Lo Statuto dei Lavoratori torna nell’occhio del ciclone dello scontro politico-sindacale. Questa volta non è in ballo solo l’art. 18, ma l’intero impianto legislativo del 1970, figlio di Giacomo Brodolini e di Gino Giugni a tutela dei lavoratori.
A gettare la pietra nello stagno è stato ancora una volta il premier Mario Monti che ha affermato in video conferenza da palazzo Chigi ad un convegno dell'università RomaTre che lo Statuto, nato con "l'intento nobile" di difendere le classi lavoratrici ha finito per avere l'effetto opposto e ridurre l'occupazione.
Una frase che, pronunciata due giorni dopo il difficile tavolo con le parti sulla produttività, ha scatenato le ire della Cgil: Il segretario generale Susanna Camusso ha detto che è il peggior liberismo e che il premier è a corto di idee per la crescita.
Secondo l’avv. Enzo Augusto, giuslavorista, Mario Monti fa bene il suo mestiere di far funzionare il sistema in una logica che fa riferimento ai problemi della finanza e delle banche, ma non si preoccupa dei lavoratori.
Alla fine, il risultato è quella della compressione dei diritti dei lavoratori e questo non è giusto. Non si può, infatti, cancellare una tradizione di civiltà del lavoro che è di esempio per tutto il mondo per sacrificarla sull’altare della finanza e del profitto.
Sentire delle affermazioni sullo Statuto dei lavoratori, come quelle che esprime Monti, mi fa male. E poi, se vogliamo considerare i risultati ottenuti in questi anni, occorre ricordare che non sono stati affatto negativi, come sostiene il premier.
E’ vero il contrario, una riprova ne sia il fatto che la riforma del ministro Fornero che doveva far aumentare l’occupazione, sta avendo come effetto concreto solo una contrazione dei posti di lavoro. Cioè oggi si assiste alla eliminazione dei posti di lavoro, non alla creazione di nuove unità lavorative.
Allora lo Statuto dei Lavoratori è ancora attuale? A distanza di 42 anni non avrebbe bisogno di un restyling per adeguarlo alle nuove esigenze del mondo del lavoro in una realtà economica profondamente cambiata?
«No, a mio parere – sostiene Augusto – è attualissimo, qualche piccola correzione o aggiustamento può essere anche fatto, ma resta un impianto fondamentale per la tutela dei lavoratori, soprattutto oggi che è cresciuto il rischio che certe norme di garanzia possano essere smantellate per obbedire ad un’assurda logica di mercato, che alla fine danneggia tutti».
Perplessità anche da parte del giuslavorista Antonio Belsito, Coordinatore del Centro Studi Diritto dei Lavori.
«In realtà lo Statuto dei Lavoratori è e resta da 42 anni un pilastro per la gestione dei rapporti civili e democratici negli ambienti di lavoro tra imprenditori e lavoratori. Regolamentare i poteri del datore di lavoro e l’esercizio dei diritti sindacali in azienda da parte dei lavoratori, invero, ha consentito una crescita economica del nostro Paese.
Semmai, sconvolge il tentativo di riscrivere l’articolo 18 dello Statuto, non già perché sia un tabù, ma semplicemente perché chi ha avuto il pessimo gusto di riformulare in maniera confusionaria quell’articolo evidentemente non conosce il mondo del lavoro e purtroppo non è in grado di scrivere una legge, considerata la lungaggine e ripetitività della nuova normativa che mal si concilia con i criteri tecnici del nostro ordinamento.
In tutti questi anni il Prof. Veneto, mio maestro e primo allievo di Gino Giugni – che nel 1970 volle questa fondamentale legge - ha in ogni occasione messo in risalto la grande validità e utilità dello Statuto dei Lavoratori che, peraltro, potrebbe anche essere aggiornato, adeguandolo alle esigenze dei nuovi tempi senza però annullare i diritti dei lavoratori da tempo acquisiti e magari estendendo tali garanzie ad ogni lavoratore non necessariamente subordinato in un’ottica di un vero Statuto dei Lavori senza mai ridurre le garanzie acquisite.
Una rivisitazione dello Statuto dei Lavoratori non può essere imposta dall’alto con la delega a qualcuno che scrive lunghissime quanto contraddittorie norme, ma deve assolutamente trovare un momento di confronto e possibilmente di concertazione tra le parti sociali. L’attuale Governo, pur di ottenere successi in Europa, ignora sia le condizioni economiche dei cittadini sia i principi fondamentali della nostra Carta Costituzionale che, se mal ricordo, stabilisce che la Repubblica “sarebbe” fondata sul lavoro. Governare un Paese è cosa diversa di amministrare un’azienda e non significa avere quale priorità il “pareggio di bilancio” …. “perché lo chiede l’Europa”, ma preoccuparsi innanzitutto di consentire una vita libera e dignitosa a tutti i cittadini sapendo creare occasioni di lavoro».
La Gazzetta del Mezzogiorno 14.9.2012