L’Italia, ma anche gli altri Paesi europei a rischio come Grecia e Spagna stanno vivendo giorni di passione con lo spread sempre alto, che non accenna a calare nemmeno di fronte alle politiche di emergenza economica e alle manovre correttive per ridurre il debito, messe in atto da tutti i governi.
La recessione colpisce i redditi delle famiglie e fa soffrire le imprese, mentre i mercati finanziari, nello stato di incertezza, danno fiato alla speculazione. Per gli Stati senza lo scudo anti spread, la difesa dell’euro diventa sempre più difficile. I mercati, poi, non si fidano dell’Italia: per troppi anni abbiamo promesso di ridurre il debito, ma non abbiamo mai posto in essere, soprattutto nell’ultimo quindicennio berlusconiano, alcuna azione concreta in tal senso. Ecco perché i mercati temono un possibile ritorno del Cavaliere, anche se appare sempre più improbabile, ma temono anche il dopo Monti, con la fine dell’attuale rigore finanziario e il ritorno ad una politica più allegra che farebbe schizzare il debito fuori controllo.
IL FANTASMA DELLA PATRIMONIALE
Il rischio è che un accordo franco-tedesco, con l’appoggio del Fondo Monetario internazionale possa mettere sotto controllo l’Italia, imponendole una immediata e forte riduzione del debito e costringendo Monti ad attivare una pesante patrimoniale in forma di prestito forzoso, che abbatterebbe subito lo stesso debito e alleggerirebbe anche le tasse sul lavoro e su chi fa impresa (le più alte d’Europa), incrementando le retribuzioni e favorendo i consumi e quindi la crescita. Tra l’altro le promesse dismissioni del patrimonio pubblico non ci sono mai state, come non c’è stata la riduzione della spesa pubblica.
Ecco perché ritorna puntualmente il fantasma della patrimoniale, che toglie il sonno agli italiani, soprattutto al ceto medio, che ne subirebbe maggiormente il peso. E’ considerata una specie di appropriazione indebita, un’espropriazione fiscale soprattutto su redditi già tassati, che costituiscono il risparmio degli italiani. Ingiusta, oppressiva e illiberale, sono le definizioni più comuni per questo “balzello” forzoso. Ma quella più odiata è l’una tantum che arriva a sorpresa, un’imboscata sui nostri risparmi e sulle nostre proprietà, senza possibilità di rateizzazione nel tempo.
IL PESO DEL DEBITO PUBBLICO E LO SPREAD
Si calcola, infatti, che parte dei 10 miliardi della ricchezza privata italiana, composta per lo più da consistenze finanziarie e immobiliari, possa coprire ben 2mila miliardi di debito pubblico il cui rapporto con il Pil (la ricchezza prodotta) nel primo trimestre 2012 ha toccato quota 123% con un aumento del 3,2% rispetto al trimestre precedente e del 3,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011. L’Italia ha il primo debito pubblico europeo, dopo quello della Grecia ed il terzo mondiale.
Ecco perché l’Italia soffre non solo per l’alto debito, ma per le sue conseguenze che sono quelle di pagare gli interessi su questo debito ai suoi creditori. E gli interessi sono legati proprio allo spread, che è la differenza percentuale tra il rendimento dei titoli (Bund) tedeschi e i Btp (Buoni del tesoro poliennali) italiani di durata decennale.
Semplice il meccanismo: quando i cittadini vanno in banca a comprare tali obbligazioni, lo Stato incassa subito denaro contante, con l’impegno di restituirlo dopo alcuni anni con gli interessi. Più lo Stato è affidabile e meno è indebitato minore sarà l’interesse pagato a chi compra le sue obbligazioni. Lo spread indica questa differenza: se il Bund tedesco rende il 2% e il Btp italiano il 7%, si calcola che fra i due vi è uno spread del 5%, cioè i famosi 500 punti con i quali gli italiani hanno imparato a convivere, a prezzo di ansia quotidiana.
