La vergogna dimenticata
È il trionfo dell’ego, sovrano nella politica e nell’economia, con un permissivismo dilagante, tollerato perfino da quelle istituzioni che dovrebbero condannare il peccato, per il quale non si prova più vergogna, gettando i valori nella pattumiera
15/11/2009
FELICE DE SANCTIS Ahi serva Italia, di dolore ostello,/ nave sanza nocchiere in gran tempesta,/ non donna di provincie, ma bordello! Già nel 1300 Dante tratteggiava (Purgatorio, Canto VI, 76-78) un’immagine dell’Italia che corrisponde esattamente a quella attuale. La politica italiana, e soprattutto chi governa, è riuscito a portare indietro l’Italia di ben 700 anni! Questa regressione civile, ma anche sociale e politica, è stata possibile grazie alla potenza mediatica che ha annebbiato le menti, abbassando il livello di reazione individuale e livellando tutto al basso: dall’informazione alla cultura, col risultato di mandare al potere una classe dirigente di infima qualità, fatta di quei servi di cui parlava il sommo poeta, pronti a vendere tutto, perfino la dignità, in cambio di un briciolo di visibilità virtuale e di qualche piatto di lenticchie. E i servi tendono a mistificare la realtà. Quel che è più grave è che anche i giovani si sono fatti irretire da questa forza mediatica che si è impossessata delle loro menti, cancellando la loro capacità critica. «L'aspirazione dominante dei giovani – scrive un grande saggio come Paolo Sylos Labini - è quella di un lavoro ben remunerato, anche se noioso e ripetitivo: coi soldi che fai, finito il lavoro, puoi divertirti come credi, ossia secondo i gusti piccolo-borghesi. Sono emblematici gli spettacoli alla televisione. L'idea di cercare attività gradevoli e non alienanti non sfiora neppure la maggior parte dei giovani». Lo slogan «Dio, patria e famiglia» è stato reinterpretato ad uso e consumo di chi comanda, con libertà di adattarlo alle proprie situazioni, per giustificare perfino i propri errori. Del resto anche buona parte dell’informazione, anche quella non controllata direttamente dal premier, si è adeguata alla logica dominante, per comodità e per opportunismo che porta a privilegiare le veline, a scambiarsi le notizie, senza rischio di concorrenza e per compiacere il Palazzo e riceverne elogi. La carenza di coraggio morale, per garantirsi il quieto vivere. Una piattezza conformistica dei media, forse anche inconsapevole perché priva di capacità critica, che genera giornalismo spazzatura con la logica del livellamento, costituito dalla fissazione delle priorità, come insegna il sociologo americano Noam Chomsky nel suo bel libro «La fabbrica del consenso». Chi, invece, non si adegua, è additato al pubblico disprezzo come comunista, disfattista, antitaliano, terrorista, arrogante, presuntuoso, ribaltando sull’avversario (considerato come nemico, incitando all’odio) i propri difetti. E l’informazione locale è lo specchio di quella nazionale, se non peggio. Sinceramente è diventato difficile commentare gli avvenimenti nazionali e locali, senza incorrere nel rischio della ripetitività e soprattutto nel pessimismo. Ma i fatti (anzi la scomparsa dei fatti, come ricorda Marco Travaglio: «si prega di abolire le notizie per non disturbare le opinioni») sono sempre gli stessi: l’ignorato conflitto di interessi, il rifiuto della giustizia, il disprezzo della legge, il mancato riconoscimento dei diritti, la moda delle escort e ora anche dei transessuali, l’egolatria sovrana. La costante del nostro Paese sembra il coefficiente corruzione, sommato al vizio dell’indifferenza. «Fra i piccolo-borghesi – aggiunge Sylos Labini - l'obiettivo dominante è quello di far soldi con qualsiasi mezzo e a qualsiasi costo morale: quasi un articolo di fede. Acquisire tutto il possibile è diventato l'imperativo categorico: agi, prestigio sociale, conquiste sessuali». Che dire, allora, del traffico di carne umana da rosolare sulla griglia del reality e nelle feste private di Palazzo, della furbizia e della fuga dai doveri (evasione fiscale, rifiuto della giustizia e della legge, libertà senza limiti, disprezzo degli altri, soprattutto di chi la pensa diversamente, ecc.) da inculcare nei giovani attraverso i canali televisivi, che celebrano le virtù erotiche del capo come apoteosi dei valori? Anche a livello locale si è riprodotto il fenomeno nazionale col trionfo dell’ego, ormai sovrano nella politica e nell’economia, con un permissivismo dilagante, tollerato perfino da quelle istituzioni che dovrebbero rappresentare il simbolo della moralità e condannare il peccato, per il quale non si prova più vergogna, gettando i valori nella pattumiera. Emblematico è il caso di Michele Palmiotti (oggi assessore alle attività produttive della giunta di centrodestra presieduta dal sindaco Antonio Azzollini), che fu arrestato insieme ad altre 15 persone con l’accusa di voto di scambio e favoreggiamento, in seguito all’operazione by pass (6 ottobre 2005) nel corso della quale i carabinieri scoprirono una presunta associazione a delinquere dedita a ricettazioni, estorsioni e furti ai danni della Multiservizi, presieduta all’epoca proprio dallo stesso Palmiotti. Quindici, al momento della nomina di quest’ultimo ad assessore in sostituzione di Saverio Tammacco, eletto consigliere provinciale, espresse le proprie perplessità per la scelta di una persona indagata per un grave reato, ma il sindaco, per salvare gli equilibri interni, non volle sentire ragioni e da buon monarca e giudice di se stesso (come Berlusconi), andò avanti appellandosi al consenso popolare, quel populismo pericoloso che sta pervadendo il nostro Paese, ignorando le regole democratiche e del buon senso. Oggi l’indagato Palmiotti è stato rinviato a giudizio e le sue dimissioni sarebbero state quantomeno opportune, non come riconoscimento di colpevolezza, perché nessuno è colpevole fino alla condanna definitiva, ma quantomeno per un fatto di etica politica. Noi ci auguriamo e auguriamo a Palmiotti di riuscire a dimostrare la propria innocenza, ma un gesto di rispetto anche verso i cittadini con le sue dimissioni, sarebbe apprezzato. Invece, il sindaco oggi accusa di cinismo chi chiede questo gesto di correttezza istituzionale, perché egli resta fedele alla logica del padrone Berlusconi che rifiuta di dimettersi, per le note vicende che lo vedono coinvolto, come avrebbe fatto, per molto meno, qualsiasi capo di Stato di un Paese democratico. Ecco l’esempio negativo che viene dall’alto e che si trasmette ai giovani e diventa modello comportamentale tollerato e perfino apprezzato, senza vergogna. E qui, è giusto e doveroso fare un confronto con chi, nel centrosinistra, anche se sfiorato da una vicenda incompatibile con un incarico pubblico, ha sempre scelto la strada delle dimissioni ieri e oggi (caso Marrazzo). È questa l’etica della politica che andrebbe insegnata ai giovani, se vogliamo creare una generazione sana e sperare in un futuro migliore. Quindici 15/11/2009 © Riproduzione riservata
Felice de Sanctis
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