Molfetta è a una svolta tra lo sviluppo e l’emarginazione. In questi giorni si parla tanto della “Città della moda” di questo nuovo centro commerciale (nella foto, i lavori) che sorgerà nella zona industriale e porterà 1.300 posti di lavoro, tra diretti e indotto. Si tratta di un progetto che certamente a cambierà la vita di Molfetta, ma anche di cittadini e giovani destinati a trovare occupazione in una città che non offre nulla. Molte le riserve: anche noi ne abbiamo, ma di fronte all’emergenza occupazione non si ha molta possibilità di scelta. Anzi, occorre cogliere le occasioni che ci offre il mercato. Sì, il dio mercato, tanto osannato da qualcuno e vituperato da altri, è semplicemente il reale motore dell’economia.
La globalizzazione è una brutta cosa, non ci piace. Ma è una realtà. O si sta dentro o si resta fuori e quindi lontani dallo sviluppo. Purtroppo. Né è possibile ipotizzare scenari “bucolici” o idilliaci: non è una città o il comportamento di un’amministrazione comunale che possono cambiare il corso della storia economica. Il capitalismo, con le sue dure regole, non rappresenta l’Eden, anzi. Ma è il sistema che finora è riuscito a garantire lo sviluppo.
Ecco perché il processo va governato, controllato. Ed è questo il compito della politica. Non negando tutto, senza proporre alternative concrete e soprattutto immediate e non utopistiche. Il crollo dei regimi dell’Est è dipeso non dal venire meno di validi principi, ma da un sistema economico dirigista e statalista che ha prodotto solo disastri, ai quali l’Occidente sta cercando di rimediare.
La “Città della moda” e l’insediamento delle attività produttive nella zona Asi, vanno perciò viste per quello che sono: occasioni di occupazione e di sviluppo, con una ricaduta economica non “per pochi”, ma “per tutti”. E’ ovvio che l’imprenditore cura anche il suo interesse: certamente non fa beneficenza, ma crea lavoro. Questo il suo compito principale, oggi in molti casi venuto meno a favore della finanza, che produce ricchezza, ma non crea occupazione.
Se analizziamo la situazione economica della nostra città, registriamo uno stato comatoso, dovuto agli errori del passato, di una politica miope che ha puntato tutto sull’edilizia, un settore che non crea occupazione, non crea sviluppo, ma, serve ad arricchire poche persone. Poi, una volta finito il lavoro, tutto si ferma. Non è così con le industrie e le attività produttive. Non lo è, a maggior ragione, con i servizi, sempre più necessari in una società complessa come la nostra.
Molfetta è una città-dormitorio, basta fare un giro per le strade il sabato sera: un deserto. E, invece, spostandosi di 10-15 chilometri, si assiste a un movimento e una vitalità incredibili. Risultato: gli operatori economici, i commercianti locali chiudono o restano in attesa di un fantomatico cliente che non arriva mai. In questo “deserto dei tartari” c’è ancora chi sogna la rivitalizzazione della città, di un centro-storico che va sì rilanciato e non abbandonato, ma per far questo occorre essere realisti e tener conto dei tempi della politica che si calcolano non in anni, ma in decenni. Soprattutto quando poi ci si trova a fare i conti con politici miopi o incapaci di guardare al di là del proprio naso.
Dove vanno i giovani oggi al sabato sera? A Bisceglie, a Trani. A Molfetta, invece, il lungomare (zona pedonale) è solo area di passeggio per famiglie con bambini: perché non c’è altro. Dove va la gente a comprare? Alla Metro, ad Auchan o ad altri ipermercati. Che vuol dire tutto questo? Che la mobilità del consumatore è già una realtà: si cerca altrove quello che non si trova sul posto e ci si sposta senza problemi. Perciò, se realizziamo sul territorio queste strutture i cittadini molfettesi resteranno sul posto, con innumerevoli vantaggi: da quelli economici a quelli ambientali (meno inquinamento da gas di scarico).
L’economia è un fenomeno complesso, non può essere ridotto a formulette o desideri. Un grande insediamento industriale significa economia “spalmata” sul territorio: occupazione (certo anche di commesse e camerieri, non dimentichiamo che Molfetta possiede un Istituto alberghiero fra i più frequentati) e quindi reddito per i giovani di questa città, che poi spendono sul territorio i soldi guadagnati; lavoro per artigiani locali (opere di manutenzione, ricambi, materiale propagandistico e quindi lavoro per tipografie, grafici, studi professionali per consulenze, ecc., e qui parliamo di laureati non di commesse e così via). Molfetta città di impiegati: è questo che vogliamo continuare ad essere? Ma non consideriamo che tale tipologia occupazionale è al tramonto a favore del lavoro autonomo e soprattutto flessibile, che può cambiare spesso?
Basta col dirigismo, non si possono programmare abitudini e scelte della gente. La politica deve orientare, ma deve essere soprattutto capace di guardare la realtà e il futuro. Chi parla contro gli investimenti (il Sud non chiede forse agli imprenditori stranieri di venire a investire da noi?) è miope, non conosce l’economia, ma nemmeno la nostra gente, i molfettesi, o almeno la maggioranza.
Non deve essere la politica a cedere il passo all’economia, ma capire i nuovi fenomeni, altrimenti si realizza una sorta di nuovo luddismo (le violente reazioni contro l’introduzione delle macchine). Oggi assistiamo al fenomeno Internet e allo sviluppo vertiginoso della telematica e dell’informatica. Il computer è diventato uno strumento di lavoro indispensabile. Eppure resistono ancora coloro che, paradossalmente, vogliono continuare a produrre macchine per scrivere, che non hanno mercato e nessuno comprerà. E’ solo un esempio utile a
far comprendere come lo sviluppo, il progresso vadano governati, ma non si può rifiutare a priori questa evoluzione, altrimenti si resta emarginati e disoccupati.
Ma per governare i processi occorre stabilità politica. Ed è quello che manca all’Italia e anche a Molfetta. La politica è questa? Trasformismo e velleità personali? Cinque personaggi in cerca d’autore possono paralizzare la vita della città, appropriandosi della volontà popolare, di quegli stessi cittadini che li hanno eletti e dei quali credono di interpretare il pensiero? Sono gli interrogativi che ci tormentano in questi giorni, mentre il consiglio comunale continua ad offrire uno spettacolo indecoroso di indecisioni, di paralisi, di balletti vari.
E’ questa la politica che deve governare la città? E’ questa la seconda Repubblica?
A tale politica, è meglio allora, assurdamente, preferire il mercato. Almeno quello offre occupazione e sviluppo, condizionando sì la politica, ma questo tipo di politica che non vuole l’interesse generale, ma cerca solo la visibilità personale di alcuni personaggi (i “signor Nessuno”) destinati a finire nell’album dei ricordi. E neanche in quello.
QUINDICI - 15.2.2000
Felice de Sanctis