Siamo ormai a livello di cancrena. Sì la politica locale è ridotta in questo stato, dopo che il male è stato lasciato degenerare per anni, oggi la piaga è purulenta e non si può curare con i pannicelli caldi, come vorrebbe fare qualcuno, fingendo di non vedere.
È anche e soprattutto un problema culturale, prima ancora che di qualità del personale politico. Quando col cosiddetto liberismo alla Berlusconi si sono distrutte le scuole politiche dei partiti, quando l’idiosincrasia verso la politica ha spinto la gente nauseata ad abbandonare la partecipazione e a rinchiudersi nel privato, il risultato è stato quello di lasciare spazio ai portaborse e ai lustrascarpe, seconde e terze file degli ex partiti. Ricordate l’inchiesta delle «Iene» sulle conoscenze culturali dei nostri parlamentari? Quella trasmissione televisiva rivelò l’infimo livello di una classe dirigente non più selezionata in base alla qualità, ma in base all’obbedienza al capo. E in ogni partito il capo o la piccola oligarchia dominante preferisce circondarsi di servi idioti pronti a scodinzolare all’arrivo del padrone in cambio di posti, incarichi, prebende, carriere e quant’altro. E il berlusconismo ha incrementato fino all’inverosimile la classe politica (altro che prima repubblica!) livellandola verso il basso. Un sistema autoreferenziale formato da mediocri che mai avrebbero sperato di ritrovarsi nei posti di comando e di responsabilità, pagando un prezzo, per loro, così basso: la propria dignità. E in quegli incarichi comandano, distribuiscono posti a loro volta e si assicurano una continuità di rendita economica e anche di lavoro, soprattutto quando non ne hanno uno.
In un bell’articolo della sua rubrica settimanale «Contromano» sul Venerdì di Repubblica, Curzio Maltese, parlando della lettera-sceneggiata con la quale Veronica Berlusconi chiedeva al marito scuse pubbliche, scrive che l’unico aspetto che lo ha incuriosito è l’insistenza su un concetto che credeva sepolto da qualche decennio: la dignità, appunto.
Tutta questa premessa serve a spiegare quello che sta avvenendo in questi giorni a Molfetta, città degli scandali, come abbiamo titolato in copertina, con un ex assessore arrestato con l’accusa di voto di scambio e il sequestro di 175 appartamenti per presunti illeciti edilizi. Da anni andiamo ripetendo che è necessario selezionare la classe politica, ridotta a un insieme di mediocri yes men catapultati in consiglio comunale a suon di centinaia di voti (e oggi scopriamo ufficialmente come sono stati «conquistati»), solo per alzare la mano al comando del padrone di turno, che muove la sua corte (dei miracoli) verso i propri desideri.
Non nascono oggi i personaggi sui quali si è posata l’attenzione della magistratura, non nasce oggi una politica che ruota attorno all’edilizia e che si alimenta dei voti che questa da anni è in grado di assicurare approfittando del bisogno della gente ad ottenere un bene primario, la casa, che diventa un «diritto negato», come lo abbiamo definito più volte, oppure della carenza di lavoro che spinge ad accettare perfino qualche buono di benzina in cambio del voto.
Il voto di scambio e l’abusivismo edilizio, oggi all’attenzione della magistratura, hanno fatto la storia di questi ultimi anni, anche se il secondo affonda le sue origini ben oltre gli ultimi decenni con quelle antiche e volute degenerazioni che hanno trasformato questa città in un fenomeno nazionale, dove non si risponde più nemmeno alle leggi di mercato nell’offerta di case di bassa qualità, ma con prezzi stratosferici. E la gente si indebita e poi «scopre» all’improvviso che la sua casa non era conforme alle regole e che è stata sequestrata dalla magistratura. Ma si può essere così distratti o avere fiducia cieca in chi ci propone una casa, senza guardarsi intorno?
Eppure c’erano già i rischi di illegittimità nella zona B4 più volte denunciati
anche in consiglio comunale, dove i consiglieri di centrosinistra manifestavano le proprie perplessità e venivano tacitati dalla forza della maggioranza, da quella truppa pronta ad alzare la mano a comando, senza chiedersi per cosa votasse. A questo si aggiunge l’allarme della Regione che aveva sconfessato il Comune per questo provvedimento.
Anche una parte della stampa aveva rilanciato l’allarme di quei pochi politici che tentavano di bloccare i «permessi a costruire», oggi considerati illeciti dalla magistratura, senza i piani particolareggiati. Ma anche la stampa è stata delegittimata da quel sistema mediatico della destra mirato a metterne in dubbio la credibilità, vedi il «metodo Berlusconi» basato sull’affermare alcune cose che, una volta diffuse dai media anche con immagini e audio, vengono smentite un’ora dopo sostenendo che i giornalisti hanno capito male o travisato.
Scrive sempre Curzio Maltese nell’articolo citato: «Il tratto che colpiva di più gli inviati stranieri, venuti in questi anni a indagare il fenomeno del berlusconismo, era proprio la reazione avvilente dell’informazione italiana all’arrivo del padrone. Legioni di giornalisti non soltanto contenti di servire il padrone, ma quasi euforici d’essersi liberati d’ogni vaga ambizione o semplice finzione d’indipendenza, come di un insoppor¬tabile fardello. Felici di poter tessere ogni giorno l’elogio del datore di lavoro e di potere in parallelo insultare e diffamare chiunque si opponesse al loro signore».
La stampa deve essere il «cane da guardia della democrazia», come si diceva una volta. Al di là delle situazioni personali degli indagati, che comunque meritano rispetto (nessuno può essere considerato colpevole fino alla condanna definitiva) e sulle quali non abbiamo voluto speculare sul nostro quotidiano in internet Quindici on line, né vogliamo farlo oggi, ci preoccupa solo la sorte di tante famiglie che ingenuamente sono state indotte in errore e che oggi chiedono giustizia. Mentre dal palazzo si risponde con l’indifferenza o con generiche promesse, senza un’assunzione di responsabilità, senza un sussulto di quella dignità che, in passato avrebbe portato alle dimissioni sia Pino Amato (senza attendere la decisione di sospensione del prefetto), sia l’assessore Pietro Uva (che ha ricoperto l’incarico di assessore all’Urbanistica nella precedente legislatura e ricopre la stessa funzione oggi) e soprattutto il sindaco Azzollini a revocare gli incarichi, almeno in attesa che la magistratura accerti eventuali responsabilità.
Per quella dignità che crediamo ancora di avere, siamo noi oggi, anche a nome di un’opinione pubblica sempre più disgustata e offesa da certi comportamenti, a chiedere quelle dimissioni. Forse un soprassalto di dignità non guasterebbe non solo per gli interessati, ma anche per il bene della città. La «questione morale» è il primo problema di questa città (prioritario perfino al famoso nuovo porto), anche se c’è chi si ostina a negarlo.
Quando la ferità è già cancrena, non c’è più antibiotico che tenga, occorre amputare l’arto per salvare l’intero organismo, che altrimenti muore. Purtroppo, non ci sono altri rimedi.
Quindici - 15/02/2007
Felice de Sanctis