In pratica, se io compro 10.000 euro di Bund, il mio capitale (teorico) fra un anno sarà di 10.200 euro; se invece spendo la stessa somma in Btp italiani, fra un anno il mio capitale sarà di 10.700 euro, quindi più elevato, ma la differenza di 500 punti la paga lo Stato che vede così crescere il proprio debito e tutto ciò perché l’Italia viene considerata meno affidabile della Germania e quindi con probabilità di fallimento. Col rischio, inoltre, di non poter restituire il denaro dei Btp con i relativi interessi, che tra l’altro sono suscettibili alle fluttuazioni e alle tensioni dei mercati finanziari. Comprare Bund significa avere interessi più bassi ma sicuri, comprare Btp significa puntare a un rendimento più altro sperando che l’Italia non fallisca. Una vera e propria scommessa o gioco d’azzardo finanziario.
Si possono paragonare gli interessi ad un elastico (come quello che usano i bancari per fermare le mazzette di banconote) che regge la quantità del debito, maggiore è il debito e maggiore sarà l’estensione dell’elastico. Maggiore è l’estensione e maggiore è la tensione a cui è sottoposto l’elastico. Ma l’elastico è soggetto anche al vento dei mercati. Quando soffia forte, l’elastico rischia di allungarsi e di rompersi: ed è il default del debito, cioè lo Stato non è più in grado non solo di restituire il debito, ma nemmeno di pagare gli interessi ed è il fallimento.
Ci sono tre possibilità per evitare questo pericolo: 1) ridurre gli interessi; 2) ridurre il debito; 3) ridurre entrambi.
LE POLITICHE ECONOMICHE DEGLI ULTIMI 20 ANNI
Le politiche degli ultimi 20 anni hanno visto le forze di centrosinistra impegnate a ridurre il peso del debito con un incremento della tassazione, mentre quelle di centrodestra si sono proposte politiche rigorose di bilancio e tagli alla spesa pubblica che, però, non hanno mai attuato per incapacità o per timore di perdere consenso.
E così lo spread si è allargato e oggi il governo di Mario Monti è alle prese con una mission impossibile di ridurre il debito pubblico, dopo le politiche sciagurate degli ultimi anni (aggravate anche dalla crisi internazionale), non solo per non far fallire il Paese, ma anche per garantire un futuro alle nuove generazioni, rilanciando la crescita economica, senza della quale la disoccupazione non solo non cala, ma aumenta.
COME FUNZIONA LA PATRIMONIALE
Ma vediamo cosa è la patrimoniale, come funziona e quali sono i possibili svantaggi e svantaggi, ricordando anche qualche precedente storico, l’ultimo dei quali risale al governo Amato del 1992, con l’obiettivo di evitare anche allora il crac finanziario.
La patrimoniale è la tassa applicata ai patrimoni sia delle persone fisiche che di quelle giuridiche (enti, società, cooperative, ditte individuali, ecc.) e colpisce qualsiasi genere di bene (denaro, valori, preziosi, immobili, azioni, obbligazioni, fondi) oppure potrebbe essere limitata a una particolare categoria di beni, come è avvenuto nel 1992 con il prelievo forzoso del 6 per mille su tutti i conti correnti bancari e postali.
La patrimoniale può essere applicata “una tantum” come avvenuto sempre nel ’92, oppure avere una cadenza periodica come l’Ici (che è una patrimoniale “mascherata”) o infine essere introdotta in occasione di particolari eventi, come la tassa di successione che si applicava, prima della sua soppressione, in occasione dell’acquisizione di una eredità.
Altra particolarità è quella di essere “secca” (quindi fissa) o “variabile” cioè progressiva in funzione del patrimonio, mentre è di solito prevista anche una forma di franchigia (soglia di protezione) per redditi più bassi, al di sotto dei quali c’è una fascia esente.
PRECEDENTI STORICI
La patrimoniale ricorre periodicamente nella storia della politica italiana ed è stata sempre il cavallo di battaglia della sinistra, in particolare del vecchio PCI che ne ha fatto oggetto di proposta politica per circa 40 anni. Già nel novembre del 1976 PCI e PSI si incontrarono per studiare un’imposta del patrimonio immobiliare (delle due delegazioni facevano parte personaggi di rilievo come l’attuale presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, il padre di D’Alema, Giuseppe, gli economisti Luigi Spaventa e Nerio Nesi e anche quel Fabrizio Cicchitto, della sinistra socialista lombardiana, che ritroviamo anni dopo, oggi, sul fronte opposto della destra berlusconiana).
