Je suis Charlie
15/01/2015
FELICE DE SANCTIS - Siamo tutti Charlie Hebdo. Dopo la strage dei terroristi islamici, Parigi e il mondo intero si sono ritrovati uniti in nome della libertà di pensiero e di parola che costituisce il fulcro della civiltà occidentale. Una manifestazione imponente e un risveglio del senso identitario della comunità, un’unanimità del sentire per la libertà che non si registrava dopo anni di indifferenza nei confronti dell’umanità, nel trionfo del conformismo degli ultimi tempi. Era da 25 anni, forse, dal quel 1989 che segnò la data storica del crollo del muro di Berlino, che non si riscoprivano i valori di libertà, uguaglianza e fratellanza che sono patrimonio della nostra cultura. E il caso ha voluto che proprio la Francia, patria dell’illuminismo e della vera e forse unica rivoluzione della storia, quella del 1789, fosse lo scenario di questo risveglio identitario che ebbe nell’esortazione del “sapere aude” (abbi il coraggio di conoscere), prima oraziana e poi kantiana, il suo motto significativo in cui si condensava il messaggio di quel processo di formazione storico-filosofico della civiltà occidentale. E la manifestazione di Parigi va vista anche sotto questo aspetto, come la risposta alla barbarie e alla grettezza di alcuni terroristi musulmani, che interpretano la loro religione come dottrina di violenza e morte nei confronti di chi non la pensa come alla stessa maniera. Il loro obiettivo è portare indietro l’orologio della storia al VII secolo di Maometto e, per fare questo, non esitano ad uccidere e a spingere anche i bambini ad uccidere in nome di un dio vendicatore che non esiste nemmeno nella loro religione. Ci fa orrore leggere in questi giorni di bambine imbottite di tritolo che si fanno esplodere per compiere una strage o di ragazzi, i cui volti non sono nemmeno coperti, che uccidono a sangue freddo con un colpo di pistola alla nuca uomini inginocchiati ai loro piedi, simbolo di delirio di onnipotenza. L’uso di innocenti come strumenti di morte, ci riporta agli anni peggiori del nazismo morente, a quella Hitler-jugend, gioventù hitleriana indottrinata e plagiata per sacrificare la propria vita in nome di un dittatore folle, capace di sterminare milioni di ebrei per il sadico piacere di creare una razza ariana superiore, alla quale questi giovani credevano di appartenere. Ci chiediamo: che adulti saranno questi ragazzi indottrinati alla violenza e al martirio, in nome di una realtà che non esiste? Sembra tornare il mito della caverna di Platone, dove prigionieri incatenati fin dall’infanzia nella profondità di una caverna, bloccati a fissare solo il muro che hanno di fronte, mentre alle loro spalle arde un enorme fuoco, luce necessaria a proiettare dall’esterno persone e oggetti, ombre che fanno credere ai prigionieri che quella sia la vera realtà. Così questi ragazzi non hanno coscienza della morte, manipolati nel nome dell’immortalità, costretti ad uccidere per “igiene”, senza rimorsi. La morte come un grande gioco, come una partita di calcio, dove gli avversari non sono da trafiggere con un pallone facendo gol, ma con una pistola, sterminandoli. Oggi i terroristi vogliono diffondere un messaggio di paura, di insicurezza, l’idea che possono distruggere le nostre regole di convivenza, spingendoci ad insinuare il sospetto che l’altro sia un possibile nemico. A chi di noi non è capitato nella vita di avere fiducia in qualcuno che, poi, si è rivelato non solo indegno di tale fiducia, quanto ci si è rivolto contro? E’ questa la vita che ci aspetta domani, quella del sospetto che prende il posto della fiducia? Un modo indiretto, in questa guerra di religione, per demolire anche la nostra fede cristiana, basata sulla fiducia e il rispetto dell’altro, non visto come un nemico, ma come un fratello. Il rischio è quello di diffondere la paura nel prossimo, nel diverso, un nuovo razzismo che utilizza messaggi falsati. Ci ha colpito qualche giorno fa un video in internet, un oceano dove tutto è finzione, resa credibile dalla condivisione, dove non si riesce più a distinguere il vero dal falso, dove non si riconoscono i confini tra manipolatori e manipolati nel quale riconoscere la realtà, diventa più difficile. In questo breve filmato si vede una signora con il suo bambino che passeggia lungo una strada parallelamente ad un arabo con uno zaino. Dallo sguardo della donna si intuisce la sua paura, in ciò che può nascondere l’uomo nel suo bagaglio. Poi si vedono dei poliziotti in borghese che sembrano inseguire l’uomo barbuto, e la