Se un marziano, come nel vecchio racconto di Flaiano atterrasse a Molfetta, si troverebbe di fronte ad una città morta. Pur nella sua apparente vitalità, nel suo disordine del traffico, nella concitazione dei dialoghi da caffé, la nostra è una città morta, che cerca di sopravvivere a se stessa. Perfino nella stagione estiva è stato cancellato un appuntamento tradizionale come l’Estate molfettese, che ora si cerca di rabberciare grossolanamente in autunno, pioggia permettendo. Un’estate molfettese per pochi, perché in questa stagione turisti non ce ne sono e i molfettesi sono già tutti a lavorare. Il programma di quest’anno, tranne qualche lodevole eccezione, come “Ti fiabo e ti racconto” e la rassegna d’arte contemporanea “Il mare”, non ha offerto grandi spunti di interesse. L’opposizione di centro-sinistra sostiene che è un programma necessario a onorare le cambiali elettorali a questo o a quel complesso: sono stati spesi per 210 milioni per cosa? I paesi limitrofi hanno offerto di meglio e la gente è emigrata su quei lidi.
Abbiamo preferito cominciare dalla nota meno dolente di questo scenario perché non avremmo mai voluto toccare il tasto della sicurezza: brucia ancora sulla pelle dei molfettesi il ricordo della stagione del traffico della droga, dell’incubo di un paese sotto assedio di gruppi criminali, che per fortuna non avevano ancora scelto la strada del regolamento dei conti, ma che sicuramente toglievano serenità agli abitanti delle zone nelle quali si concentrava il traffico illecito.
Oggi, come la cronaca dimostra (e a questo fenomeno abbiamo dedicato tutta la pagina 6, con la pubblicazione delle testimonianze pervenute al nostro giornale quotidiano via Internet) c’è un risveglio di questa criminalità. E la gente appare preoccupata. Due omicidi certamente non legati alla criminalità organizzata, hanno però turbato la tranquillità di una città non abituata a fenomeni di sangue. I tentativi di racket ai danni dei commercianti, che hanno chiesto una maggiore tutela contro la mini criminalità e, infine, l’ultimo episodio dei primi giorni di settembre, quando una ragazza è stata minacciata in pieno centro, in un’ora non notturna, e costretta a seguire dei malavitosi (uno dei quali ex Reset) che l’hanno violentata a turno.
Saranno anche episodi isolati, coincidenze temporali, ma sicuramente la soglia dell’attenzione si è abbassata, certamente questi balordi credono di essere sicuri e di poter restare impuniti, certamente l’atmosfera in città è cambiata. E’ una sensazione palpabile, confermata dai discorsi della gente e dai commenti che abbiamo raccolto.
E l’amministrazione comunale che fa, oltre a incontrarsi periodicamente nel tentativo di quadrare il cerchio per dividersi le poltrone, arrivando all’assurdo di aumentare gli assessori da 6 a 10 (con costi aggiuntivi di oltre 400 milioni per la comunità) e il numero dei rappresentanti negli enti comunali? Stanno per scadere i famosi 100 giorni e non si vede nulla, se non qualche consigliere comunale e qualche rappresentante delle istituzioni che scorrazza con la moto controsenso e senza casco: ottimo esempio per i più giovani. Sembra che l’arroganza sia l’elemento comune di una coalizione di destra, messa insieme tra ex rappresentanti di sinistra, voltagabbana, e personaggi destrorsi in cerca di visibilità.
Gli episodi di arroganza e di intolleranza sono continui in consiglio comunale, dove l’opposizione viene tacitata con la forza dei numeri mostrando i muscoli e si ascoltano frasi del tipo “qui non si fa nulla che io non voglia”, “qui comando io”, il classico “lasciatemi lavorare”. I cattivi maestri hanno fatto scuola. “L’état c’est moi”, lo Stato sono io, disse Luigi XIV diciassettenne a chi gli rimproverava di essere entrato in Parlamento con l’abito da caccia e col frustino in mano. A lui si ispira il nostro sindaco: “la città sono io”?
E che dire dell’edilizia? L’art. 51 sembra destinato ad essere accantonato o quantomeno non si capisce quale sarà il suo destino in vista del piano regolatore approvato, ma ancora non operativo. La gente vuol vedere le gru (possibilmente quelle delle cooperative).
E’ una città morta anche per l’economia: i commercianti piangono, ma non fanno nulla per risollevarsi da questa situazione della quale attribuiscono responsabilità all’esterno: farebbero meglio a guardare prima al proprio interno. E anche a farsi un giro nelle città vicine, dove i molfettesi sono diventati clienti abituali.
Forse saremo troppo pessimisti, ma per professione siamo abituati a ragionare con i numeri e i numeri non sono positivi. C’è perfino chi si improvvisa a scrivere di economia, senza capire nulla. Alla fine dei conti, insomma, la somma porta sicuramente il segno meno.
La città chiede risposte concrete e non semplici promesse: sicurezza, casa, lavoro. E nel Palazzo si gioca con i bussolotti delle nomine.
In questo scenario negativo, esiste anche una responsabilità delle forze di opposizione, le quali, schiacciate da una maggioranza inespugnabile, si limitano a poche scaramucce in aula, dove vengono zittite dai numeri. E’ inutile correre dietro alla pari dignità per le donne in giunta (ma hanno fatto un accordo con la Minuto, che potrebbe essere l’unica interessata alla cosa, ma mostra disinteresse?) con ricorsi a catena, meglio affrontare argomenti più seri e se l’opposizione è difficile in consiglio comunale, meglio farla nella città. La sinistra deve tornare fra la gente, deve spiegare ai cittadini cosa avviene nel Palazzo, i motivi dell’immobilismo. Solo così può crearsi nuovo consenso, ma soprattutto solo così può fare gli interessi della città.
Occorre distinguersi dalla maggioranza, proiettandosi verso il futuro e ricordando la sintetica definizione di Vittorio Foa: “La destra: io adesso. La sinistra: noi domani”.
QUINDICI - 15.9.2001/b>
Felice de Sanctis