FELICE DE SANCTIS
Questo Paese, il tuo Paese, non è più un posto in cui sia possibile stare con orgoglio, questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un centesimo di una velina o di un tronista… Per questo, col cuore che soffre più che mai, il mio consiglio è che tu, finiti i tuoi studi, prenda la strada dell’estero”.
Quanti genitori, pur con la sofferenza nel cuore, hanno pensato di rivolgere questo invito ai loro figli in procinto di finire gli studi e decidere il loro futuro. Sono le parole che Pierluigi Celli, rettore della Luiss (l’università della Confindustria) di Roma, già presidente della Rai, ha rivolto al proprio figliolo.
Qualche giorno prima Guidalberto Guidi, numero due di Confindustria aveva rivolto un invito simile ai giovani: la ripresa sarà lentissima e se non vorrete invecchiare nell’attesa, tenete pronta la valigia per India, Cina, Brasile, Paesi della crescita.
Insomma, suggerimenti comuni per fuggire da questo Paese, ancor più gravi perché provengono dalle fila di chi oggi ha il potere e soprattutto rappresenta gli imprenditori italiani. Una resa da parte di chi, invece, dovrebbe creare posti di lavoro, ma preferisce ricorrere alla cassa integrazione e ai prepensionamenti per alleggerire gli organici, senza, però, assumere giovani (che pur costano molto meno) al posto di chi lascia il lavoro.
Intanto, l’ultimo dato dell’Istat registra in Italia 2 milioni di disoccupati, l’8% (contro il 7% di un anno fa) che sale al 27% fra i giovani. E il governo è impegnato non a risolvere la grave crisi economica del Paese, ma a trovare le scappatoie per il suo premier Silvio Berlusconi, evitandogli di essere processato per i gravi reati di cui è accusato. E per fare questa operazione il Cavaliere a cercare di stravolgere la Costituzione, per soddisfare le proprie esigenze giudiziarie, come ha fatto in passato per tutelare i propri interessi economici e garantire l’evasione fiscale ai ricchi, facendo pagare le tasse ai poveri attraverso l’imposizione indiretta, meno visibile, anche se più dolorosa.
E in Italia si parla solo di lui, delle sue escort, delle sue donne, e di altri argomenti inutili per distrarre l’attenzione dai veri problemi che sono quelli dell’enorme debito pubblico, della crisi per la quale non si fa nulla e soprattutto della vera emergenza nazionale, la questione giovanile e la disoccupazione di tanti ragazzi a cui viene vietato il futuro.
Il nostro “non è un Paese per giovani”, come scrivono Alessandro Rosina, docente di demografia alla Cattolica di Milano e la giornalista Elisabetta Ambrosi nel loro bel libro edito da Marsilio, che ha come sottotitolo: L’anomalia italiana: una generazione senza voce. È una lucida fotografia della generazione dei trentenni di oggi, che vivono compressi da una sorta di “tappo” che impedisce loro di emergere. Primo elemento del «tappo»: i (troppi) vecchi al potere, che malgrado i raggiunti limiti di età non vogliono lasciare le loro posizioni. Ma se l’esempio viene dall’alto con un presidente del Consiglio molto discusso ultrasettantenne che non vuole mollare, cosa si può pretendere da coloro che sono in posizioni meno autorevoli?
Secondo elemento del “tappo” è rappresentato dalle famiglie d'origine, accanto alle quali i giovani vivono in un’«inverosimile pace sociale». Il conflitto generazionale, la ribellione ai padri, le fughe da casa non esistono più. Mamma e papà sono gli unici ammortizzatori sociali su cui si può contare per arrivare alla fine del mese, per sopravvivere prima nel tunnel degli stage e poi tra un contratto precario e l’altro.
Terzo elemento del “tappo”: la sfiducia nel futuro, la rassegnazione di fronte alla difficoltà di trovare un buon lavoro. Il che è chiaramente deprimente.
Il drastico cambiamento di valori, dal pubblico al privato, dal collettivo all’individuale, è sicuramente uno dei motivi per i quali i giovani non aprono contestazioni pubbliche, non scendono più in piazza, non inventano forme di mobilitazione contro l’esistente, anche laddove l’esistente è cattivo e dannoso come spesso accade. Si legge nel libro: «Lo sguardo è rivolto, al contrario, verso il privato». In questo «privato», al sicuro nella propria casa, con gli amici, gli amori, i familiari, gli oggetti, i giovani cercano rassicurazioni. Come una tana, un posto dove rifugiarsi per proteggersi dalle delusioni e dalle frustrazioni del mondo esterno. Il problema è che nella tana si è soli. Non ci sono coetanei e colleghi con cui condividere gli stati d'animo ed elaborare idee, strategie di riscossa, rivoluzioni. Ognuno, insomma, è solo e isolato con le sue frustrazioni.
