La mina vagante del federalismo
18/02/2011
C’è una mina vagante che in questi giorni rischia di emarginare definitivamente il Mezzogiorno: il federalismo, che il leader della Lega Nord Umberto Bossi, si prepara ad incassare con la complicità di Berlusconi.
Il Sud vive una situazione drammatica come conferma il rapporto sull’economia del Mezzogiorno diffuso dalla Svimez (Associazione per lo sviluppo dell’industria del Mezzogiorno). La recessione ha colpito duramente le industrie del Sud, in due anni si sono persi oltre 100mila posti di lavoro ed è cresciuto il numero delle persone – 6 milioni e 830mila – a rischio povertà. Le regioni meridionali registrano un Pil ai livelli di dieci anni fa, con una crescita dal 2000 dimezzata rispetto al resto del Paese. Performance che giustificano il consistente calo dei consumi e dell’occupazione.
I numeri forniti dalla Svimez sono allarmanti. Il Pil per abitante è pari a 17.317 euro, il 58,8% del Centro-Nord (29.449 euro). E l’industria è a rischio di estinzione. Nel 2009 la disoccupazione è cresciuta più nelle regioni settentrionali, ma in valori assoluti il Sud è nettamente più in sofferenza. Tra i giovani ha toccato il 36% contro il 20,1% del Centro-Nord. E son quasi 2 milioni quelli che né lavorano, né studiano.
Una crisi che non può non avere impatto sui consumi e sulla vita quotidiana. Nel Meridione una famiglia su cinque non ha i soldi per andare dal medico e non può permettersi di pagare il riscaldamento. In particolare, al 30% delle famiglie sono mancati i soldi per vestiti e al 16,7% è mancato denaro per pagare le bollette di gas e luce. Quasi una famiglia su due, il 44%, non ha potuto sostenere una spesa imprevista di 750 euro e 8 famiglie su 100 hanno dovuto rinunciare agli alimenti necessari. Il 14% dei nuclei, tre volte più che nel resto d’Italia, vive con meno di 1.000 euro al mese e un meridionale su tre è a rischio povertà.
Molti cittadini del Sud hanno affrontato il problema con la fuga. Tra il 1990 e il 2009 circa 2 milioni 385mila persone hanno abbandonato il Mezzogiorno diretti nella quasi totalità al Nord, con preferenza la Lombardia.
Secondo uno studio dell’Anci, l’associazione dei Comuni italiani, confrontando gli attuali trasferimenti Stato-enti locali con il metodo di calcolo previsto dal nuovo sistema federalista, a perderci sarebbero soprattutto le città del Centro e del Sud. Più penalizzata sarebbe L’Aquila, ma anche Roma e Napoli. I municipi perderebbero complessivamente 445 milioni di risorse l’anno da destinare ai servizi, proprio a causa del passaggio dai trasferimenti statali all’autonomia delle imposte.
In pratica, un federalismo targato Nord, o meglio Lega-Nord. Col federalismo municipale, infatti, aumenteranno le tasse in molti Comuni già da quest’anno. Il governo dovrà emanare un decreto per disciplinare “la graduale cessazione, anche parziale”, del blocco delle addizionali comunali. Nel caso in cui il governo non dovesse approvare il decreto, i Comuni che non hanno l’addizionale o ce l’hanno in misura inferiore allo 0,4% potranno aumentarla nei “primi due anni” di 0,2 punti percentuali. Lo sblocco può scattare anche retroattivamente per il 2010, se i sindaci emettono le relative delibere “entro il 31 marzo 2011”.
Secondo Calderoli la fonte di finanziamento chiave dei Comuni, dovrebbe essere la compartecipazione Irpef al 2 per cento, insieme alla cedolare secca sugli affitti al 23 per cento e alla tassazione immobiliare della seconda casa (oggi l’Ici, dal 2014 l’Imu). Poi c’è la tassa di soggiorno, ma riguarda solo i capoluoghi di provincia. Insomma, un falso federalismo perché con l’attribuzione ai Comuni di una porzione di gettito statale, lo Stato tassa e i Comuni spendono. Senza considerare poi che la tassazione della seconda casa con la cedolare secca creano di fatto uno squilibrio fra i Comuni (si avvantaggeranno solo quelli che hanno un parco-locazioni più ampio) e così via.
Per anni si è lasciato il Sud povero e sottosviluppato per avere un controllo politico più facile del potere locale attraverso le clientele e ora, per giustificare la nuova legge, si promette un federalismo fiscale solidale, che non esiste da nessuna parte, soprattutto se si considera che dovrebbe essere attuato valutando i cosiddetti “costi standard” come elemento di controllo della spesa per i servizi essenziali erogati dalle regioni. In pratica, saranno favorite le regioni ricche (con un reddito pro-capite più alto degli abitanti), con un aumento delle diseguaglianze. Ma la gestione di tre settori chiave come sanità, assistenza e istruzione, e in parte i trasporti locali, sarà centrale, alla faccia dello stesso federalismo, eliminando di fatto l’autonomia delle regioni del Sud.
Il Mezzogiorno per sopravvivere dovrà sopportare tagli e tasse e una riduzione del welfare, che aumenterà il divario con il Nord. Questa è la triste realtà, altro che le bugie che ci raccontano.
 
La Gazzetta del Mezzogiorno 18.2.2011
Felice de Sanctis
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