Una sfida più irriducibile dell’articolo 18. Un braccio di ferro che rischia di portare alla spaccatura in Confindustria e a una possibile scissione, con la nascita di un’altra organizzazione degli imprenditori che raccoglie solo le grandi imprese, come era una volta.
E’ questo il possibile scenario per la partita finale che si gioca domani per l’elezione del nuovo presidente di Confindustria, uno scontro senza precedenti, dopo le elezioni plebiscitarie di Montezemolo e della Marcegaglia degli ultimi due mandati. Due le squadre in campo: quella capitanata da Giorgio Squinzi, data per favorita e l’altra che sostiene Alberto Bombassei che non si sente sconfitto e non intende rinunciare alla gara prima del tempo, sicuro di poter battere l’avversario sul filo di lana.
Vediamo le compagini e i loro leader e chi li sostiene, per capire quali sono le poste in gioco che riguardano anche il futuro dell’organizzazione di categoria degli imprenditori e il suo possibile ruolo politico in un panorama economico destinato, a causa della crisi, a cambiare profondamente. Infatti, la riforma del ministro Fornero modificherà il mercato del lavoro, il sistema delle relazioni industriali e il ruolo dei sindacati. Il Paese attraversa un grave periodo di recessione e la caduta del Pil (Prodotto interno lordo) è l’effetto anche della crisi dell’industria, destinata ad aggravarsi secondo l’Istat, che prevede per quest’anno un -5% nella produzione.
Giorgio Squinzi, 69 anni, è il titolare della Mapei, leader mondiale degli adesivi e dei prodotti chimici per l’edilizia, con 59 stabilimenti in 24 Paesi e 7.500 dipendenti, per un fatturato di 2,1 miliardi.
Alberto Bombassei, 72 anni, attuale vicepresidente di Confindustria è il presidente della Brembo, leader mondiale dei freni a disco con 36 stabilimenti in 15 Paesi, 6.000 addetti e un fatturato di 1,2 miliardi.
Sostengono il primo, il presidente uscente Emma Marcegaglia, gli imprenditori del Centro-Sud, ma non all’unanimità, le associazioni imprenditoriali del Lazio, di Milano, Reggio Emilia e Genova, Federchimica, l’associazione dei costruttori (Ance) e soprattutto Confalonieri e quindi Berlusconi.
Bombassei, invece, gode dell’appoggio della Fiat e di Marchionne che si è spinto addirittura a ipotizzare un rientro del Lingotto nell’Associazione degli industriali, abbandonata il 31 dicembre scorso. A lui si affiancano Montezemolo, le associazioni del Veneto, del Friuli, Torino, Brescia, Bergamo, Varese, e buona parte della grande industria dall’Eni alla Telecom, a Della Valle, che non considerano più sufficientemente rappresentativa l’attuale Confindustria e ne vorrebbero una radicale trasformazione.
In realtà, dopo l’allargamento dell’organizzazione a tutti i settori dal commercio, al turismo, dai servizi alle imprese pubbliche, l’autorevolezza di Confindustria anziché aumentare è diminuita e molti non si riconoscono più in essa, criticando il suo ruolo e il suo scarso peso politico rispetto al passato, oltre al mancato adeguamento ai nuovi scenari politico-economici. Chiedono una governante più vicina alla base, meno burocrazia e meno bizantinismi, con un taglio ai “professionisti dell’associazionismo”.
In questi giorni sono state diffuse delle stime sulle intenzioni di voto, una specie di exit poll confindustriale che vedono in vantaggio Squinzi, ma non è escluso che queste previsioni siano state diffuse ad arte, con tutti il contorno di veleni, come ai tempi dei congressi della Dc e del Psi, perfino sulla solidità delle aziende dei due contendenti, per convincere gli indecisi che sarebbero ancora tanti e potrebbero far pendere la bilancia da una parte o dall’altra. Se si considera l’affidabilità degli exit poll delle elezioni politiche, anche Bombassei, dato per sconfitto, e che, tra l’altro, chiede un confronto sulle idee e non sulle persone, può stare tranquillo.
Il ruolo della Fiat sarà determinante in senso positivo o negativo. Se le pressioni di Marchionne e Montezemolo verranno lette come una voglia di ingerenza o di influenza sull’Associazione di via dell’Astronomia, Bombassei avrà sicuramente la peggio. Ma se, invece, serviranno a coalizzare le grandi aziende che non vedono di buon occhio l’allargamento anche ai piccoli che fanno perdere autorevolezza, l’uomo della Brembo potrà giocare le sue carte fino in fondo. Ma, in caso di sconfitta, si paventerà il rischio della spaccatura di cui parlavamo all’inizio.
Sull’altro fronte, l’appoggio evidente di Berlusconi (che qualche tempo fa dichiarò che fosse costretto a vendere il Milan, “lo avrebbe fatto solo a Giorgio”) e della Marcegaglia (ma chi boccia Emma, boccia anche il suo preferito) potrebbero essere letti negativamente come una continuazione del vecchio e come ingerenza della politica e quindi danneggiare Squinzi.
In questo panorama fortemente conflittuale, con due candidati entrambi “targati”, sono al lavoro anche i “pontieri” che cercano di ricucire lo strappo, per arrivare al ritiro da parte di uno dei due, ipotesi abbastanza remota sia per il carattere dei contendenti, poco inclini al compromesso, sia per l’importanza della partita che appare decisiva per una riforma di Confindustria considerata oggi poco autorevole, troppo autoreferenziale e che potrebbe uscire dalle urne delegittimata proprio per le sue divisioni.
Il voto avviene a scrutinio segreto e questo lascia spazio a possibili franchi tiratori o cecchini che dir si voglia, proprio perché gli elettori rappresentano solo se stessi, non coincidono con i responsabili delle federazioni e sono senza vincolo di mandato. Ecco perché i sondaggi lasciano il tempo che trovano, anche le promesse di voto sono aleatorie, se i candidati si basano solo su di esse, sbagliano, perché nel segreto dell’urna rischiano di essere impallinati. E non è la prima volta che qualcuno entra Papa in conclave e ne esce cardinale. Del resto il caso Callieri-D’Amato del 2000 è emblematico: il primo, sostenuto dalla Fiat, era dato per vincente e poi è risultato sconfitto. Un precedente che non fa dormire sonni tranquilli a Squinzi.
Quindi non sono escluse le sorprese in una partita dove anche la politica vuole giocare il suo ruolo, soprattutto Berlusconi che, fuori da Palazzo Chigi, cerca una sponda sicura per le battaglie del beauty contest per l’assegnazione delle licenze televisive e per aumentare il proprio peso politico e contrattuale, ora che non è più premier.
Insomma, una bella partita tutta da vedere: i bookmakers sono già in azione.
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La Gazzetta del Mezzogiorno 21.03.2012