FELICE DE SANCTIS
«Pericolo giallo» o opportunità? Il problema dell’«invasione» dei prodotti cinesi sul nostro mercato anima da tempo il dibattito soprattutto dopo l’ingresso della Cina nel Wto, l’organizzazione mondiale del Commercio, avvenuta nel dicembre del 2001. Ma c’è chi sdrammatizza. Il primo è stato Cesare Romiti, che ha subito individuato nel mercato cinese la nuova sfida dell’industria italiana, non solo per la possibilità di produrre a costi ridottissimi, ma anche di aggredire un mercato di un miliardo e 300 milioni di consumatori.
Del resto produrre in Italia e andare a vendere in Cina non è più pensabile. Per l’ex numero uno della Fiat occorre puntare a innovazione, tecnologie e registrazione di marchi, prodotti e disegnati direttamente in Cina, con la garanzia di non essere clonati. Del resto quello che conta oggi non è tanto dove un oggetto viene realizzato, bensì come viene creato e venduto: il brand, il marchio, è la cosa più importante soprattutto se fatto in modo competitivo. Dall’inizio di quest’anno il «pericolo giallo» fa ancora più paura perché è stato liberalizzato l’ingresso di prodotti tessili e del calzaturiero, con la caduta delle ultime quote sull’import. Si teme una vera e propria invasione di prodotti cinesi con grave ripercussione sull’occupazione e sulla tenuta stessa delle aziende. Il settore del Tac (tessile, calzaturiero, abbigliamento) sta già soffrendo, da circa tre anni, di una crisi di produzione, di fatturato e di esportazioni, complice anche il supereuro e il calo dei consumi.
Ma è il «fattore C» ad essere determinante in questa crisi, anche perché il sistema produttivo italiano si è fatto cogliere di sorpresa dal fenomeno, già in rapida crescita negli anni scorsi e destinato ad esplodere in un futuro non troppo remoto. L’errore è stato anche quello di cullarsi nella convinzione che la Cina non fosse in grado di realizzare prodotti di qualità come quelli «made in Italy», come è avvenuto per il Giappone o la Corea che hanno impiegato 30 anni per arrivare al nostro livello, ma i cinesi sono più veloci. E quando una delle società simbolo dell’Occidente, l’Ibm, ha ceduto proprio ai cinesi la divisione computer, ogni illusione di vivere sugli allori della qualità è definitivamente tramontata.
Oggi siamo all’emergenza, ma non si può combattere il «nemico» con le armi tradizionali dell’assistenza e dei dazi. In un mercato sempre più globale occorre avere il coraggio di competere puntando su innovazione e ricerca. Gli imprenditori italiani, e quelli meridionali in particolare, devono riscoprire la voglia di fare impresa in modo aggressivo investendo di più, superando la comoda logica della rendita, per riscoprire quella del rischio. Del resto la muraglia cinese non è così impenetrabile, può essere anche aggirata o addirittura scavalcata, anche attraverso alleanze e utili collaborazioni. Questa è la vera sfida, non un protezionismo antistorico destinato sicuramente alla sconfitta.
La Gazzetta del Mezzogiorno – 1ª pagina - 4.1.2005