Intanto le tv, tutte ormai controllate da Berlusconi, e i suoi giornali, ma anche quelli non di sua proprietà che hanno rinunciato a dire la verità, spesso scomoda per lettori drogati dal premier (e quindi con rischio per le vendite), raccontano la favola secondo cui Berlusconi metterebbe al potere i giovani: ma quali giovani? Quelli belli, telegenici e con un buon cv, da piazzare in Parlamento prestissimo, senza che abbiano né vocazione né esperienza politica.
Ecco spiegato il brain drain, la fuga dei cervelli, ma in realtà le opportunità di lavoro all’estero, delle scuole private, dei master prestigiosi, dei soggiorni studi, sono possibili solo per chi è benestante, avendo alle spalle una famiglia che può sostenere i costi di questa formazione e anche del successivo inserimento. Per gli altri, c’è sempre la strada dell’estero, ma con maggiori difficoltà, sperando di farcela e di non finire frustrati nel tunnel della droga o dell’alcol, oppure restare in Italia in un precariato perenne tra stage e concorsi.
Sembra che i giovani abbiano perduto la voglia di ribellarsi e si siano adeguati ad un Paese cloroformizzato, nell’accettazione dell’esistente. Hanno perduto la rabbia e la voglia di riscatto.
Solo il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha risposto a chi invitava i giovani a lasciare l'Italia: "Possiamo far crescere il nostro Paese all'altezza delle conquiste delle società contemporanee più avanzate".
E qui la palla passa alla politica, che deve smetterla, soprattutto da parte del centrodestra di continuare a criminalizzare gli avversari, definiti ormai comunemente “comunisti”, e a seminare odio perché così non si costruisce nulla, anzi odio chiama odio e il risultato è stato poi quello di aver diviso l’Italia in due, con la conseguenza che qualche volta, come è accaduto a Milano, che qualcuno poi aggredisca il premier. Una strada sbagliata e da condannare, senza riserve, ma che è il sintomo di una politica contro, sempre e comunque, che uccide il dialogo e la possibilità di far crescere questo Paese.
Vedremo se il nuovo anno porterà quel cambiamento auspicato e soprattutto quelle riforme condivise, che sono diventate indispensabili per garantire un futuro ai nostri figli.
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Con il 2009 si conclude il 15° anno di vita di Quindici, abbiamo evitato festeggiamenti, come è avvenuto per il 10° anniversario, perché la situazione economica generale non si prestava all’euforia. Le difficoltà che stanno avendo tutti i giornali sul fronte delle entrate economiche, soprattutto quelle legate alla pubblicità, costringono tutti a stringere la cinghia e a fare maggiori sacrifici. Anche chi come noi non ha finalità commerciali (come gli organi di informazione free press che vengono distribuiti gratuitamente), deve fare i conti con le spese necessarie a stampare e distribuire un giornale che, come recita il nostro slogan, “si sceglie in edicola”. Un bilancio positivo di questi 15 anni ci sentiamo di tracciarlo: abbiamo contribuito a cambiare e migliorare l’informazione locale, abbiamo confermato di essere leader sul territorio, anche se questo non viene riconosciuto direttamente da chi, però, sceglie di utilizzare alcuni nostri collaboratori (c’è chi addirittura fa tutto il giornale con chi si ha frequentato la nostra redazione).
Insomma, abbiamo fatto scuola, al punto tale che anche chi ci ha fatto la guerra per anni, è stato poi costretto, in mancanza di risorse umane e professionali a scegliere al vertice chi è nato e cresciuto a Quindici, ammettendo nei fatti la propria sconfitta. Ma questo non ci interessa più di tanto: ci fa piacere pensare che abbiamo seminato bene e raggiunto l’obiettivo iniziale di fare una informazione diversa, migliorando la qualità complessiva dei media locali.
E con questo spirito che auspichiamo un futuro migliore per i giovani e rivolgiamo a loro, ai nostri cari lettori, ma anche a tutti i redattori, i collaboratori e gli inserzionisti che permettono con il loro impegno e la loro fiducia di realizzare e a far crescere Quindici, gli auguri più sinceri di Buon Natale e di un felicissimo 2010 ricco di pace e di maggiore serenità sia in campo economico sia su quello sociale.
Quindici – 15/12/2009
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Felice de Sanctis