Un vuoto. Un silenzio assordante. Un lassismo disperante. Sono queste le sensazioni che si avvertono da qualche tempo a Molfetta. La città è appena venuta fuori da una stagione elettorale che ha conosciuto forti contrapposizioni e grandi contraddizioni (il caso Tommaso Minervini è emblematico), sono stati eletti un nuovo sindaco e una nuova amministrazione comunale. Eppure sembra che ci sia un vuoto di potere e non solo.
La città sembra ingovernata non solo per gli episodi di violenza e bullismo che si ripetono e l’atmosfera di illegalità diffusa e di impunità che imperversano, ma per un colpevole lassismo («tendenza a interpretare con eccessiva larghezza norme morali o regole in genere, ad applicarle in maniera troppo blanda, a giudicare con ingiustificata indulgenza e tolleranza chi contravviene ad esse», lo spieghiamo a chi ci rimprovera di usare termini non sempre di uso comune) che sta sfilacciando le regole della società civile e che rischiano di aumentare inevitabilmente il degrado già esistente.
Ci saremmo aspettati un fiume di iniziative, come annunciavano certi programmi: il giorno della presentazione della giunta, il vice sindaco Carmela Minuto insisteva per ridurre la durata della conferenza stampa e rivolgeva un sollecito invito ai suoi colleghi assessori: andiamo a lavorare, abbiamo molto da fare. E poi? Tutti al mare!
Perfino le riunioni di giunta sono quasi inesistenti e limitate all’approvazione di delibere di ordinaria amministrazione: bando integrazione canoni di locazione, prosecuzione utilizzo lavoratori socialmente utili, impinguamento gettoni commissioni consiliari ed elettorali col contorno di qualche contributo ad associazioni per manifestazioni estive. Punto. Il sindaco Antonio Azzollini in un incontro pubblico ha dichiarato che il futuro di Molfetta è nella banda e nel calcio. Apprezziamo la sua vena popolaresca e la volontà di conquistare il consenso popolare, ma Molfetta si aspetta qualcosa di più, oltre all’ultracelebrato nuovo porto.
E la città? A guardarsi intorno sembra di sentir risuonare nell’aria le parole di Fedor Dostoevskji nel Grande inquisitore: «Noi abbiamo emendato le tue gesta e abbiamo dato loro per fondamento il Miracolo, il Mistero, l’Autorità. E gli uomini si sono rallegrati che di nuovo li conducessero come un gregge e che dai loro cuori fosse stato tolto, finalmente, il dono tremendo della libertà».
Sembra che l’imperativo categorico sia quello del 1laissez faire, laissez passer, il «lasciate fare, lasciate passare», caro al liberismo economico. Secondo questa teoria, l'azione del singolo, nella ricerca del proprio benessere, sarebbe sufficiente a garantire la prosperità economica della società. Ma il discutibile principio del laissez faire (che abbiamo criticato già altre volte) non viene applicato solo in campo economico, ma anche in quello sociale, dell’ordine pubblico, della vita di ogni giorno. E questo sta provocando quella degenerazione sociale che coinvolge una parte di città e di cittadini e che da tempo denunciamo.
Intanto si assiste a fenomeni di conformismo che schiacciano ogni critica, a un mutismo adorante che favorisce la mediocrità al potere, come è avvenuto in Italia negli ultimi anni col berlusconismo e il leghismo, grazie alla politica della devolution, che ha fatto germogliare la peste del municipalismo alimentando il culto del particolare, del proprio orticello, dei propri interessi a discapito di quelli collettivi, senza senso dello Stato: una strada che porta inevitabilmente al declino. Oltre a un’avversione fisiologica a tutto ciò che non è mediocre in tutti i settori della società dalla politica all’economia, dalla cultura all’informazione.
È avvenuto così anche a Molfetta dove sono emersi alcuni personaggi che in passato avrebbero potuto aspirare solo al ruolo di lustrascarpe (e qualcuno in realtà lo faceva) e oggi si inseriscono nelle istituzioni con tutta la loro corte dei miracoli fatta di servi contenti e di galoppini addetti alla propaganda che si limitano a compiacere il padrone di turno, aggredendo chi non si adegua, chi non rinuncia alla dignità personale e professionale in cambio di favori che il potente elargisce a chi rinuncia al diritto di cittadinanza. È l’anticamera del nuovo fascismo, dello squadrismo culturale della destra che ha bisogno di negare il pensiero, la logica, la capacità razionale e critica del cittadino.
L’idea imperante è quella di poter fare soldi da furbi e ignoranti: e così crescono i «quartierini» popolati da «furbetti» che pretendono di poter fare quello che gli pare senza e contro la comunità, solo per aver avuto più voti. Ma anche Hitler vinse libere elezioni con grande consenso.
Il rischio è che si ripeta quella legge di Barnum (l’inventore del circo moderno) che rivolgendosi ad un amico guardando da una finestra spiegava così la sua teoria: «Quante persone ci sono in questa strada, un centinaio? Quante sono le persone intelligenti, sette, otto? Bene, io lavoro per le altre novantadue». E prosperano i servi contenti. Aveva proprio ragione Balzac: c’è gente che pagherebbe pur di vendersi. E chi canta fuori dal coro, chi vuole fare il cane sciolto, è destinato all’emarginazione e alla criminalizzazione di massa, utilizzando a questo scopo anche la stampa servile (l’informazione celebrativa degli «utili idioti» che cercano di sistemarsi), in un paese, l’Italia, dove la libertà di stampa, grazie anche a certi personaggi, è crollata al 68° posto dietro l’africano Botswana. Essere orgogliosi e civili, onesti e intelligenti comporta il pagamento di un prezzo enorme di solitudine.
Poi c’è l’antica acquiescenza degli onesti nei confronti dei prepotenti: uno dei mali peggiori italiani, quella che rischia di portare il paese alla rovina. E gli intellettuali? Non contano più nulla o sono arroccati nelle loro «torri d’avorio» E la borghesia illuminata? Anch’essa è soccombente di fronte alla dominante «borghesia affaristica».
E la parola «solidarietà» perde sempre più significato. Il risultato è quello che in inglese viene definito effetto nimby: acronimo di Not In My BackYard, non nel mio cortile.
A lungo andare questa tendenza può portare alla crescita di quel «parco buoi», già abbastanza consistente che ricorda il meeting annuale degli scemi del villaggio nel film «Amore e guerra» di Woody Allen con tanto di cartello felicemente innalzato: Welcome idiots!, Benvenuti idioti!
Quindici – 15.9.2006
Felice de Sanctis