Alla ricerca di una sintesi difficile: potrebbe essere questa la lettura del confronto fra Lillino Di Gioia e Guglielmo Minervini (nella foto) nel forum promosso da "Quindici" nella propria redazione. Ma se in questo caso si parla di “prove tecniche di dialogo” che, tutto sommato, sembrano evolvere in senso positivo, la sintesi con il resto del centro-sinistra e con Rifondazione comunista appare ancora lontana. In questo caso non c’è proprio dialogo, anzi non si registra alcuna presa di posizione da parte degli altri partiti a questo tentativo che vorrebbe essere, da parte degli interessati, un primo sforzo di aggregazione per costituire quell’alleanza alternativa in grado di battere il centrodestra. La risposta al binomio Lillino-Guglielmo è un silenzio che non promette bene.
Ma analizziamo alcune risposte che sono emerse da un dibattito animato, che ha coinvolto tutta la redazione, compresi i più giovani. Stabilita la convergenza sull’opposizione a questo governo, sul quale il giudizio è netto e negativo, per il resto le posizioni dei due non sono altrettanto nette: sia per quanto riguarda le idee, sia per quanto riguarda i programmi. Di Gioia mette in dubbio la credibilità di alcuni personaggi del centrodestra come il sen. Antonio Azzollini, “passato in una settimana dalla sinistra al centrodestra”, per confermare la propria coerenza politica di posizione centrale con l’attenzione verso la sinistra, dichiarandosi, in quest’ottica, allievo di Moro e proclamando, a ragione, di essere stato l’unico in questi mesi a fare opposizione all’attuale maggioranza.
Minervini sostiene che il centro in quanto tale non esiste più, che l’elettorato è mobile, si sposta dove trova risposte ai suoi problemi. Di qui la necessità di aggregare le forze di opposizione per evitare “i rischi di deriva della democrazia”, per scomporre l’esistente e cercare di ricomporlo nel quadro unitario dell’Ulivo. Più facile a dirsi che a farsi, soprattutto tenendo conto che, secondo Guglielmo, “non è maturata nel centro-sinistra una cultura di governo”, in particolare sul sistema bipolare.
Questo spiega il “calvario” di confrontarsi con mondi diversi dal tuo per cercare quella “contaminazione di idee e sensibilità” che possano poi sfociare in una convergenza sui programmi. “Sembra facile!”, diceva un vecchio adagio di Carosello.
La difficoltà, a nostro parere, sta tutta nella capacità del centro-sinistra di darsi un’identità. Non basta aggregare, occorre coinvolgere i cittadini, farli partecipare. Perciò è necessario che essi si riconoscano in un progetto o in un modello di società. Vuol dire recuperare quello slogan che si rivelò efficace nel ‘94 “restituire la città ai cittadini”. Ma per fare questo non basta una dichiarazione d’intenti, occorre una sofferta autocritica, per evitare gli errori del passato.
La cosiddetta “società civile”, dopo la sconfitta elettorale del centro-sinistra al quale aveva guardato con attenzione, in questi anni si è ritirata nel privato. Per rimetterla insieme, occorre offrire un progetto, una prospettiva certa. E occorrono risposte politiche sui grandi temi della nostra società: edilizia (rilancio dell’economia o speculazione?), occupazione (sviluppo o clientela?), sanità (servizi utili o assistenza?), all’ambiente (tutela o occupazione del territorio?). E questi sono solo alcuni degli esempi di problemi ai quali dare risposte, più che fare le analisi del sangue ai nostri interlocutori.
Certo, serve confrontarsi sulle idee e sulle proposte, ma è anche necessaria una convergenza sui programmi e su come realizzarli. Tutti vogliono le case, ma come? senza servizi? Tutti vogliono la sanità, ma come? senza efficienza? Tutti vogliono il rilancio del porto, ma come, con un società che gestisce interessi privati e distribuisce prebende e posti in consiglio di amministrazione? Tutti vogliono il turismo, ma come? concedendo le spiagge libere ai privati? Tutti vogliono lo sviluppo industriale, ma come? a danno dell’ambiente, magari prendendoci anche un indesiderato inceneritore?
In realtà il cittadino oggi è stato completamente esautorato. L’amministrazione comunale, o meglio il sindaco, decide senza consultare nessuno, “per il bene della città” e ti mette di fronte al fatto compiuto, con scelte che non rappresentano quelle della volontà popolare. E magari arriva a invadere la tua privacy con le telecamere piazzate un po’ dovunque, come fossimo in una grande metropoli, per monitorare il traffico e forse, domani, garantire un’ipotetica sicurezza. In realtà, in questo modo si rende il cittadino più insicuro: al pensiero che un “occhio pubblico” lo spia nei suoi movimenti anche leciti, si sentirà meno sicuro, come sa bene chi si vanta di essere esperto di psicologia e di conoscere l’animo umano. Con le telecamere si creerà altro disagio, ecco perché abbiamo scelto di farne l’argomento di primo piano, dedicandogli la copertina. Senza ricorrere all’abusato “grande fratello”, occorre riconoscere che una telecamera che segue i tuoi movimenti, rappresenta un segno del potere che nega la tua libertà, togliendo anche peso alla tua dignità.
E, infine, in questo clima di menzogne continue che ci vengono propinate dalla tv e dai cosiddetti grandi comunicatori, c’è un grande bisogno di verità, che resta sempre rivoluzionaria, perché, come diceva Gandhi, “la verità non danneggia mai una causa giusta”.
QUINDICI - 15.3.2004
Felice de Sanctis