di Felice de Sanctis
«Lavorerai sei giorni e farai tutto il tuo lavoro, ma il settimo giorno è il giorno di riposo per il Signore, tuo Dio; non fare in ess0 lavoro alcuno» (Esodo, 20,9 10).
«Tutto ben considerato, lavorare è meno noioso che divertirsi» (Charles Baudelaire) Sono due diverse visioni del lavoro: quella della Chiesa che, fin dall’Antico Testamento, ha sempre sostenuto la necessità di non lavorare la domenica, contrapposta a quella «laica» del poeta maledetto francese dell’Ottocento, autore dei "Fiori del male", per il quale il lavoro era meno meno noioso del divertimento e quindi dello stesso riposo domenicale.
La polemica sul lavoro domenicale è riesplosa recentemente dopo la visita del Papa ad Ivrea, dove Giovanni Paolo II ha ripreso il contenuto di un documento dei vescovi piemontesi, che invitava a riconoscere ai cristiani il diritto a non lavorare la domenica.
LA SPIEGAZIONE TEOLOGICA - «Il dies dominicus per la Chiesa è il giorno del Signore - spiega mons. Cozzoli, docente di teologia nel Seminario regionale di Molfetta - ecco perchè dal punto di vista teologico per il cristiano un giorno non vale l’altro. La domenica è il giorno della risurrezione, è il giorno della Pasqua per il cristiano, della consacrazione ecclesiale, dell’incontro comunitario, che trovano la loro espressione celebrativa nella eucarestia».
LE MOTIVAZIONI ECONOMICHE - Da dove nasce l’esigenza di lavorare la domenica? C’è una motivazione essenzialmente produttiva: la ristrutturazione industriale con l’introduzione di costose nuove tecnologie nelle fabbriche comporta la necessità riorganizzare il lavoro per far fronte alla concorrenza di Paesi in via di sviluppo e per ammortizzare il costo delle macchine. Di qui l’orientamento verso il pieno utilizzo degli impianti, anche di quelli che non sono a ciclo continuo.
Ecco perchè la durata e flessibilità del lavoro sono diventate per le aziende più importanti del suo costo, che resta pur sempre elevato. L’automazione ha portato l’industria manifatturiera a somigliare sempre più a quella operante a ciclo continuo, facendo «saltare» gli orari tradizionali e imponendo i turni di notte e il lavoro nei giorni
festivi. Negli ultimi anni sono cresciuti non solo in Italia, ma anche in Europa, gli accordi tra imprese e sindacati per il lavoro domenicale, e sembra che tale tendenza sia destinata ad estendersi.
I DUBBI DELLA CONFINDUSTRIA - Ora è arrivata la protesta dei vescovi, che sta spaccando la Confindustria. Il vice presidente Carlo Patrucco, infatti, ha reagito male al documento pastorale sostenendo che «finora l’orario di lavoro è stato ben gestito», per cui ha ritenuto «gratuite» certe affermazioni dei vescovi, spingendosi fino a sostenere che «ognuno deve fare il proprio mestiere».
La risposta non è piaciuta ad un altro illustre esponente dell’associazione degli industriali, l’avv. Gianni Agnelli, che ha subito censurato Patrucco: «Il suo intervento è stato molto intempestivo e inopportuno».
LA «CROCIATA» DEI VESCOVI - Siamo già in clima di «crociata»? Per ora quello dei vescovi è solo un allarme, anche se essi respingono decisamente le accuse di Patrucco. «E’ la solita dichiarazione secondo cui la Chiesa va bene finché parla in sacrestia o quando esamina temi in astratto - dice il vescovo di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi
-. Quando, invece, scende nelle applicazioni concrete, allora la si vuol far tacere».
LA POSIZIONE DEI SINDACATI - I sindacati in questa vicenda sono apparsi un po’ spiazzati e forse anche scavalcati dai vescovi. Anch’essi ufficialmente, per ora, evitano una pronuncia ufficiale e unitaria.
Ma c’è la necessità di difendere i posti di lavoro, che potrebbero essere in pericolo di fronte alle sfide competitive dei Paesi di nuova industrializzazione a basso costo del lavoro e ad alto sfruttamento dei lavoratori, come avviene nel tessile. Lo ricorda il segretario generale della Cisl, Marini, che ritiene utile fissare regole europee, per evitare situazioni di sfruttamento.
E se, invece, il lavoro domenicale servisse ad alleviare la disoccupazione o ad impiegare gli immigrati, non sarebbe questo un fine morale per la Chiesa?
«Si tratta di vedere se il fine giustifica i mezzi - aggiunge mons. Bettazzi -. Non vorrei che con la scusa di dare maggior lavoro a disoccupati e immigrati soffochiamo i diritti fondamentali dell’uomo».
UNA PROPOSTA «RIVOLUZIONARIA» - Ma cosa è possibile fare in concreto? C’è chi propone di superare il problema lavoro festivo sì, lavoro festivo no. E’ il futurologo Roberto Vacca, il quale sostiene la necessità di pervenire ad una migliore qualità della vita attraverso una rotazione delle giornate lavorative e quindi del riposo settimanale. «Il Papa è fermo a qualche secolo fa - ci dice il prof. Vacca - e tutta la Chiesa guarda indietro, non avanti ai reali problemi della nostra società. Qualche secolo fa non esisteva il fenomeno della congestione urbana. Oggi, invece, si deve fare anche un discorso economico avanzato, che presuppone una rotazione del riposo per impedire la congestione. Con tale sistema è possibile anche una rotazione dei bisogni e dei consumi, decongestionando le città. Del resto la rotazione del riposo non è una novità: è stata sperimentata già con successo a Pechino, dove i problemi di sovrappopolazione non sono uno scherzo».
Il problema della rotazione del lavoro, in verità, si porrà in maniera più concreta nei prossimi anni, quando crescerà l’immissione degli immigrati nelle fabbriche e nascerà l’esigenza di rispettare la loro religione, quella mussulmana, che prevede il riposo il venerdì.
C’è anche chi volontariamente sceglie «la dolce malinconia di lavorare la domenica, quando gli altri passeggiano», perchè ritiene con Voltaire che «il lavoro allontana da noi tre grandi mali: la noia, il vizio e il bisogno».
Per il sociologo Sabino Acquaviva, invece, vanno salvaguardati, comunque, la libertà religiosa e il principio morale, attraverso una riduzione delle ore lavorative e una loro redistribuzione che può favorire anche l’occupazione.
ALIENAZIONE O FELICITA’ - Che dire, poi, di quelle categorie che da sempre lavorano la domenica e fanno anche i turni di notte: gli addetti agli impianti a ciclo continuo o quelli impegnati a far funzionare i servizi pubblici (treni, aerei, ospedali), le forze dell’ordine, i giornalisti e altri? Il discorso per loro non vale - dicono i vescovi - anche se, aggiungono, non vengono meno problemi che riguardano la vita umana e cristiana di questi lavoratori, spesso abbandonati a se stessi e con tempi assai lunghi di lavoro, tanto da non permettere sufficiente riposo, né vita familiare, né vita comunitaria, né vita religiosa.
La Gazzetta del Mezzogiorno – cultura 8.4.1990
Felice de Sanctis