E sono 15! Siamo arrivati ad un altro traguardo. Fra mille difficoltà, fra tanti ostacoli che sono stati messi sulla nostra strada, la rivista che è diventata un punto di riferimento politico e culturale a Molfetta, ha superato anche tanti momenti difficili, si è rinnovata al 90 per cento e quest’anno si accinge a festeggiare il suo 15° anno di vita. È un traguardo importante per Quindici e per chi ha vissuto tutte le fasi della crescita del giornale da quel lontano 1994 ad oggi. Ma anche per chi ha lasciato Quindici per motivi di lavoro, per stanchezza, per trasferimento, per presunzione, perché deviato dai pettegolezzi e dalle maldicenze altrui. Alla fine hanno trionfato costanza, fede, amore per la verità, professionalità, doti rare in una realtà fatta di informazione mordi e fuggi di scarsa qualità e senza coraggio, che punta solo al tornaconto economico e allo scopo di lucro.
L’impegno sociale e il volontariato sono state le nostre uniche armi e in questi tre lustri abbiamo fatto scuola al punto che, anche quelli che avevano pronosticato la nostra morte e hanno tentato di tutto per distruggerci senza riuscirci, sono stati costretti a riconoscere la professionalità della scuola di Quindici, al punto da affidarsi ai nostri allievi per poter andare avanti. I fatti, insomma, ci hanno dato ragione. E questo è quello che conta, il resto restano solo chiacchiere e pettegolezzi che non ci appartengono e non fanno parte della nostra storia e del nostro costume. Nel corso di quest’anno avremo altre occasioni per celebrare questa ricorrenza, anche se lo faremo senza feste che non si addicono a un periodo di crisi e difficoltà economica che tutti stiamo attraversando, ma con qualche evento che ricordi il percorso fatto e tracci anche un primo bilancio e possibili prospettive.
Molfetta in questi anni è cresciuta, si è esaurita una stagione che ha avuto come protagonista la società civile, molte situazioni sono mutate e c’è stata, purtroppo, un’involuzione della politica e delle regole democratiche. In questo quadro continuerà il nostro impegno, che resta ancora più fermo e vigile, a contribuire a un reale rinnovamento progressista, per il quale Quindici non farà venir meno la sua spinta propulsiva verso un reale riformismo in grado di invertire la tendenza negativa di questi anni. Ci facciamo, quindi, promotori di questa istanza della società civile, sempre presente, anche se un po’ disillusa. L’augurio che ci facciamo e che rivolgiamo alla città, è che essa possa risollevarsi, realizzando quella svolta in grado di riportare Molfetta a quel ruolo importante che merita e che ha avuto in passato.
Se guardiamo indietro a questi anni e misuriamo i sacrifici che sono stati necessari a portare avanti la nostra sfida, ci sembra impossibile essere arrivati fino a questo risultato. Ma la tenacia, l’impegno, la fiducia, l’ottimismo della volontà nonostante tutte le tempeste che abbiamo attraversato, alla fine hanno premiato. Siamo riusciti a portare avanti il nostro obiettivo di fare un’informazione diversa (come scrivevamo nel primo editoriale), soprattutto con l’aiuto indispensabile di tanti collaboratori, redattori e veri amici di sempre, cresciuti e formatisi sul piano giornalistico con Quindici, che hanno dato tanto disinteressatamente. Alcuni di loro oggi sono lontani, impegnati anche fuori Molfetta in ruoli professionali importanti, ma non hanno dimenticato quel giornale che ha rappresentato una stagione significativa della loro vita e di quella della città. A loro va il nostro ringraziamento per il contributo offerto non solo al giornale, ma all’intera comunità con il loro servizio e impegno civile.
Non siamo stati indifferenti, abbiamo portato avanti le nostre idee, rispettando e ospitando anche quelle degli altri, ma siamo stati partigiani (non schierati né faziosi, come vorrebbero etichettarci alcuni sprovveduti) nel senso di credere nella politica come strumento per migliorare la condizione degli uomini e garantire libertà ed eguaglianza sulla strada della giustizia sociale, che sembra essere stata dimenticata da gran parte della nostra società. Ci siamo riconosciuti e abbiamo rappresentato le istanze della società civile, di quella società che ha rifiutato l’indifferenza a favore dell’impegno. E qui ci piace ricordare le parole di Antonio Gramsci, scritte nel lontano 1917: dopo oltre novant’anni, sono attualissime e sembrano scritte ieri. «Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti. L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E’ la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?...».
Quindici 15.1.2009