di Felice de Sanctis
Torna puntuale all’appuntamento pre-scolastico il problema del caro-libri e del caro-scuola. Anche quest’anno le associazioni dei consumatori hanno lanciato l’allarme degli aumenti dei costi dei libri scolastici di circa il 5% con una spesa di 320 euro, mentre il «corredo» scolastico è balzato a +7% con una spesa prevista di 377 euro. Di fronte a queste cifre è giustificato non solo l’allarme, ma la preoccupazione delle famiglie, soprattutto di quelle che hanno l’onere di più figli in età scolastica. Sotto accusa è in particolare il sistema dell’adozione dei libri, che porta spesso i docenti a dover adottare nuovi testi anche per far fronte ai nuovi programmi. Quest’anno ha preso posizione l’Antitrust che ha affidato alla Guardia di Finanza il compito di controllare eventuali «cartelli» (accordi) fra le case editrici, per evitare la concorrenza e quindi prezzi più ridotti. Non è la prima volta che l’Antitrust scende in campo: è avvenuto anche 10 anni fa, col risultati modesti: qualche sanzione all’Aie (Associazione italiana editori) per un’intesa distorsiva della concorrenza e più nulla. E la giostra dei prezzi è ricominciata. Analizziamo il problema anche dal punto di vista economico per capire i motivi di questa escalation di prezzi che mette a dura prova il portafoglio delle famiglie, alcune delle quali - come sanno bene gli insegnanti - spesso scelgono di non acquistare i libri più costosi. E, in molti casi, la stessa scelta della scuola avviene in base al costo dei libri, condizionando, per necessità, le scelte future dei ragazzi. Il ministero fissa ogni anno un tetto di spesa per i nuovi libri: oggi siamo sui 280 euro, che però vengono sforati senza problemi dai collegi dei docenti, anche in virtù dell’autonomia loro riconosciuta. Ma spesso per i poveri docenti è difficile resistere alle pressioni dei rappresentanti delle case editrici che, dopo aver sfornato nuovi volumi, giuocando anche sullo sdoppiamento dei contenuti e quindi sull’incremento del numero dei testi, hanno necessità di immettere sul mercato «nuovi» prodotti, che di nuovo, magari hanno solo la copertina, l’indice e qualche paragrafo in più, per giustificare l’innovazione. Tra l’altro con le nuove tecnologie, ristampare un testo costa molto meno che in passato. Come si spiega, infatti, che in Italia si cambiano testi in media ogni 2 anni, contro i quasi 10 anni della civilissima Svezia, i 6 della Germania e i 4 della Spagna e della Francia, dove, tra l’altro i libri sono gratuiti dalle scuole primarie al liceo? Chi non ricorda gli «immortali» libri di testo delle scuole di vent’anni fa che si trasmettevano per generazioni? Certo, per le materie tecniche l’aggiornamento è d’obbligo, ma la letteratura e la Divina Commedia non cambiano ogni due anni. Cambia, invece, l’eleganza del libro, con maggiori illustrazioni e magari note esplicative che rendono meno faticoso il lavoro degli studenti e degli... insegnanti. C’è di più, alcuni testi obbligano gli studenti a rispondere ai quiz direttamente sul libro, assecondando la proverbiale pigrizia degli studenti e rendendo il volume non più utilizzabile (ad onor del vero ci sono anche insegnanti che non cadono nella trappola e costringono gli studenti, loro malgrado, a rispondere sui quaderni, senza rovinare il libro).
Questo «trucco» accanto a quello dello sdoppiamento dei volumi, con aumento dei costi e del peso complessivo che i ragazzi sono costretti a portare nei loro zaini, spezzandosi la schiena, rappresenta un artificio «commerciale» dal quale i consumatori, e anche gli insegnanti, dovrebbero guardarsi, perché siamo in presenza di un bene di necessità del quale non si può fare a meno per studiare. Meglio «tagliare» sugli zaini e gli altri accessori griffati, anche se difficilmente i genitori resistono al bombardamento consumistico della pubblicità e all’inevitabile pressione dei figli a confronto con gli amici. Il ruolo degli insegnanti, perciò, è importante soprattutto nella loro capacità di resistenza alle sollecitazioni dei rappresentanti costretti a fare il loro mestiere in un mercato fortemente concorrenziale e nella capacità di resistere alla tentazione di scrivere essi stessi dei libri scolastici, come spesso avviene anche per la giusta necessità di arrotondare il loro misero stipendio. Il risultato è quello di produrre testi che vengono utilizzati in minima parte perché né gli alunni, né gli stessi insegnanti hanno il tempo di farlo. Di fronte a questa situazione il ricorso alle fotocopie diventa inevitabile, come è utile cercare i testi in internet con significativi risparmi, con buona pace degli editori. Ma è soprattutto il sistema dei programmi scolastici che va cambiato: non è possibile produrre nuovi programmi che, inevitabilmente, costringono a realizzare e vendere nuovi testi: di questa semplificazione dovrebbe farsi carico il ministro Fioroni, che ha manifestato una reale intenzione di ridurre la spesa scolastica delle famiglie. A proposito che fine ha fatto l’Osservatorio dei libri di testo con la partecipazione di editori, insegnanti, studenti e librai? L’ex ministro Moratti, dopo l’esperienza di De Mauro, ha pensato bene di abbandonarlo all’oblio. Eppure poteva rappresentare un valido calmiere dei prezzi, evitando sprechi e proliferazione di libri spesso incompleti e inutili. Forse l’aiuto alle famiglie dovrebbe cominciare proprio dai libri di testo: nessuno nega la loro utilità e priorità rispetto a tanti accessori inutili per la scuola. È anche vero che i prezzi sono aumentati meno dell’inflazione «ufficiale», ma non di quella reale più alta, che erode pesantemente gli stipendi delle famiglie le quali non possono scaricare su terzi i maggiori costi dell’euro come fanno gli editori. Forse nell’agenda del governo, un posto per i libri andrebbe trovato, perché in fondo l’aumento dei testi scolastici rappresenta una di quelle tasse indirette tanto odiate dagli italiani, soprattutto da coloro che non evadono e non vogliono farlo. La Gazzetta del Mezzogiorno – 1ª pag. - 29.8.2007