Parresia e bene comune
15/12/2014
FELICE DE SANCTIS - Noi oggi dovremmo chiedere al Signore la grazia della parresia. Che cosa è la parresia? È il parlar chiaro, senza paura e senza tentennare di fronte alle minacce del potere. Perché l’omertà, oltre che connotare di vigliaccheria colui che non parla, consolida quelle sotterranee strutture di peccato che avviliscono la storia e rallentano il cammino della pace. Gli insegnamenti di don Tonino Bello, hanno sempre ispirato il nostro impegno e oggi, a conclusione dei 20 anni di Quindici, le sue parole indicano sempre la rotta da seguire nel nostro lavoro. Questo giornale, infatti, come abbiamo già rivelato 10 anni fa, non sarebbe mai nato, senza ispirarsi al suo incoraggiamento e alla sua parola. Noi di “Quindici Molfetta” abbiamo sempre parlato chiaro, anche se questo ci ha procurato non pochi nemici: «se non direte mai cose che facciano dispiacere a qualcuno, non potrete affermare di aver sempre detto la verità», sosteneva il grande medico, premio Nobel, Albert Schweitzer. Certo, la verità è scomoda, ma tra i nostri principi ci sono stati sempre «il rispetto dell’altro, la valorizzazione dell’altro, il rispetto della verità, il rispetto della giustizia, l’amore del prossimo» (Don Tonino). Abbiamo soprattutto combattuto, anche con grande coraggio, con quel modo di fare giornalismo che fa parte della storia migliore di questo mestiere, la cultura dell’odio politico, una pratica diffusa da oltre dieci anni nella nostra comunità, che ha reso impossibile ogni dialogo fra maggioranza e opposizione. Il centrodestra, col suo linguaggio eversivo, con la sua logica assolutistica e intollerante del rispetto delle regole, con le aggressioni verbali tipiche dell’ex sindaco sen. Antonio Azzollini, ha spinto gli avversari, considerati nemici, a reagire con altrettanta durezza. Se dovessimo utilizzare la Scala Allport, che declina le varie fasi dell’odio, dalle battute ironiche fino all’eliminazione dell’avversario, proprio come la Scala Mercalli misura i terremoti, ci sarebbe da cominciare a preoccuparsi. Ancora oggi che la città ha espresso la voglia di cambiamento, con l’elezione del giovane sindaco di centrosinistra Paola Natalicchio, bocciando non solo il centrodestra, ma anche un metodo di lotta politica, quell’azzollinismo figlio del berlusconismo, che si è diffuso come una droga in città, incattivendo non solo politici e partiti, ma anche la società, l’opposizione di centrodestra continua in una campagna elettorale perpetua, di odio (l’hate speech, l’espressione d’odio, come la chiamano gli inglesi) e intolleranza verso tutti: avversari politici, giornalisti non amici, cittadini che la pensano diversamente. E via con manifesti offensivi e diffamatori, con intemperanze e insulti in consiglio comunale, con linguaggi eversivi, con la criminalizzazione dell’avversario, atti che nascondono l’astio per la sconfitta e la voglia di rivincita, magari ribaltando forzosamente il risultato elettorale e la volontà popolare anche a colpi di carta bollata e di interventi della magistratura che, per la verità, finora hanno interessato solo il centrodestra. Negli ultimi 10 anni i giudici si sono occupati più volte dell’amministrazione pubblica di Molfetta. La città ha conosciuto prima gli scandali edilizi, poi quelli del porto. Ancora oggi questa pattuglia di politici, divisi tra loro, ormai ridotti ad un’opposizione da farsa in consiglio comunale, si esibisce con canzoni e urla, con interventi vuoti di contenuto, ma ricchi di improvvisazione e, comunque, sempre contro. Mai un voto favorevole, mai una condivisione di un provvedimento per il rilancio della città. Il timore che i cittadini possano notare la differenza tra una coalizione e l’altra, li spinge non a proporre soluzioni alternative, progetti di crescita anche condivisi, ma solo a demolire ogni cosa che provenga dall’attuale maggioranza. Dopo anni di silenzioso servilismo, limitato alle alzate di mano, oggi ritrovano la parola, come miracolati che godono nell’ascoltare la propria voce. Ma anche nell’intervento più banale, emerge l’odio e la voglia di rivalsa, un senso di frustrazione personale e politico, di livore, che la gente coglie facilmente. Sia chiaro, l’opposizione deve svolgere il suo ruolo, deve controllare l’operato della maggioranza, ma potrebbe farlo con serenità, senza acredine. Tra l’altro alcuni consiglieri comunali di entrambe le parti, chiusi nella propria egolatria (Berlusconi e Azzollini hanno fatto scuola anche nel centrosinistra), non brillano per qualità politica, appaiono immaturi, permalosi, poco avvezzi al confronto democratico e alla tolleranza, dimenticando che, se si sceglie di essere personaggi pubblici, si devono accettare le critiche. Una classe politica che ha bisogno ancora di crescere, recuperando la fiducia della gente, ormai sempre più votata all’astensionismo. Oggi, insomma, c’è una crisi di legittimazione. Se ai giovani, poi si aggiungono i politici in servizio permanente effettivo, quelli che non vogliono mai andare in pensione (anche se sono stati già bocciati dall’elettorato), quelli che sanno tutto e pretendono di dare lezioni (non suggerimenti) a tutti, che non danno il tempo ai giovani amministratori di crescere, ma fanno i cavalli di Troia all’interno dei partiti per ritagliarsi un ruolo che non hanno più (o che non hanno mai avuto), il disastro è completo. E poi parliamo di rinnovamento! Di fronte allo scandalo di Mafia Capitale, c’è da preferire l’onestà all’inesperienza. Meglio un impacciato Marino che un politico corrotto. Del resto, lo diceva già Benedetto Croce nel secolo scorso: «Non abbiamo bisogno di chissà quali grandi cose o chissà quali grandi uomini. Abbiamo solo bisogno di più gente onesta». In Italia ci siamo abituati a vedere una politica non distinta dalla morale, anzi contrapposta. Forse, di fronte ai continui scandali, viene da pensare che il furto e la corruzione facciano parte del nostro Dna. Leopardi diceva che gli italiani sono cinici, proprio perché più astuti, smagati, meno romantici dei nordici. Non sembrano cambiati. Del resto, non siamo forse, la patria di Machiavelli, che codificò la distinzione tra politica e morale, teorizzando che il fine giustifica i mezzi? Come è lontano don Tonino, come devono apparire anacronistiche le sue parole a questi politici, com’è artificiosa sulla bocca di questi personaggi la filosofia del bene comune. Com’è estraneo il concetto di pace, che in questo Natale riecheggia continuamente. E inutilmente, tanto da apparire retorico. Ma noi, malgrado tutto, ci crediamo ancora, crediamo all’intelligenza degli uomini e all’onestà di pochi, che, però, possono cambiare il corso della storia. E a questi uomini e donne andrà sempre il nostro sostegno e il nostro incoraggiamento, anche se rischiamo di essere tacciati di partigianeria. Non c’importa. L’onestà intellettuale e l’intransigenza morale che ci hanno sempre contraddistinto, sono superiori a tutte le cattiverie. È questo l’augurio che rivolgiamo ai nostri lettori, ma anche ai cittadini, ai politici: basta con la guerra continua, che provoca solo macerie, cominciamo a costruire un futuro diverso per una città, che merita veramente di meglio del suo attuale destino. E trionfi la parresia. Auguri! QUINDICI – 15/12/2014 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
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