risorse giovanili locali, provviste di titoli di studio di tipo umanistico, più che scientifico (tranne alcune eccellenze che però, hanno trovato spazio solo al Nord o all’estero), ha costituito una novità importante nel panorama economico locale.
Ma l’invidia ha avuto il sopravvento sui primi segnali di un faticoso, ma reale cambiamento e soprattutto del ritorno della fiducia dei cittadini in un riscatto possibile, dopo anni di oblio, al punto che anche la sonnolenta e rassegnata società civile si stava risvegliando dal lungo letargo delle tenebre degli ultimi anni, in un paese «dove è sempre notte», parafrasando il bel romanzo di John Banville. E così sono tornati i professionisti della politica, i quali non hanno a cuore le sorti della città, ma solo le ambizioni personali, pieni di quell’egoismo che rappresenta la vera caratteristica di questa fine d’epoca che Molfetta e l’Italia stanno attraversando. E per frenare questa involuzione non basterà ahimè Papa Francesco, come non è bastato don Tonino collocato comodamente sugli altari, per imbalsamare soprattutto il suo pensiero e le sue parole, oggi quanto mai attuali, ma ancora troppo scomode per molti.
Ma, come scrive saggiamente Eugenio Scalfari, i professionisti della politica stanno distruggendo la democrazia. E questo avviene soprattutto in quella sinistra che «sta perdendo l’appoggio popolare e la sinistra senza il suo popolo non esiste più». Viene messa in crisi la democrazia parlamentare e si propone di fatto la sua abolizione dal quel Matteo Renzi che sembra più vicino ad Andreotti che a Gramsci, un politico che con la legge elettorale punta a trasformare in maggioranza una minoranza, attraverso una riforma che sancisce il potere delle segreterie dei partiti con la legge dei nominati.
E mentre assistiamo ogni giorno alle esibizioni dei contorsionisti della politica di cui a Molfetta abbiamo tanti esempi: Azzollini comunista passato a destra, ha fatto scuola e il suo migliore allievo sembra proprio quel Tammacco che con grande faccia di bronzo, dopo essere stato un esponente di primo piano del centrodestra oggi chiede voti per il candidato del centrosinistra, con la speranza di riuscire a conquistare un seggio e magari, domani, anche una comoda e conveniente poltrona. E il Pd sembra imbarcare tutti dagli eredi di Cuffaro a quelli di Lombardo in Sicilia e la destra in Liguria, con Cofferati che lascia il partito, mentre tanti nuovi Razzi appaiono all’orizzonte della politica nazionale, senza che il segretario Renzi non se ne vergogni.
Anche Emiliano prende esempio dal suo segretario nazionale e non si vergogna della presenza fra le liste che lo sostengono di molti personaggi e partiti discutibili e di segno opposto, come avviene a Molfetta con Saverio Tammacco (ci piacerebbe sapere cosa ne pensa Renzi). E così nella sua Arca, il novello gladiatore Noè, imbarca tutti, promettendo di traghettarli oltre il diluvio. Ciò che è più grave e che questo avvenga nel momento dello sfaldamento del centrodestra e di una partita già ampiamente vinta in partenza. A che servono questi voti di destra, quando si ha già dalla propria parte la maggioranza dell’elettorato? Paradossalmente servono a perdere voti a sinistra, imbarcando personaggi del passato come Lillino Di Gioia e Annalisa Altomare, mai rassegnati, sempre livorosi delle loro sconfitte e invidiosi del successo e dell’indipendenza altrui, che non possono condizionare. E perdono così l’occasione di investire sul futuro rafforzando un nuovo progetto politico non compromesso con le lobby, né con il passato, costituito dal nascente gruppo che ruota attorno al sindaco Paola Natalicchio, per rifugiarsi in vecchie logiche di vendette, per sconfitte mai digerite. Livore e rancore che non potranno essere mai costruttivi, perché il vero obiettivo è di restare a fare i burattinai dietro le quinte, utilizzando uomini senza qualità, come li definirebbe Musil, immaturi non solo sul piano politico, ma anche su quello umano vista la loro permalosità e l’incapacità di affrontare il confronto dialettico e democratico, convinti che le loro fortune possano essere legate a questo o quel personaggio, proprio per l’assenza di personalità e forse anche di dignità.
Come è possibile creare un nuovo progetto politico con queste premesse? Con gli inciuci e i cacicchi, con gli intrecci e i capetti tribali, non si costruisce nulla.
Non voler ammettere che l’unica possibilità di avere un rappresentante nel consiglio regionale è legata all’unione delle forze del centrosinistra locale attorno all’assessore regionale uscente, che si chiami Guglielmo Minervini o Pinco Pallino, al di là del personaggio, che può piacere o meno, ma che può essere l’unica strategia vincente, significa aver dimenticato anche quanto di buono si era imparato alla scuola della politica in tanti anni di militanza. E poi saranno le stesse persone che hanno impedito l’elezione di un rappresentante molfettese nella città metropolitana, che piangeranno le solite lacrime di coccodrillo per l’assenza di Molfetta anche nel prossimo consiglio regionale. Occorre puntare su un progetto politico che investa sui giovani, che faccia crescere una nuova classe dirigente autonoma e non eterodiretta, altrimenti la nostra città è destinata ad un declino inarrestabile e a un futuro sempre più precario per i nostri figli, costretti ad emigrare dall’ottusità di chi non accetta di mettersi da parte, rinunciando ad un’inutile egolatria e a una rivalsa tafazziana fuori del tempo, per età e cecità politica.
QUINDICI – 15/4/2015
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Felice de Sanctis