Del successo del libro "Affondi" allegato al numero di dicembre, che raccoglie alcuni editoriali degli ultimi 12 anni, ci hanno colpito alcuni commenti dei lettori. Tutti hanno trovato la pubblicazione interessante soprattutto come strumento di conoscenza storico-politica, ma in particolare come occasione di riflessione su quello che è avvenuto in questi anni.
E tanti si sono chiesti: qual è il futuro di Molfetta? Quali scenari si delineano per i prossimi anni per la politica e anche per l’economia?
Alla luce del fallimento della grande illusione di Guglielmo Minervini e dell’esperimento non riuscito di Tommaso Minervini di mettere insieme forze di destra (o presunte tali) e forze di sinistra (o presunte tali), cosa ci resta? L’attuale formula che dovrebbe configurarsi come centrodestra «organico» (a parte qualche eccezione) come si diceva una volta, altro non è che un ibrido, senza connotazioni politiche.
Una per tutti: Forza Italia che a Molfetta, come a Roma, si definisce partito di ispirazione liberale, ma che non ha nulla di questa caratteristica (almeno nella sua accezione storica), né sul piano politico, né tantomeno su quello economico. A Roma è il partito di Silvio Berlusconi, a Molfetta quello di Antonio Azzollini.
Ideologia? Nessuna, ma questo è un concetto superato. Politica? Quella si fa giorno per giorno e sembra più una gestione di ordinaria amministrazione che la messa in cantiere di grandi progetti (porto escluso, ma di questo parleremo dopo). Insomma, ci si siede attorno a un tavolo e si decide volta per volta cosa fare, nomine comprese. E su queste, consentiteci alcune riflessioni.
La politica della prima Repubblica e ancor più quella della seconda, berlusconiana, ci hanno abituato alla lottizzazione selvaggia, al punto che gli incarichi di sottogoverno e nelle municipalizzate, che rispondevano al criterio dello spoils system (la distribuzione ad amici e sostenitori di cariche pubbliche, sostituendo tutti quelli precedenti legati all’area concorrente) non sembrano stupire più nessuno: la gente è stata mitridatizzata.
Ma quello che fa scandalo nelle ultime nomine è il presunto criterio (se mai ce ne fosse uno che non sia la ricerca di equilibri interni alla maggioranza e la logica di ricatti politici, oltre che il pagamento di cambiali elettorali presentate puntualmente all’incasso dai vari gruppi interessati), non è quello della competenza. Il sindaco ci deve spiegare (e quindi lo deve spiegare alla città che noi rappresentiamo) concretamente e non con una prolifica, quanto inconsistente, produzione di comunicati stampa (che servono, forse, a giustificare nuovi incarichi e altri debiti di riconoscenza) come si fa a nominare negli enti comunali personaggi inquisiti e arrestati in passato proprio mentre erano al vertice di quegli enti. Oppure come è possibile affidare un ente economico importante che gestisce un budget considerevole, a chi ha come unica esperienza quella di semplice impiegato di un’azienda, senz’alcuna competenza manageriale, né titoli in merito. O gratificare qualche personaggio voltagabbana che finge di stare all’opposizione, ma poi stringe accordi sottobanco per piazzare propri uomini nei posti di sottogoverno, credendo che i cittadini abbiano tutti l’anello al naso e lui sia il più furbo di tutti.
È la logica del criterio dell’appartenenza che ha portato chi aveva l’esperienza di… infermiere a gestire qualche municipalizzata, con i risultati che sappiamo.
Insomma, una grande delusione da questo inizio di attività di governo. Perché il sindaco non ci invia i curricula di questi nuovi amministratori pubblici attraverso i quotidiani comunicati stampa con i quali spera di avere spazio su tutti i media (in quelli servili sì, come sta già avvenendo) senz’alcun filtro critico, spacciando per notizie ciò che è solo propaganda? In questo modo potremmo renderli noti ai lettori che attualmente conoscono qualcuno dei suddetti personaggi più per le ambiguità e le giravolte politiche compiute con i vari cambi di casacca, che per meriti «professionali».
A questo gioco non ci stiamo, né a fare da megafono come i «servi sciocchi» che abbondano nell’informazione locale. Chiediamo notizie e soprattutto fatti concreti. Il porto è uno di questi. Ma vorremmo capire come si svilupperà questo progetto (per evitare che possa essere solo un business per qualcuno) che, ci spiace per chi oggi ne rivendica la paternità, risale addirittura (come abbiamo appreso recentemente) a una prima ipotesi avanzata dal prof. Giovanni de Gennaro negli anni Sessanta quando era amministratore della città e poi ripresa e arricchita da tutti gli amministratori successivi.
All’attuale sindaco va riconosciuto il merito oggettivo di aver trovato i finanziamenti necessari, senza dei quali ogni progetto è destinato a restare sulla carta. Ma tutta la politica e l’economia della città non possono essere affidate solo a un megaprogetto che, una volta ultimato (e ci vorranno anni) dovrà trovare i suoi sbocchi commerciali, soprattutto ora dopo lo sviluppo dello scalo barese, per non restare la solita cattedrale nel deserto, bella da vedersi e da far vedere ai turisti insieme al Duomo, ma poco produttiva.
Ma anche il centrosinistra finora non sembra essere riuscito a produrre una politica nuova, né proposte alternative, ancora incerto fra la realizzazione del Partito democratico e un grande centro dove molti personaggi entrano ed escono a seconda delle necessità e delle convenienze politiche. Mentre nella sinistra «radicale» in crisi, è sempre forte la tentazione all’isolamento e non al dialogo con le altre forze della coalizione.
Insomma, nulla di nuovo sotto il sole, solo l’eterna maledizione dell’edilizia improduttiva, croce e delizia di una città che muore, tra l’indifferenza dei più e la furbizia di pochi: una classe dirigente senza qualità che riesce a imporre le proprie scelte tese all’interesse «particulare» piuttosto che a quello generale.
E noi giornalisti cosa dovremmo raccontare ai cittadini? La violenza allo stadio? il bullismo diffuso, i soliti commercianti abusivi in tutte le strade, il traffico impazzito e la carenza di parcheggi e la vita invivibile nel centro urbano, o le gru finalmente in attività per creare squallide periferie urbane senza servizi?
No, dobbiamo scrivere del progetto del porto «che darà lavoro a tutti (magari come il mitico milione di berlusconiana memoria), felicità e ricchezza alla città». Il resto non conta. Portate pazienza cittadini, visto che vi siete rinchiusi nel privato, che avete delegato tutto a questa classe dirigente che oggi vi rappresenta e vi governa con il vuoto pneumatico. Avremo prezzi delle case sempre elevatissimi, disoccupazione in crescita, figli costretti ad emigrare o a vendersi a qualche politico per un posto part-time precario, iniziative culturali zero con fuga nei paesi vicini, commercio che langue e una qualità della vita pessima.
Ma vuoi mettere il porto dei sogni? O delle nebbie?
Quindici - 15/01/2007
Felice de Sanctis