FELICE DE SANCTIS
Non se ne può più con questi rincari da infarto che sono diventati una costante delle cronache economiche. I consumatori ormai vivono con ansia le notizie di aumenti non solo dei generi alimentari, ma anche di quelli delle bollette del gas e della luce, ai quali si aggiunge il prezzo della benzina e soprattutto del gasolio che salgono vertiginosamente. Sono di ieri le previsioni sulle bollette del prossimo trimestre con un aumento del 3,9% per l’elettricità e del 4,1% per il metano, che su base annua si trasformano in 17,3 euro in più per la luce e di 39,8 euro per il metano. Complessivamente la somma degli aumenti negli ultimi 3 anni arriverebbe a 340 euro. Tutta colpa dell’aumento del prezzo del greggio che continua ad avere una febbre alta, non destinata a ridursi a breve. Quello del rialzo dei prezzi del settore energetico è un fenomeno europeo che però in Italia diventa più grave (tre volte tanto) per colpa della nostra dipendenza per l’85% del fabbisogno energetico da fonti tradizionali e dalle esportazioni, mentre quelle alternative come l’idroelettrico, il carbone, l’eolico e il solare restano minoritarie.
Oggi l’Italia paga il prezzo della scelta di puntare tutto sul gas, mentre gli altri Paesi hanno diversificato con il carbone e soprattutto con il nucleare. E quando il prezzo del barile ha frantumato la soglia dei 100 dollari, sfiorando i 106, la situazione si è aggravata. Una spiegazione di questo fenomeno è legata anche alla crescita di Cindia, Cina e India, sempre più protagoniste del mercato mondiale, con uno sviluppo rapidissimo che richiede maggiori risorse energetiche: dalla «via della seta» alla via del petrolio.
Il mercato dei produttori e consumatori che fino ad alcuni anni fa era concentrato nel mondo occidentale, oggi si sta spostando sul versante asiatico e si è moltiplicato per tre. A questa concreta realtà, si aggiunge la speculazione di coloro che scommettono sui prezzi futuri del petrolio (futures), moltiplicando gli effetti negativi. A fronte della crescita della domanda dei Paesi emergenti, l’offerta di greggio è sempre limitata e i prezzi vanno alle stelle. Se a questo si aggiunge che sono in ascesa tutti i prezzi delle materie prime, si può ben capire come il fenomeno dei rincari sia legato a fattori internazionali.
Ma ad aggravare la situazione italiana contribuisce un mercato interno dove non esiste una vera concorrenza, anche a causa di mancate liberalizzazioni che avrebbero fatto da calmiere. Anche la timida liberalizzazione dell’energia elettrica non ha avuto grande successo perché poco conveniente: cambiare gestore rispetto all’Enel favorisce un risparmio di appena 10 euro e pochi hanno scelto di cambiare. In Italia vige da sempre la sindrome di Nimby (acronimo inglese per Not In My Back Yard, non nel mio cortile) per cui si protesta ogni volta che sul proprio territorio vengono proposte alternative energetiche come termovalorizzatori, rigassificatori, centrali a carbone e perfino quelle che dovrebbero essere «ecologiche» come l’energia solare e quella eolica.
Se ci spostiamo dal fronte energetico a quello delle tariffe della Rc auto, anche qui troviamo rincari a raffica, con una escalation senza freni per via di una potente lobby come quella delle assicurazioni che, invece, di farsi concorrenza, fanno «cartello» e rincarano contemporaneamente i prezzi, lasciando senza scampo il consumatore. Ma qui, occorre dire, che una parte di responsabilità ricade anche sui cosiddetti «furbi». Per colpa dei disonesti che truffano le compagnie con finti danni o con denunce esagerate per lucrare sull’incidente, a pagare sono tutti e soprattutto gli onesti. Se non si viene fuori da questa spirale perversa, sarà difficile riuscire a ristabilire giuste regole di mercato, con una sana concorrenza (ma anche qui, quante resistenze alle liberalizzazioni di Bersani, dalle varie corporazioni. dai tassisti ai notai) che vada a vantaggio di tutti e soprattutto di coloro che vivono di reddito fisso, stipendi e pensioni, e non possono scaricare su altri gli effetti perversi degli aumenti. Ma alla fine a rimetterci è l’Italia che rischia di scivolare verso un inarrestabile declino.
La Gazzetta del Mezzogiorno - 1ª pag. - 9.3.2008