L'allarme di Leonardo Mastromauro: «Grano, si produce di più, ma resta la speculazione»
Ne arriva meno dall’estero, ma senza controlli i prezzi non scendono. Mondo agricolo, mercati in fibrillazione. L’allarme di Mastromauro. I costi oscillano tra 240 a un tetto di 400 euro a tonnellata contro una quotazione accettabile tra i 305 e i 315 euro
09/07/2015

FELICE DE SANCTIS

C’è il rischio di una nuova speculazione sul prezzo del grano con gravi danni economici sui pastifici e rincari del prezzo della pasta per i consumatori.
A lanciare l’allarme è Leonardo Mastromauro, presidente del Pastificio Riscossa di Corato che, con 70mila tonnellate l’anno, è uno dei più importanti di Puglia.
Nel 2014 la produzione subì un forte calo nell’ordine di 3,5 milioni di tonnellate, l’11%  in meno rispetto al 2012. La contrazione della produzione a livello mondiale (ricordiamo che l’Italia è uno dei Paesi leader nella produzione di grano duro: sono 5,5 milioni le tonnellate, comprese quelle di importazione, trasformate in semola) rischia di ripercuotersi sul prezzo della pasta e di conseguenza le aziende pugliesi diventano meno competitive anche sul mercato della grande distribuzione, verso il quale l’industria non riesce più a garantire le offerte speciali come faceva in passato.
Anche i mulini avevano prodotto di meno, per cui a subire sono sempre le piccole e medie imprese che non si possono permettere di approvvigionarsi di grossi quantitativi di grano, con la conseguenza che alcune di esse si sono trovate in difficoltà e sono fallite. Se a questo si aggiunge che il costo della semola era lievitato del 60%, si può ben capire la difficile situazione di molti pastifici. E ad approfittarne è la speculazione, che ci lucra su.
Per fortuna, quest’anno la situazione è diversa, certamente migliore con un’abbondanza di prodotto, ma ancora una volta entra in gioco la speculazione attraverso la diffusione di statistiche non rispondenti alla reale situazione produttiva, come è già avvenuto nel marzo scorso. In questo settore avere delle statistiche certe è quasi impossibile, anche perché molti Paesi produttori dell’Est Europa non forniscono dati in materia. C’è da dire che al maggiore quantitativo di quest’anno, si aggiunge una migliore qualità, soprattutto di grano proteico, che rende perfino inutile mischiarlo con il 20% di grano canadese, americano o australiano, che permettono di tenere meglio la cottura. Quindi la riduzione del ricorso all’importazione di grano estero può produrre indubbi vantaggi sul piano dei costi e quindi del prodotto finale. Ma chi certifica questa situazione? Nessuno, per la mancanza di statistiche e questo favorisce le azioni speculative con l’obiettivo nascosto di ripetere l’operazione del 2013. In realtà potremmo trovarci di fronte al reato di aggiotaggio, punito dall'articolo 501 del codice penale, "Rialzo e ribasso fraudolento di prezzi sul pubblico mercato o nelle borse di commercio",  che recita:  «Chiunque, al fine di turbare il mercato interno dei valori o delle merci, pubblica o altrimenti divulga notizie false, esagerate o tendenziose o adopera altri artifizi atti a cagionare un aumento o una diminuzione del prezzo delle merci, ovvero dei valori ammessi nelle liste di borsa o negoziabili nel pubblico mercato, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da euro 516 a 25.822».
L’obiettivo è quello di portare il prezzo del grano da 240 euro a tonnellata a 400 euro, quando una quotazione accettabile sarebbe quella tra i 305 e i 315 euro, valore peraltro già raggiunto in questi giorni, ma c’è il rischio che salga ancora. Di qui l’allarme. In realtà la speculazione ha libero gioco perché mancano i controlli e non vi è un’apposita autorità che li garantisca. Il 23 ottobre dell’anno scorso Leonardo Mastromauro della Riscossa inviò una lettera all’Autorità garante della concorrenza e del mercato (l’Antitrust) con la richiesta di «verificare se il costante e continuo aumento del grano duro, compreso l’ultimo aumento di 40 euro a tonnellata (Borsa merci Foggia) del 22 ottobre scorso, sia dovuto a evidenti forme speculative e non di mercato. Tale eccessivo aumento non è sopportabile dalle industrie della pastificazione in rapporto al mercato della pasta secca».
La risposta dell’Antitrust fu che, dopo aver valutato i fatti denunciati e le loro possibili implicazioni rilevanti dal punto di vista della tutela della concorrenza, aveva riscontrato che «tali fatti esulano dall’ambito delle proprie competenze, non integrando alcuna delle ipotesi di illecito concorrenziale previste dalla disciplina antitrust nazionale e comunitaria».
Ci si chiede, allora, se non spetta all’Antitrust controllare, quale organo deve farlo, per evitare le speculazioni? A creare ancora più confusione contribuisce la presenza di tante borse merci locali, che finiscono per influenzare negativamente il mercato. Per capire concretamente la situazione, prendiamo ad esempio la quotazione del 3 luglio scorso. In quella data si registravano quotazioni diverse sulle borse merci: quella di Foggia con un prezzo di 320-325 euro a tonnellata e un aumento di 10 euro rispetto alla quotazione precedente; quella di Altamura (c’è anche questa piccola borsa di provincia che fa capo all’associazione meridionale cerealisti) registrava addirittura un aumento di 18 euro, mentre le borse di Milano e soprattutto quella di Bologna, considerata la più attendibile, non registravano alcun aumento restando con un prezzo invariato tra 310 e 315 euro. Insomma, un vero caos che disorienta il mercato. Come mai nessuno ha pensato di regolare il settore, magari attribuendo la funzione di borsa merci unica nazionale a quella di Bologna, come avviene per il mercato mobiliare di Milano?
Nella nuova campagna del grano, iniziata a giugno, già si intravedono le prime strane manovre di incerta provenienza. Insomma, la speculazione è in agguato. Leonardo Mastromauro si chiede: «su quali basi queste piccole borse locali definiscono le loro quotazioni? Perché non viene istituita un’autorità centrale che possa tenere sotto controllo i grandi gruppi, per evitare fenomeni speculativi?».
La ripercussione di questa situazione confusa e incerta ricade sull’industria che non può produrre per vendere sottocosto in un mercato impazzito e senza controllo ed è costretta a ridimensionare la produzione, mettendo gli operai in cassa integrazione o, nei casi più gravi, come già avvenuto, chiudendo l’azienda.
C’è da aggiungere che ci sono commercianti che vendono grano ad altri commercianti e lo riacquistano poi a prezzo maggiorato facendo registrare questo aumento alla borsa merci. Del resto quello di fare scorta di prodotto per venderlo poi successivamente a prezzo maggiorato è una pratica diffusa nel settore.
Il rischio è che si torni a produrre pasta con grano tenero, appiccicosa e di scarsa qualità in Africa, nel Nord Europa o in Turchia e che il prodotto più sano ed economico del mondo non sia più accessibile a tutti. Occorre, secondo Margherita Mastromauro, direttore generale della “Riscossa”, un intervento del governo per prevenire speculazioni e un maggiore sostegno economico europeo a queste coltivazioni. Come difendersi sul piano commerciale? Stabilendo per legge che i distributori siano obbligati a rinegoziare i prezzi dei prodotti alimentari in caso di forte aumento dei prezzi della materia prima, entro i due mesi successivi.

La Gazzetta del Mezzogiorno 9.7.2015

Felice de Sanctis
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