FELICE DE SANCTIS - Avere poco più di 20 anni, buona cultura, studiare con profitto, appartenere a una famiglia benestante, frequentare la parrocchia, ma essere una escort. Una doppia vita per una ragazza normale che sceglie la strada della trasgressione, senza un motivo. Solo perché un uomo di 50 anni una sera l’ha avvicinata e le ha fatto una proposta «indecente» si sarebbe detto una volta. «E la sventurata rispose», direbbe Manzoni con la sua Monaca di Monza. Ma oggi la ragazza non si sente affatto sventurata, anzi, fa il suo lavoro di escort senza rimorsi o ripensamenti. Ha addirittura programmato le sue settimane, dedicando tre giorni all’amore a pagamento e tre allo studio. A casa non sospettano nulla, il fidanzato meno che meno, e tutto fila liscio. Una doppia morale (se ha ancora un senso oggi questa parola)? Non sapremmo come definirla, né tocca a noi giudicare, questa ragazza, né vogliamo farlo. Vi proponiamo questa storia come fatto di cronaca di ordinaria prostituzione, che di ordinario ha il fatto di non essere esercitata per necessità, ma come fosse un lavoro come un altro, meglio di un altro per quello che rende e che nessun lavoro medio oggi sarebbe in grado di garantire. Una normalità della nuova morale collettiva, per la quale non è una colpa per una ragazza perdere la verginità a 14 anni, anzi è un peccato non farlo, come non è una colpa per un politico essere coinvolto in uno scandalo e non dimettersi. Anzi è un titolo di merito perfino l’italica furbizia nell’evasione fiscale. Come pure è normale la gestione disinvolta del denaro pubblico e l’uso privato di questi soldi, considerati come una concessione o un privilegio attribuito a chi è stato «eletto dal popolo» e quindi è al di sopra anche della legge, come ci hanno insegnato 20 anni di berlusconismo. Così nessuno ormai perde più la faccia, per una tolleranza collettiva che serve a coprire le colpe individuali, alla faccia degli onesti, considerati alla stregua dei fessi e dei poveracci ingenui. Così anche in politica va premiato il più furbo, non il più capace. Tornando alla nostra storia di ordinaria prostituzione, o meglio «prestazione professionale ben retribuita», essa riflette uno spaccato della nostra Molfetta, non nuova a questi fenomeni che l’hanno portata ad essere definita la «città delle belle donne» non solo per la grazia delle sue fanciulle, ma per un sotteso significato trasgressivo e non gratificante. Una volta la fantasia popolare attribuiva un ipotetico frequente tradimento coniugale alle mogli dei marittimi, giustificando la trasgressione con la lunga assenza da casa del marito. Oggi questo consumato cliché non ha più senso, soprattutto alla luce di quella permissività e quel perduto pudore ipocritamente ostentato, come avveniva nella doppia morale vittoriana: casta, puritana e repressiva, ma contemporaneamente sensuale, spregiudicata e voluttuosa. Forse la nostra intervista susciterà qualche polemica, ma non abbiamo dubbi nel pubblicarla: il giornalismo deve raccontare la realtà soprattutto attraverso la cronaca per comprendere in quale società ci è toccato di vivere. Se farà discutere avremo ottenuto lo scopo di aver sollevato un problema sentito, se passerà sotto silenzio sarà una dimostrazione in più di una società che non si scandalizza più di nulla, per cui sono normali le ruberie dei politici, come i tradimenti dei coniugi sono ordinaria amministrazione e ordinaria tolleranza. Lungi da noi l’idea di interpretare un moralismo bacchettone. Vogliamo solo fotografare una realtà profondamente cambiata, auspice soprattutto la tv, alla quale oggi fanno buona compagnia o addirittura concorrenza internet, facebook e i cosiddetti social network, con tutti i loro vantaggi e svantaggi. Scandalizzarsi? No, ma prendere atto che questo è il tempo in cui viviamo e difficilmente riusciremo a modificare un mondo ormai globalizzato. Questo non vuol dire che bisogna rassegnarsi ad accettarlo così com’è, ma conoscendolo, è più facile difendersi dalle sue insidie. Una cosa è certa: è profondamente in crisi un modello educativo e, ci dispiace dirlo, la colpa è essenzialmente dei genitori che non possono dare la colpa alla società, al mondo esterno e all’abusato «così fan tutti» (significativa la meditazione di Papa Francesco su questo tema). La scuola? Fa quello che può, ma certamente non può avere un ruolo sostitutivo, soprattutto come l’hanno ridotta le riforme degli ultimi anni, screditandone fortemente ruolo e figura degli insegnanti. Chi come noi ha fatto il Sessantotto, non nasconde lo scossone che all’epoca fu dato ad un modello scolastico, ma non si era arrivati alla delegittimazione totale attuale, che prima che di ruolo, è di educazione. Dalla società alla politica, questo numero di “Quindici” non può fare a meno di soffermarsi sul mancato annullamento delle elezioni amministrative da parte sia del Tar che del Consiglio di Stato (la rivista era già in stampa il 13 febbraio quando è stata pronunciata l’attesa sentenza), che ha lasciato l’amaro in bocca (vedi la vignetta del nostro Michelangelo Manente) al sen. Antonio Azzollini che cerca di addolcirla con dosi moltiplicate della sua droga: la nutella. La pretesa, o meglio dire il capriccio, dell’ex sindaco di vincere in tribunale, le elezioni perdute nelle urne per libera scelta del cittadino (in questo caso la berlusconiana volontà popolare non conta, quando si riferisce alla propria parte politica: le deformazioni del populismo nostrano), fa passare in secondo piano lo sperpero di denaro pubblico che questo ha comportato. Ma tant’è, per chi è abituato a buchi di bilancio. E la pretesa di ricorrere alla carta bollata e ai tribunali non si è ancora assopita (vedi ultimo ricorso al Tar per la Multiservizi, di cui parliamo in altra pagina) nella follia politica di poter ribaltare un risultato elettorale ricorrendo ai tribunali (anche in questo caso l’ostilità berlusconiana alla magistratura viene messa da parte: il giudice è buono se fa una sentenza favorevole alla mia parte politica, altrimenti è da condannare). A certi personaggi politici non viene in mente che dopo oltre un decennio di gestione politica fallimentare che ha portato solo degrado in questa città, si possa avere voglia di cambiamento, o almeno di provare a farlo, di andare a vedere le carte di una nuova generazione di politici, sicuramente un po’ inesperti (e chi non lo è all’inizio di un’attività), ma pronti ad imparare con un pizzico di umiltà e il coraggio di chiedere «scusa», una delle parole meno usate del nostro vocabolario. Oggi la stagione dei conflitti fini a se stessi va superata, occorre una critica costruttiva, che va accettata anche dalla maggioranza, non come è avvenuto in passato. Si governa con la città, non sulla città.
QUINDICI – 15/3/2014
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Felice de Sanctis