In Europa la Francia socialista di Mitterrand nel 1981 è stata la prima a promulgare una patrimoniale progressiva (Impote de solidarité sur la fortune) dallo 0,55% all’1,8%, in vigore ancora oggi. L’imposta fu soppressa dal governo di destra di Chirac la soppresse nell’87. Mentre i socialisti la riproposero nell’89. Sarkozy, infine, aveva deciso lo scorso anno di sopprimere quella che si applica sopra i 790mila euro, ma il deficit di cassa, sconsigliò questa misura popolare, ma inopportuna in quei momenti, tenuto conto che garantisce ogni anno all’erario più di 4 milioni di euro di entrate.
In Europa la patrimoniale esiste anche in Svezia e Norvegia.
Come i nostri cugini d’Oltralpe, anche la sinistra italiana nel 1985 propose al governo Craxi un documento preparato al Dipartimento economico del Pci, guidato da Alfredo Reichlin, una riforma della pubblica amministrazione per evitare la stretta monetaria, che avrebbe soffocato lo sviluppo. Si suggeriva anche di istituire una vera e propria imposta patrimoniale, con revisione dell’imposta sulla casa. L’obiettivo era quello di raddrizzare la politica economica, già allora traballante, con una disoccupazione crescente e un vertiginoso aumento del debito pubblico, che proprio in quegli anni cominciò a galoppare.
Già allora si proponevano le stesse ricette di oggi: riforma della pubblica amministrazione, controlli più semplici, mobilità e responsabilizzazione del personale, uso dei parametri costi-benefici, procedure più agili, aumenti correlati all’incremento della produttività e meno agli automatismi dell’anzianità.
Ma la misura più decisiva veniva considerata una patrimoniale ordinaria sui beni mobili e immobili facilmente manovrabile per consentire di colpire anche l’evasione delle grandi imprese. La patrimoniale doveva portare alla radicale modifica delle imposte sulla compravendita e sul reddito delle case e la ricostruzione del catasto.
Sono passati quasi 30 anni, ma sembra ieri. La situazione non è cambiata. Riuscirà il governo tecnico a modificare qualcosa?
LE PROPOSTE IN CAMPO
Le ricette proposte oggi sono molte, da quella di Luigi Abete, presidente dell’Assonime, l’associazione delle società per azioni, che suggerisce di tassare dello 0,1% tutti i patrimoni perché secondo le stime di Bankitalia la ricchezza complessiva è di circa 9-10.000 miliardi e si produrrebbe così un gettito annuo di circa 9 miliardi.
Giuliano Amato, invece, propende per una tassa di circa 30mila euro per il terzo degli italiani più ricchi, mentre il banchiere cattolico Pellegrino Capaldo punterebbe a un’imposta tra il 5 e il 20% sulle plusvalenze immobiliari.
Se la patrimoniale fosse applicata contemporaneamente ad un taglio delle imposte su lavoro e imprese, potrebbe avere effetti redistributivi, di stimolo agli investimenti e quindi di quella crescita economica, di cui tutti parlano ma che ancora non si vede nemmeno all’orizzonte.
PUNITIVA PER IL CETO MEDIO
Ma il vero problema della patrimoniale è che finirebbe, comunque, per colpire i ceti medi, quelli che già pagano le tasse, il cui patrimonio è “visibile” a differenza di quello “invisibile” dei grandi evasori che esportano capitali all’estero in grandi paradisi fiscali.
Insomma, per colpa dell’evasione fiscale, problema mai risolto alla radice in Italia, a versare la patrimoniale sarebbero sempre i soliti noti che pagherebbero due volte, su redditi già tassati e depositati in banca investiti in immobili.
Perché, allora, non decidersi finalmente e senza indugio a vendere il patrimonio immobiliare pubblico e in particolare a mettere sul mercato le grandi Spa pubbliche (Eni, Enel, ecc.), oggi strumento di consenso come erogatore di finanziamenti e poltrone, col rischio di corruzione, come la cronaca giudiziaria di questi anni ha dimostrato ampiamente.
Il ceto medio è quello che ha fatto da traino all’economia italiana, non si può penalizzarlo ulteriormente, col rischio di creare nuovi veri poveri, mentre i 42mila finti poveri con superbarca (costretti a “stringere la cinghia” dichiarando solo 20mila euro l’anno) ma che amano il lusso, se la spasseranno alla grande in un Paese dove la forbice tra ricchi e poveri si va paurosamente allargando con conseguenze negative per tutti, col default più vicino. E la Grecia insegna.
La Gazzetta del Mezzogiorno 27.7.2012 – Primo piano pag. 10