Nell’editoriale di maggio 2002 esprimevamo la nostra preoccupazione per il deficit di democrazia che si stava creando nella nostra città. A distanza di nove mesi, la situazione non sembra cambiata. Anzi si è aggravata. E non si contano gli episodi che confermano questa, che ormai è più di una “sensazione”.
La stessa maggioranza rimprovera al sindaco un eccesso di protagonismo, qualcuno parla addirittura di “cesarismo”, per l’ultima sua decisione di impedire l’accesso dei consiglieri comunali agli atti amministrativi. Ancora una volta la storia si ripete e ciò avviene ad opera degli stessi protagonisti del passato e di altre stagioni politiche che, dopo aver accusato i predecessori di “autoritarismo” e “scarsa democrazia”, una volta insediatisi al loro posto, dimenticano quelle critiche e si comportano, consciamente o inconsciamente allo stesso modo. Una sorta di eterogenesi dei fini che, forse, ha coinvolto lo stesso sindaco.
Ma appare ancor più grave la scelta del presidente del consiglio comunale, Pino Amato, di non convocare più la massima assemblea cittadina, mentre i consiglieri proclamano uno “sciopero” motivato dalla richiesta di stanze per la riunione dei gruppi e di uno “stipendio” di 774 euro, oltre al gettone di presenza. Che miseria! A questo si aggiunge il violento scontro fra lo stesso Amato e l’assessore all’Urbanistica, Pietro Uva (foto), che in città suscita ilarità, ma che in realtà rappresenta un episodio di notevole gravità, da non sottovalutare.
Di fronte a tali situazioni, l’opinione pubblica reagisce indignata: c’è il rischio che il mandato elettorale venga trasformato in vantaggio personale: come sono lontani i tempi in cui la politica si faceva quasi per volontariato in cambio di un gettone, allora veramente simbolico.
Le divisioni all’interno della maggioranza di centrodestra, soprattutto in vista dell’assegnazione dei suoli alle cooperative, sono ormai evidenti. Ma l’opposizione non si faccia illusioni: la destra si ricompatterà, magari con una redistribuzione di incarichi e di cariche. Cosa importa se in tutto questo scontro a rimetterci alla fine è il cittadino che, di fronte ad un inevitabile aumento dei costi, pagherà di tasca propria le velleità di un personale politico di scarsa qualità, di una classe dirigente che sembra interessata solo a garantirsi un tornaconto economico. Del resto la cultura di destra, neoliberista, esalta incondizionatamente l’egoismo privato come una virtù pubblica. E il prevedibile aumento della spesa pubblica dovrà necessariamente essere compensato con un aumento delle entrate, utilizzando leva fiscale, aumentando le tasse.
“Quale spazio ha la persona nei nostri impianti? Quale rispetto abbiamo del bene comune e della sua indiscussa sovranità su tutte le altre visioni, compresa anche l’affermazione e l’avanzata del proprio partito?
Ci rendiamo conto che i rallentamenti delle nostre città sono dovuti ai calcoli di scuderia, alla prevalenza degli interessi di parte sull’interesse della gente, alle meschine strumentalizzazioni dello scontento popolare che può tornar comodo domani ai nostri progetti partigiani?
Chi stiamo servendo: il bene comune o la carriera personale? Il popolo o lo stemma? Il municipio o la sezione? Il tricolore o la bandiera del partito? A chi facciamo pagare l’estratto conto dei nostri ritardi? La bolletta dei nostri sterili blateramenti? Le cambiali, purtroppo spesso rinnovate, di una fiducia sistematicamente tradita?”.
Sono parole che tanti hanno già dimenticato, ma che restano scolpite nella memoria di chi crede ancora nella democrazia come servizio. Sono passati 10 anni, ma le parole di don Tonino appaiono di straordinaria attualità. Dov’è la borghesia illuminata di questa città, dove sono gli intellettuali, dov’è finita la cultura, dov’è quella società civile che puntava al rinnovamento? Certo, si tratta di una minoranza, ma crediamo che si stia trasformando tristemente in una “minoranza silenziosa”, incapace di farsi maggioranza. Divisa, sconfitta, indifferente alla politica. Dov’è finito quell’orgoglio cittadino che in passato ci è stato invidiato?
E l’opposizione che fa? Una parte del cosiddetto “centro” (Cimillo e Centrone) si è “acquietata” per un piatto di lenticchie. Il centro-sinistra, dal canto suo, cosa offre o propone? Nulla. Sconfitto anch’esso, diviso e incerto sul futuro, lascia che la città sia governata da una classe dirigente di basso profilo che la rappresenta fin nelle massime istituzioni. Un ceto politico culturalmente infimo, che pensa solo a conquistare e conservare a tutti i costi quella poltrona miracolosamente conquistata.
E’ accettabile questa rassegnazione al declino? E’ giusta l’egoistica indifferenza che ci pervade? Nessuno pensa al futuro, almeno quello dei propri figli? Se una città non pensa al futuro, il suo declino è segnato. Lo insegna la storia. Ma non ha scolari. Aveva ragione Cicerone.
QUINDICI - 15.2.2003
Felice de Sanctis