donna trova conferma nel suo sospetto. Infine, i tre superano l’uomo fonte di sospetto, per arrestare, invece, più avanti, un giovane distinto, con giacca e cravatta e una borsa che, invece, contiene droga e armi, mentre il barbuto raggiunge sua moglie e abbraccia i suoi bambini. Un filmato significativo dei tempi a cui andiamo incontro. Si apre un nuovo anno all’insegna del razzismo, sul quale speculano i demagoghi xenofobi alla Salvini della Lega Nord, personaggi che non dovrebbero nemmeno sedere in Parlamento, ma che acquistano consensi speculando proprio sulla paura, come fa Le Pen in Francia. Stesso discorso per i populisti alla Grillo, che al momento di assumersi le responsabilità di governo, fuggono via. In questo clima sarà più duro per i musulmani moderati riuscire ad evitare i sospetti e a farsi accettare in quell’ottica di integrazione, ormai indispensabile in un mondo globalizzato e anarchico, dove i confini sono solo un’espressione geografica. I loro fratelli islamici fanno danno soprattutto agli onesti, ma ai terroristi questo non interessa, anzi auspicano il clima di paura e scontro, che si addice alla loro folle strategia di morte. Ecco perché reclutano le persone peggiori della società o quelle più deboli psicologicamente, che non hanno nulla da perdere e ai quali si offre l’occasione di morire da eroi o martiri (dimenticati). Vite infelici e sbagliate, senza radici, facile preda del fascino perverso della violenza riscattatrice. Ecco perché i musulmani moderati devono reagire contro i fondamentalisti, per evitare che secoli di civiltà siano cancellati. Devono opporsi a quelli che offendono anche la loro religione in nome della barbarie e della brutalità. «Il vero potere del terrorismo sta nel portarci a scoprire il male che esiste in noi esseri umani. La grettezza, la barbarie, il caos. E questo è vero sia per i singoli individui che per l’intera società», scrive lo scrittore israeliano David Grossman. Non vogliono il dialogo, ma lo sgretolamento della società, cancellando legami e convenzioni, frutto di mediazione di secoli, già difficile da garantire con leggi e regole, ma anche quella «consuetudine» che chiamiamo «educazione» che ci distingue dalle bestie. Il loro obiettivo è «abolire le aperture del mondo illuminato all’eguaglianza, alla dignità umana, al riconoscimento della libertà di espressione e alla democrazia, che sono fra le maggiori conquiste dell’umanità», è ancora Grossman che scrive, paventando il pericolo di cancellazione di valori conquistati dopo lotte, guerre civili, violenze brutali, per arrivare all’attuale processo di maturazione politica e sociale. Così quella di Parigi è stata una grande marcia contro la paura, una festa di liberazione dal terrore, una riscoperta di un’Europa per la prima volta politica e non solo finanziaria, una civiltà e una cultura comuni da difendere. Ecco perché dobbiamo goderci questo clima, sperando che non sia effimero. Dobbiamo difendere le categorie a rischio, quei giornalisti e intellettuali che combattono in prima linea per la libertà di espressione e di parola. Il ricatto e la paura sono gli strumenti con cui si sta distruggendo la libertà di espressione. Anche in Italia il potere è poco tollerante, dopo 20 anni di berlusconismo. Colpire gli intellettuali « per il terrorismo islamico, come per quello dei narcos e per i regimi tirannici, significa colpire il pensiero, vuol dire intimidire chiunque, creare un’identificazione immediata fra l’opinione pubblica e la persona colpita, rendere punibile la riflessione e la diffusione dell’idea. Non è un assalto ai ruoli e alle istituzioni, ma all’ultimo territorio che rende l’Occidente ancora un luogo diverso: la libertà di espressione», condividiamo quello che scrive Roberto Saviano. La tolleranza verso la libertà di espressione è sconosciuta a molti nostri politici, anche locali, anche giovani, politicamente e socialmente immaturi. E’ vero, un messaggio libero riesce a passare attraverso una marea di articoli e materiale stampato e questo messaggio fa più male, dà più fastidio. Fa più paura chi riesce a superare la barriera del conformismo e dell’omologazione, chi crede che la legalità e la democrazia siano valori imprescindibili e racconta la verità, chi non si adegua e non si adagia. Noi di “Quindici” abbiamo scelto di restare scomodi, ma liberi di esprimere le nostre opinioni. Ecco perché oggi siamo tutti Charlie Hebdo. QUINDICI 15.1.2015 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
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