FELICE DE SANCTIS
L’Italia è la patria del diritto e del rovescio, scriveva Ennio Flaiano fotografando una situazione rimasta tale nel corso dei secoli. Ma negli ultimi 15 anni la cosa si è ancor più aggravata. Invece di recuperare un ritardo storico rispetto agli altri Paesi civili e democratici, chi ci ha governato ha accresciuto questa repulsione alle regole. Ma la cultura della legalità comincia proprio dal rispetto delle regole. Il ritardo è imputabile anche a secoli di dominazione straniera che hanno provocato come reazione il rifiuto di leggi percepite come ingiuste, considerando il concetto di legalità come qualcosa da infrangere, un’imposizione di uno Stato tiranno. Per cambiare, occorrerebbe una mutazione antropologica di decenni, per far sì che il cittadino partecipi alla vita pubblica e pretenda i propri diritti e soprattutto assolva ai propri doveri. Certo, siamo il Paese di Machiavelli, Guicciardini e... Berlusconi: quest’ultimo, perfettamente in linea con gli altri due, esaltando la furbizia e la cura dell’interesse particolare, delegittimando la stampa e la magistratura, la Costituzione e affermando perfino che è ingiusto pagare le tasse, ha contribuito ad aggravare la situazione di forte individualismo e anarchismo, presente nel Dna degli italiani. Questo, però, non giustifica comportamenti rozzi che ci pongono ai margini dei Paesi civili, soprattutto quando calpestiamo i diritti altrui e ci curiamo solo del nostro “particulare” (interesse), senza badare a scrupoli, perché “il fine giustifica i mezzi” e ci lasciamo andare a comportamenti meschini e immorali. Del resto, le cronache giornalistiche sono quotidianamente piene di scandali e storture, di malcostume e corruzione, fenomeni sui quali fiorisce una vasta saggistica di denuncia, destinata, purtroppo, solo a riempire le librerie, senza conseguenze pratiche per un concreta inversione di tendenza. Tra l’altro anche le classifiche internazionali sulla legalità ci collocano al 41° posto dietro le gradi democrazie occidentali, ma anche dietro a Ungheria, Cile e Slovenia. Contribuiscono al caos una congerie di leggi tanto più numerose, quanto più inefficaci, come le “grida” di manzoniana memoria. Nascono di qui le pericolose discrezionalità sia nell’interpretazione come nell’applicazione delle norme, che, spesso, complici anche una parte di giudici, finiscono per favorire potenti e “furbi”. Questi ultimi, con l’aiuto di abili azzeccagarbugli, riescono sempre a farla franca, mentre a pagare sono il più delle volte gli onesti o coloro che commettono involontari errori. In questo modo il cittadino avverte un profondo senso di ingiustizia che gli fa perdere fiducia nella giustizia stessa, a tutto danno del principio di legalità. E, così, si finisce per inculcare anche negli onesti, la cultura dell’illegalità, con la quale è più facile farla franca. In questo clima, il governo oggi, perciò, ha ben gioco nel forzare il Parlamento verso una riforma della giustizia e della libertà di informazione, dopo aver inculcato nell’opinione pubblica, attraverso i media controllati direttamente dal presidente del Consiglio Berlusconi, l’idea assurda che giornalisti e giudici siano le uniche categorie che, in un presunto abuso di potere, metterebbero a rischio libertà, democrazia e privacy dei cittadini. Talvolta a dare una mano a chi vuole instaurare una dittatura soft, con censura preventiva sulla stampa, sono proprio quei magistrati che, per superficialità o per preconcetta ostilità, mettono sotto accusa i giornalisti, dimenticando che questi esercitano il loro legittimo diritto di cronaca e di critica. Ripensavamo a queste situazioni, che ci hanno indotto alle attuali riflessioni, considerando alcuni fatti di cronaca avvenuti a Molfetta e che sono oggetto delle pagine di primo piano di questo numero. Ci riferiamo al blitz dei carabinieri contro i fruttivendoli abusivi, mettendo fine a mesi di tolleranza e di violazione delle norme di decoro e igiene. Gli ambulanti si erano, di fatto, trasformati in commercianti a posto fisso, scegliendosi gli angoli più comodi della città, collocando cassette di frutta e verdura su marciapiedi e aree di parcheggio, allargandosi ogni giorno di più, fino a debordare con ostacolo alla circolazione di persone e automobili. E’ stato necessario un blitz dei carabinieri con oltre 100 uomini, decine di vetture e perfino un elicottero per porre fine a una situazione vergognosa, che “Quindici” da tempo aveva denunciato, parlando di abusivismo, che veniva prontamente smentito dall’amministrazione comunale. Ora ad essere smentiti dai fatti sono stati il sindaco Azzollini, l’ex assessore Corrieri, l’attuale assessore Brattoli: tutti avevano parlato di normali permessi, mentre dopo l’operazione “Piazza pulita” dei carabinieri, si è scoperto che erano regolari solo due su 29 fruttivendoli. Ma, due giorni dopo il blitz, sono cominciate a riapparire le cassette di frutta e piccoli “insediamenti” di fruttivendoli, destinati ad allargarsi come prima, quando l’attenzione delle forze dell’ordine si sarà allentata e nessuno si sognerà più di tornare a sanzionarli. E addio regole e legalità. Così, ancora una volta, prevarrà la logica dei “furbi” che, come scrive Curzio Maltese sul Venerdì di Repubblica, esistono perché esistono i “fessi” che sono la maggioranza, qualunquisticamente acquiescente verso il potente di turno che si chiami Berlusconi o Azzollini. Inoltre, la mancanza di senso di appartenenza alla comunità sia locale sia nazionale, porta anche a fenomeni di mancanza di rispetto dei monumenti e del territorio. E’ il caso della terrazza privata accanto al Duomo di Molfetta, dove è stato fatto scempio di un’architettura di secoli, per abbattere, ricostruire, aggiungere muri, ringhiere e quant’altro, nell’assoluto disprezzo dei luoghi storici. Tutto perfettamente legale, tutto perfettamente autorizzato, a detta dei proprietari, i quali possono avere anche le loro ragioni a realizzarsi un bel terrazzino con annesso Duomo romanico, con vista mare per feste e ricevimenti estivi, ma non per questo non suscitare la reazione dell’opinione pubblica indignata per lo stravolgimento storico e architettonico. Le responsabilità, quindi, non sono dei proprietari, ma di coloro che hanno concesso permessi e autorizzazioni, spesso negate, per molto meno. Ecco la cultura del territorio che sembra mancare anche in chi dovrebbe tutelare i monumenti e che rientra in quella superficialità, divenuta costume nazionale, nel Paese dei condoni edilizi e fiscali, dove il cattivo esempio viene dall’alto, da governanti che si considerano legibus soluti (al di sopra alle leggi) e autorizzano i sudditi ad agire di conseguenza. Un salto indietro di oltre mille anni. Ecco perché indignarsi è d’obbligo, quantomeno per non finire nella categoria dei “fessi”.
QUINDICI - 15.6.2010
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Felice de Sanctis