Mucillagine sociale, una società ripiegata su se stessa, con obiettivi di piccola portata, divisa da litigi e rancori, ritagli umani senza identità in uno sfaldamento etico in cui si salvano solo le minoranze. È questo il quadro impietoso, ma realistica, tracciato dal Censis nel suo rapporto annuale sull’Italia.
Questa volta il sociologo Giuseppe De Rita, attento osservatore della realtà socio-economica del nostro Paese, ha messo da parte il suo tradizionale ottimismo, fotografando, senza filtri e senza veli, una società che scivola inevitabilmente verso il degrado, lasciando solo un barlume di speranza affidato a quelle minoranze che resistono in questa poltiglia di massa che coinvolge tutti dalla politica all’economia, dalla famiglia alla scuola e perfino all’informazione.
Un’analisi che i giornali hanno riportato con grande risalto, ma che forse è sfuggita a molti cittadini alle prese con i problemi quotidiani di una crisi economica sempre più stringente.
De Rita parla di «un’inclinazione al peggio, che oggi ci fa rasentare l’ignominia intellettuale e un’insanabile noia». In realtà, dovunque si giri lo sguardo si fa esperienza e conoscenza del peggio, dall’aggressività sociale, che il Censis sottolinea in modo particolare, all’illegalità spicciola e endemica che ci fa essere sempre più il Paese dei furbi: chiediamo raccomandazioni, evadiamo il fisco e la scorrettezza viene percepita quasi come una risposta fisiologica e sana, così in ogni settore dall’economia ai media, dalla medicina all’università, è tutto un tessere di astuzie, piccole illegalità, connivenze. E il lavoro diventa un optional rispetto all’arricchimento facile, favorito dalla scorrettezza dilagante.
Un paese aggressivo e litigioso, dice De Rita, rappresenta la degenerazione antropologica, si frammenta sempre di più e, mosso da pulsioni e emozioni individuali, si ritrova ad essere poltiglia di massa, inconcludente e senza sguardo per il futuro. In questa «povertà psicologica», si registra una sterile rincorsa alla «presenza», al momento glorioso della «pièce», ad una disperata visibilità che percorre tutte le professioni e in nome di questa illusoria «visibilità» si passa sopra a tutto amicizie, valori, principi e così via. A questa logica, secondo il Censis, non sfugge nemmeno la famiglia divenuta «contenitore di soggettività a moralità multiple» contribuendo ad alimentare quella volgarità plebea, fattore dello sfaldamento etico che stiamo vivendo, con una vocazione all’impulso, più che alle passioni.
Ma uno degli elementi sul quale pone l’accento De Rita è la diffusa aggressività sociale, la litigiosità patologica spinta da un desiderio di protagonismo, caratteristico di una società «educata» e allevata dalla peggiore televisione berlusconiana che propone non più un’élite dei migliori, ma di chi ha maggior successo nella maniera più veloce e redditizia, dai calciatori con contorno di veline ai famosi delle isole fino ai grandifratelli.
La deduzione di questa «conoscenza del peggio» è che la «società civile non è meglio della sua politica, né della sua economia», anche se la società appare disillusa dalla politica (8 cittadini su 10 non si fidano dei politici) e perfino dalle istituzioni e perde la propria identità collettiva. Del resto è sintomatico, in un Paese che legge poco, il successo editoriale del libro «La casta» scritto dai giornalisti Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, per capire la diffidenza degli italiani verso la propria classe dirigente.
In realtà, crediamo, che questo atteggiamento nasconda un desiderio, non sappiamo quanto palese o inconscio, di essere al loro posto, con i loro privilegi, la loro visibilità e la loro capacità di arricchirsi rapidamente con poco lavoro e senza sforzo. In questo clima, l’etica e la cultura diventano un fastidio e chi ci crede, tentando di parlare fuori dal coro, viene mal sopportato e perfino aggredito. E il declino continua.
Aveva ragione Pier Paolo Pasolini quando negli «Scritti corsari» considerava l’omologazione «cultura di massa in cui si perde il senso stesso dell’esistenza nel momento in cui si smarrisce quello della diversità».
Tutto questo spiega anche ciò che sta avvenendo nel nostro microcosmo quotidiano, dal nostro luogo di lavoro, alla nostra famiglia, alla nostra città. L’analisi del Censis credo che si attagli perfettamente a Molfetta se solo ci si soffermi un attimo a interpretare quello che sta avvenendo negli ultimi tempi: litigiosità patologica, aggressività endemica, scorrettezza dilagante, ricerca disperata di presenza e visibilità, presunzione ignorante, maleducazione, deliri di onnipotenza, opportunismi, rigetto di professionalità ed esperienze altrui, attaccamento alle poltrone, presenzialismo ossessivo, furbizia e illegalità diffuse senza che ci sia un reale freno al loro dilagare, volgarità perfino all’interno delle istituzioni.
Nelle altre pagine della rivista leggerete le convulsioni presenti all’interno del centrodestra e del centrosinistra; le vicende dell’abbandono di Lillino Di Gioia del suo seggio in consiglio comunale e la ricerca di un nuovo «centro moderato» con un partito, l’Udeur, sempre in bilico tra sinistra e destra; le ferite ancora laceranti dello scontro all’interno di Alleanza nazionale con l’abbandono di assessori e consiglieri; l’ultimo conflitto nel Movimento di «Molfetta prima di tutto» fra Enzo de Cosmo e il suo assessore Mimmo Corrieri che rifiuta di dimettersi e accusa, abbondantemente ricambiato, il suo referente politico, dopo che due consiglieri comunali Luigi Roselli e Giovanni Mezzina sono fuorusciti dallo stesso Movimento «accarezzando» il sindaco Antonio Azzollini e Forza Italia, in attesa di essere accolti a pieno titolo nel partito di Berlusconi.
In questo scenario non idilliaco, nasce un nuovo soggetto politico il Partito Democratico, partorito dalla fusione della Margherita e dei Democratici di sinistra, che privo di una base popolare, perduta nel corso di questi anni, si propone di ricercare una identità forte in grado di coinvolgere la parte migliore della società e proporsi come alternativa di governo. Ma l’immagine che finora riesce ad esprimere è quella di un soggetto ancora troppo indefinito, privo di un rapporto diretto con la popolazione, che ha ancora molta strada da compiere.
Occorre, perciò, superare quest’epoca caratterizzata dalla mancanza di qualità in questo microcosmo sociale, politico e culturale (con moltiplicazione di circoli, associazioni, media), in questa poltiglia di massa dove «ritagli umani senza identità» cercano un darsi un ruolo per sperare in un futuro migliore. Non esiste notte così lunga che impedisca al sole di risorgere.
Quindici 15.12.2007
Felice de Sanctis