FELICE DE SANCTIS
Una crisi profonda vivono oggi l’Italia e Molfetta fra il silenzio e l’indifferenza generale. Poche voci, e noi fra queste, si levano a protestare contro questo destino considerato quasi inesorabile, accettato con rassegnazione, quando la situazione economica ed occupazionale dovrebbe provocare quasi un’insurrezione. Una città che vive alla giornata, con un’economia che langue e una politica assente, frutto di una classe dirigente di infimo livello che bada a gestire il piccolo cabotaggio, incapace di progettare il futuro, soprattutto per i giovani. Sembra fiorire solo il mercato immobiliare, che già tanti danni ha provocato nei decenni scorsi ed è destinato a provocarne all’economia cittadina. Quell’edilizia selvaggia senza servizi, senza urbanizzazioni nella peggiore tradizione molfettese che quest’amministrazione di centrodestra con i suoi tecnici sembra voler cavalcare. Quindici, come sempre, si distingue nel panorama informativo locale, per essere un giornale diverso, fedele al suo slogan “quello che gli altri non dicono”, cerca di andare oltre la cronaca e i comunicati stampa dell’ufficio propaganda del Comune, per capire quali sono i meccanismi politici e soprattutto economici che costituiranno il futuro. Ecco perché in questo numero affrontiamo due temi scottanti: il primo riguarda le mancate urbanizzazioni di una città che vede crescere ogni giorno nuove palazzine in aree senza servizi e quindi quartieri dormitorio. E questo è frutto non del caso, ma di una scelta politica forsennata, avvalorata da incomprensibili scelte tecniche che non si sa se classificare fra l’incompetenza e l’inadempienza progettuale. Il secondo è frutto di una lettura attenta dei dati pubblicati dal Dipartimento delle Finanze sulle addizionali Irpef incassate dai Comuni, in base alle dichiarazioni del 730 e Unico del 2010 sui redditi 2009, che tra l’altro confermano il forte divario Nord-Sud e prefigurano gli effetti devastanti per il Mezzogiorno del federalismo voluto da Berlusconi e dalla Lega, di cui ci siamo già occupati qualche mese fa. Molfetta nel contesto regionale appare in 14ª posizione, fra le prime 20 città della Puglia, ma andando ad esaminare i dati provinciali, si scopre che, pur in presenza di una crescita del numero dei contribuenti, in termini di crescita del reddito medio con appena il 23,54% dal 2005 ad oggi, la nostra città risulta la peggiore di tutta la provincia. Cosa vuol dire questo? Come leggere questi dati? In presenza di nuovi redditi e quindi di nuova occupazione, si tratta di lavori “poveri”, quelli offerti nei call center e soprattutto nei centri commerciali come il Fashion District e la Mongolfiera, cattedrali del lavoro precario, che non hanno portato alcun benessere alla città, anzi hanno contribuito ad aumentare il caos del traffico e dell’inquinamento atmosferico. Una realtà amara che conoscono molti giovani e che il sindaco Azzollini ignora, o meglio finge di ignorare, per dire, ogni volta che va ad inaugurare un nuovo capannone, che la città si arricchisce e dà lavoro ai giovani. In realtà ad arricchirsi sono in pochi, quelli che godono degli effetti indiretti della politica e quelli che mettono in atto attività speculative. E i giovani diplomati e laureati che hanno già più di 30 anni e che bussano alle porte del mondo del lavoro, restano sempre fuori o devono fermarsi all’ingresso, accontentandosi di lavori precari a tempo determinato, tre mesi, sei mesi e poi via, in attesa di un nuovo posto precario. Che dire, poi, dell’altra forma di sfruttamento giovanile, quella dei cosiddetti stagisti, i quali, con la scusa di dover imparare, sono costretti a lavorare senza retribuzione o in cambio di quattro soldi. Con sempre maggiore frequenza anche chi lavora da alcuni anni presso un’azienda, non ha prospettive né di carriera né di aumenti di stipendio. Come si fa a pensare di vivere in una propria casa, di sposarsi, di metter su famiglia? A questo dovrebbero pensare coloro che, a parole, si ergono a difensori della famiglia e invece nei fatti sostengono una classe politica che, in pratica, ignora, se non ridicolizza tali valori, magari preferendo le escort e diffondendo un modello di sfrenata lussuria fra le giovani generazioni. Ma ciò che fa più rabbia è sentirsi dire che tutto va bene, che l’economia è in ripresa o, quando proprio non si riesce a raccontare bugie dalle tv controllate da Berlusconi, si inventano le solite scuse: è una crisi mondiale e non possiamo farci nulla. Come mai gli altri Paesi hanno messo in atto azioni di rilancio dell’economia, mentre l’Italia non ha una politica economica e si fa incantare dai discorsi di Tremonti, il più grande ministro bluff dell’Economia della storia della Repubblica, che privilegia il Nord e al Sud racconta la favoletta della Banca del Mezzogiorno e del Piano per il Sud? E, intanto, la disoccupazione giovanile in Italia tocca livelli record del 30%, mentre al Sud occorre raddoppiare questa percentuale. Accanto a loro c’è l’esercito degli eterni precari che si illudono delle promesse di regolarizzazione, ci sono docenti e ricercatori senza certezze e i professionisti (avvocati, ingegneri, medici, ecc.) che lavorano a reddito zero, giovani imprenditori che aprono e chiudono aziende e quelli che emigrano sperando in situazioni migliori, sempre se non sono respinti dagli zoticoni razzisti della Lega, che alla fine distruggeranno l’Italia, rimettendoci anche loro. E magari daranno la colpa agli altri, ai meridionali, agli extracomunitari, all’euro, all’Europa e non alla loro ignoranza e dabbenaggine. Questo scenario negativo è dominato da una politica e da una classe dirigente egoista che pensa solo al proprio particolare e al presente. Un’amica ci ha ricordato qualche giorno fa il sonetto 66 dei Fantasmi di Amleto di William Shakespeare, quel catalogo di mali e ingiustizie sociali da cui lo scrittore inglese vorrebbe fuggire. In queste parole, che sono di straordinaria attualità, le apparenze vincono sulle essenze, gli artifici sulle doti naturali, la falsità sulla sincerità, la mistificazione sulla verità. In definitiva fra l’essere e l’apparire che oggi è ampiamente dominante, vince il secondo: Stanco di tutto questo, invoco la riposante morte, / quando vedo il merito nascere mendicante, / e la povera nullità tutta agghindata, / e la più pura fede miseramente abiurata, / e il dorato onore vergognosamente male attribuito, / e la virtù verginale brutalmente prostituita, / e la giusta perfezione ingiustamente screditata, /e la forza invalidata dal potere zoppicante, / e l’arte imbavagliata dall’autorità, /e la follia, con aria dotta, mettere freno all’estro, / e la semplice verità calunniata come faciloneria, / e il bene prigioniero servire il male capitàno. / Stanco di tutto questo, da questo vorrei andar lontano, / se non che, morendo, lascerei solo il mio amore
QUINDICI – 15/4/2011
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Felice de Sanctis