Voucher, ancora non ci siamo. Correzioni insufficienti
Serve la riduzione degli oneri contributivi e soprattutto la formazione e l’apprendistato
04/01/2017
FELICE DE SANCTIS Per una fortuita coincidenza, che rivela, però, come il problema del lavoro sia quello maggiormente percepito come il più grave del momento, sia il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, sia Papa Francesco, nei loro discorsi di fine anno si sono soffermati su questo fattore di estremo disagio per le famiglie. «Il problema numero uno del Paese resta il lavoro. Nonostante l’aumento degli occupati, sono ancora troppe le persone a cui il lavoro manca da tempo, o non è sufficiente per assicurare una vita dignitosa. Non potremo sentirci appagati finché il lavoro, con la sua giusta retribuzione, non consentirà a tutti di sentirsi pienamente cittadini. Combattere la disoccupazione e, con essa, la povertà di tante famiglie è un obiettivo da perseguire con decisione. Questo è il primo orizzonte del bene comune», ha detto Mattarella, che ha invitato anche a ricomporre la frattura fra Nord e Sud. Secondo Papa Francesco «non si può parlare di futuro senza assumere la responsabilità che abbiamo verso i nostri giovani. Più che responsabilità la parola giusta è debito. Se da una parte c'è una cultura che idolatra la giovinezza cercando di renderla eterna, dall'altra, paradossalmente, abbiamo condannato i nostri giovani a non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati e costretti a emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono. È debito: sì, il debito che abbiamo con loro». Tra le forme di lavoro che perpetua una situazione di precariato c’è sicuramente il sistema dei voucher che, partiti quasi in sordina, e pensato per far emergere il lavoro nero e sommerso, ha finito, poi, col rivelarsi il sistema più diffuso di lavoro accessorio, con un boom di richieste che fanno sospettare una forma di sfruttamento soprattutto dei giovani, in un mercato del lavoro già ampiamente «drogato». Di pari passo con l’aumento dei voucher, si è registrato nei primi 8 mesi del 2016, il numero dei nuovi contratti di lavoro in Puglia calato dell’8,8%, soprattutto a causa del forte crollo delle assunzioni a tempo indeterminato, che sono diminuite del 34%, ben 26.707 in meno rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le correzioni apportate dal governo, inserendo l’obbligo di comunicare i dati prima dell’inizio della prestazione, per evitare comportamenti truffaldini, come quello di giustificare a posteriori la presenza in azienda di un lavoratore privo di regolare contratto, non sono sufficienti. Si deve tornare ad un uso eccezionale di questo strumento, come era in origine (per edilizia e agricoltura e non come oggi quando vengono utilizzati perfino nella pubblica amministrazione, dove servirebbero, invece, più tagli a vantaggio della spesa pubblica) e non sfruttare le situazioni di bisogno, per cui molti giovani accettano i voucher pur di lavorare. E per combattere la generazione voucher, come è stata definita, costretta a una tipologia di lavoro a-contrattuale, occorre garantire un lavoro stabile. Certamente i voucher (che Susanna Camusso della Cgil ha paragonato ai pizzini con cui la mafia manda gli ordini) danno più garanzie del cosiddetto lavoro «a ritenuta d’acconto» che non prevede copertura pensionistica e assicurativa, né compensi minimi. Però l’uso distorto che se ne è fatto, ha tolto dignità soprattutto ai giovani, che sono oggi la parte contrattuale più debole, ma anche la parte politica più debole del Paese, non avendo rappresentatività e quindi forza politica (anche se la loro capacità di incidere elettoralmente l’hanno dimostrata votando NO al referendum costituzionale). Si dovrebbe insistere, invece, su una politica di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro e non solo attraverso strumenti per il contenimento del costo del lavoro, ma anche attraverso la riduzione degli oneri contributivi e soprattutto percorrendo la strada della formazione e dell’apprendistato. Il resto sono solo pannicelli caldi per tenere buona una generazione che sembra perduta, alla quale è stato tolto il futuro e che potrebbe esplodere da un momento all’altro creando un enorme problema sociale per il Paese e alla loro rabbia potrebbe aggiungersi quella dei genitori, costretti a mantenere i figli fino a 40 anni e oltre, senza lavoro stabile, né pensione certa: una bomba ad orologeria che l’Italia non può permettersi. La Gazzetta del Mezzogiorno 4/1/17
Felice de Sanctis
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