Contrariamente alle nostre abitudini, questa volta l’editoriale non l’abbiamo scritto all’ultimo minuto, ma alcuni giorni fa nel corso di una riflessione sulla crisi della sinistra. Eravamo incerti se proporlo all’attenzione dei lettori o tenerlo per noi. Poi è scoppiato il caso Nanni Moretti (nella foto) e abbiamo capito che, come avevamo fatto altre volte, dovevamo alzare la voce, perché il silenzio rischia di diventare assordante.
Anche a Molfetta, come a Roma, il centro-sinistra ci pare assopito, incapace di una proposta, di un’opposizione sulle cose più evidenti e, last but not least, incapace di accordo e quindi di esprimere all’esterno una linea in grado di creare consenso. Il pericolo è l’atrofizzazione di un’opposizione che rischia di limitarsi a criminalizzare l’avversario. Non si può restare alla finestra in attesa che cada l’amministrazione o che commetta un illecito per ribaltare la situazione. Non si può aspettare una nuova Tangentopoli (che a Molfetta, in verità, non c’è mai stata, purtroppo), né un nuovo omicidio del sindaco (facciamo gli scongiuri, per carità) o la morte di un vescovo-profeta. Sono situazioni uniche e irripetibili. Né continuare a piangersi addosso perché il nuovo sindaco Tommaso Minervini con un’abile manovra ha ribaltato la situazione e il centro-destra, in appena 100 giorni, con la sua consolidata abitudine alla bugia (Berlusconi docet), rivendichi come proprie le realizzazioni del centro-sinistra.
L’alternanza si crea giorno per giorno, tassello per tassello, delibera su delibera. Sui fatti. Ma questo costa fatica, impegno, tempo, che il centro-sinistra non sembra avere più. E costa anche entusiasmo, motivazione, passione, sogno, che non ci sono più.
Non è sul vecchio, sul passato che si deve lavorare, rivendicando continuamente le proprie realizzazioni. Occorre progettare il futuro. Per il dicembre molfettese sono stati spesi decine di milioni, perché e con quali risultati? Per le consulenze si spendono altri milioni, con quali aspettative? E così via.
Ma queste cose bisogna andare a dirle anche e soprattutto fuori dell’aula consiliare, alla gente, che va raggiunta, contattata, ascoltata.
E poi occorre ricreare il consenso attorno a un programma comune, fare delle scelte da quale parte e con chi stare, ma in modo netto, non ambiguo. La sinistra sia semplicemente se stessa, con meno dibattiti e più contatti, con meno riflessioni e più azioni. Certo, serve un leader, anche se non è indispensabile, quanto lo è un progetto riformista, un’idea, un sogno se vogliamo. Non si deve rincorrere il centro-destra e il suo protagonismo, (“l’io adesso”), la sinistra è diversa, è il “noi domani”, come dice Vittorio Foa. Sicuramente occorrerà anche individuare un leader capace di rappresentare tutti, nel quale, però, tutti si devono riconoscere, ma che tutti devono sostenere fino in fondo, senza cominciare a impallinarlo un minuto dopo la sua elezione.
Il sistema maggioritario non può prescindere dalla presenza di un leader, ma che sia un leader che nasca dalla base (le famose “primarie”). Certo, è più difficile, più faticoso, ma sta qui la differenza con un centro-destra che ha accettato come leader Tommaso Minervini, pur inviso ad An (perché proveniva da sinistra), comunque sostenuto fino in fondo, forse perché l’obiettivo prioritario era la conquista del potere e la sua gestione. La sinistra abbia, invece, un obiettivo di governo: la gente questo si aspetta. La differenza sta nella gestione del potere non in nome del popolo per gli interessi particolari, ma in nome del popolo per gli interessi collettivi, sempre e comunque, senza ombra di sospetto, anche sacrificando, se necessario, ambizioni personali e deleteri protagonismi che spesso sono causa di fallimento. Non si deve consentire a nessun leader, però, di buttare a mare un lavoro di gruppo per ambizioni personali. Non si costruisce un progetto su una persona, occorre evitare l’errore del passato. Perché alla fine venuta meno la persona, crolla tutto. Lo può fare e lo ha fatto Berlusconi con Forza Italia, ma quella è un’altra cosa. E non ci piace.
A Roma, come a Molfetta, la destra sta cambiando la "filosofia" stessa del governo, giocando sulla logica dell’appartenenza e perfino sul contributo facile. Chi rinuncerebbe facilmente a un contributo statale o comunale? chi a un’agevolazione fiscale o a un condono? Quando si tocca il portafoglio della gente, è difficile parlare di valori. Diceva un vecchio scrittore: la gente dimentica più facilmente la morte del padre, che la perdita della proprietà. Ribaltare un sistema che punta a sollecitare l’egoismo individuale è difficile, ma occorre farlo.
Quale analisi del voto è stata fatta? E da questa, quale proposta per il futuro? Però, resiste, anche se rappresenta una sparuta minoranza (Moretti insegna), un gruppo di persone che non è disposto a vendersi per un piatto di lenticchie e nemmeno per un miliardo di euro. E da qui che occorre ripartire per creare una nuova moralità diffusa, a 10 anni da Tangentopoli (è difficile, quasi impossibile), ma si deve percorrere questa strada, o almeno quella di creare una cultura diffusa che faccia comprendere alla gente che si possono ottenere gli stessi vantaggi, e forse anche maggiori, senza scendere a squallidi compromessi, oltretutto con squallidi personaggi.
Ma chi si espone per il bene della città? Nessuno. Allora siamo destinati a tenerci gli uomini e il governo che ci meritiamo e che forse è lo specchio della città oggi?
Non ci si può rassegnare, occorre lavorare sul quotidiano, anche se è faticoso. O si sceglie questa strada o è meglio lasciar perdere e restare a casa. Anche noi potevamo restare a casa e non l’abbiamo fatto, pur sopportando grandi sacrifici, ma con un obiettivo sociale. Ecco perché c’è bisogno degli intellettuali, contrariamente a quello che pensa Rutelli che preferisce i politici, serve un’opposizione seria, combattiva e responsabile, in cui la gente sia capace di riconoscersi, altrimenti non si schiera, resta a casa e vota scheda bianca rifugiandosi nel personale e aspettando tempi migliori. Esiste un’area non piccola che non si sente rappresentata dall’attuale amministrazione comunale, come dall’attuale governo, ma non trova intorno a sé un’alternativa credibile da sostenere.
Il centro-sinistra ha il dovere di rappresentare quest’area altrimenti si condanna e ci condanna a perdere la speranza. E il sogno di un paese migliore, solidale, libero. Perché il silenzio può divenire più assordante di un boato.
QUINDICI - 15.2.2002
Felice de Sanctis