Crolla il prezzo del prodotto italiano e sale alle stelle quello di provenienza estera
L’assurda «guerra» del grano. Vince solo la speculazione. Denuncia di Leonardo Mastromauro
18/11/2016
FELICE DE SANCTIS Rischia di acuirsi la guerra del grano fra agricoltori e produttori: i primi lamentano i prezzi bassi (crollati quasi del 50%), e rimproverano ai pastifici di acquistare grano estero (canadese, australiano e americano) a prezzi più elevati. I produttori, dal canto loro, pur difendendo il lavoro degli agricoltori, non possono fare a meno di miscelare il grano italiano con quello estero che possiede maggiori proteine per realizzare una pasta di qualità, che altrimenti non terrebbe la cottura. In questa “guerra”, a far la parte del leone è la speculazione che avviene soprattutto sui prezzi del grano estero lievitati da 220 a 300 euro e oltre, la tonnellata media (TM). La superproduzione italiana nel 2016 ha raggiunto oltre 5,5 milioni di tonnellate, il livello più alto registrato nell’ultimo decennio. La conseguenza, per la legge della domanda e dell’offerta, è stata il crollo dei prezzi. Tra l’altro, secondo i titolari di molini e pastifici, alla quantità non corrisponde la qualità, soprattutto dal punto di vista proteico, per via dello sfruttamento intensivo del terreno e della mancata immissione di sostanze azotate per migliorarne la qualità. Insomma, la maggiore quantità, che molti agricoltori hanno perseguito, rischia di diventare un boomerang per loro, in quanto l’industria molitoria ha necessità di approvvigionarsi di grani esteri che vanno aggiunti nella misura del 20-30% al prodotto italiano, per garantire la qualità richiesta dal consumatore. Se si considerano i costi elevati del grano estero, ben si comprende come la situazione sia “socialmente ed economicamente allarmante per il mondo agricolo, ma fortemente preoccupante per la stessa industria molitoria, tenuto conto che l’attuale livello dei prezzi del frumento duro rischia di disincentivare la produzione in molte aree produttive, accentuare il deficit produttivo nazionale rispetto al fabbisogno dell’industria molitoria, svalutare le scorte della stessa industria e depauperare il prodotto semola, frutto dell’impareggiabile capacità dei nostri mugnai a selezionale e trasformare le migliori varietà di frumento duro” dice l’Italmopa (l’Associazione industriali mugnai d’Italia) aderente a Federalimentare e Confindustria. Ma sarebbe assurdo individuare nelle importazioni di grano i problemi della cerealicoltura italiana. Senza grano estero ci sarebbe lo stop alla produzione di farine e semole destinate all’industria pastaia, dolciaria e alla panificazione. In questa situazione ha buon gioco la speculazione sul prezzo del grano con gravi danni economici non solo sui pastifici, ma anche sui consumatori che rischiano, di riflesso, di subire il contraccolpo dell’aumento dei prezzi della pasta. “La speculazione – come dice Leonardo Mastromauro presidente del Pastificio Riscossa di Corato che con 70mila tonnellate l’anno e uno dei più importanti in Puglia – gioca alle differenze di prezzo sui mercati del grano che risultano discordanti fra loro. Questo si nota in particolare tra la produzione di grano duro nel centro Italia, con riferimento alla Borsa merci di Bologna e la produzione di grano duro nel Sud Italia con riferimento alle Borse merci di Altamura e Foggia. Infatti le quotazioni di Bologna (mercato nazionale) risultano inferiori a quelle di Foggia e Altamura e soprattutto discordanti fra quelle di franco partenza delle pugliesi dove la quotazione di mercato per il grano di proteine P. 11 oscilla fra i 218 e i 223 euro a tonnellata media a quella di franco arrivo di Bologna su cui si calcola il costo di consegna, che va da 206 a 211 tonnellate media”. Insomma, le differenze fra il mercato di Bologna e quelle locali è evidente e, in alcuni casi, il prezzo è addirittura maggiore di circa 20 euro. Altra differenza eclatante è data dalla differenza di trasporto che è Bologna franco/arrivo, quindi dal prezzo inziale del grano bisognerebbe detrarre le spese di trasporto di circa 17 euro per TM (tonnellata media). Il tentativo della speculazione, già verificatosi lo scorso anno, è quello di portare il prezzo del grano da 220 a quasi 300 euro a tonnellata. “E tutto questo avviene – lamenta Mastromauro – per la mancanza di un’autorità di controllo, come potrebbe essere l’Antitrust o un’altra istituita ad hoc. Perché non viene individuata una Borsa merci unica nazionale a Bologna, come avviene il mercato mobiliare di Milano? Ci farebbe piacere che a guadagnare fossero più gli agricoltori, ripagando il loro faticoso lavoro, che non la speculazione e coloro che fanno lo stoccaggio del grano acquistato a prezzo basso, per rivenderlo poi quando il prezzo sale. La messa a riposo dei terreni e la loro concimazione permetterebbe una migliore resa proteica. Fare una guerra o proteste come quella della processione con la bara piena di grano, avvenuta qualche tempo fa, per impedire l’importazione del grano estero, non ha senso, occorre far fronte comune contro la speculazione nazionale e internazionale”. La Gazzetta del Mezzogiorno 18/11/2016 – Puglia e Basilicata
Felice de Sanctis
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