Dal nostro inviato
SAN PIETROBURGO - “Alla giovane nuova capitale/ la madre Mosca la sua testa inchina,/ come a una nuova zarina la regale/ vedova nella veste porporina”, così il poeta russo Puskin salutava nel 1883 una città aristocratica, bella, maestosa, teatrale, imperiale che conserva immutato il suo fascino a 300 anni dalla sua fondazione. San Pietroburgo è una luogo mitico, “inventata” da Pietro il Grande su una palude di ottanta canali affacciata sul Mar Baltico, in un clima ostile, gettando ponti, piantando fondamenta nel fango e trasformando in una grande città 42 isole sperdute.
Lo zar arrivò qui alla foce della Neva con i suoi cavalli il 23 maggio del 1703 e immaginò quello che sarebbe diventato un modello urbanistico senza precedenti, cominciando a costruire una dacia con enormi tronchi di pino. Pietro visse spartanamente per sei anni in questa dacia coltivando il suo sogno, ma appena 10 anni dopo entrava trionfalmente nella nuova capitale dedicata a San Pietro e si insediava in quel meraviglioso palazzo d’inverno cuore della città, attorno al quale sarebbero sorti come funghi palazzi, teatri, musei, chiese circondate da mille canali sull’esempio dell’olandese Amsterdam più che sull’italiana Venezia. Anche se furono proprio gli architetti italiani (Trezzini, Rastrelli, Fontana, Carlo Rossi, Quarenghi) a darle quell’impronta europea dal sapore asiatico, che ne fanno un unicum, il più grande teatro urbano del mondo.
E fu proprio l’Europa a ispirare la scommessa dello zar, per riscattare così un’origine barbara che aveva mischiato nel sangue russo quello di mongoli, unni, goti, tartari, vichinghi. E ancora oggi San Pietroburgo mostra la sua orgogliosa “diversità” dove palazzi, teatri, case, piazze raccontano la sua storia. Occorre farsi trasportare dalla maestosità dei suoi monumenti, dall’incanto dei suoi giardini, da quel tremulo paesaggio impressionista sotto un cielo rarefatto e lucido del dopopioggia, per assaporare l’atmosfera della Russia e cogliere i segreti della sua anima, fonte di ispirazione artistica per personaggi come Gogol, Ciajkovskij, Tolstoi, Puskin, Dostoevskij, Stravinkij e tanti altri. Girando per le strade nella lunga estate delle notti bianche quando il sole tramonta a mezzanotte e la città non conosce le tenebre passando dal tramonto all’alba in un caleidoscopio di colori che sono un inno alla vita, si coglie la voglia di futuro che non cancella il passato, come a Mosca, ma nell’orgoglio delle proprie tradizioni, lo rivaluta e lo trasforma in un biglietto da visita per il futuro.
Non c’è quella fame senza scrupoli di denaro, né l’ossessiva ricerca del piacere, quel “carpe diem” in salsa tartara con colonna sonora techno della città del Cremino che vive alla giornata, bruciando tutto vita e denaro, perché il domani non esiste. San Pietroburgo ripercorre il termometro della sua storia senza frenesia isterica di chi si è liberato di un lungo periodo di buio e vuole bruciare la vita in un attimo per recuperare il tempo perduto in una folle corsa per una strada in fondo alla quale può esserci anche il baratro. No, Pieter, come la chiamano i russi, è una saggia miscela tra novità e tradizioni, apertura al futuro senza rinunciare a una sobria qualità della vita, dove nuove tecnologie e ritmi lenti si fondono in un sapiente crogiuolo esistenziale.
La brama di vivere esiste anche qui nella movida pietroburghese della turbolenta Prospettiva Nevskij con suo traffico infernale e senza regole su otto corsie, con i ristoranti e negozi alla moda, animati da giovani e incantevoli fanciulle per i quali l’imperativo categorico è “esagerare”, “lovi moment” nelle interminabili giornate drogate da un sole che dopo il tramonto continua a colorare di luce lo schermo del cielo e le notti perdono l’oscurità e offrono l’illusione di un destino fatto solo di luce. E la notte è segnata solo dall’originale spettacolo dei ponti sulla Neva che si levano al cielo per accogliere le navi che entrano nel porto.
Ma i suoi immensi spazi racchiudono ingorghi pazzeschi e solitudini sterminate velate di malinconia: “non togliere mai ad un russo il piacere della tristezza” diceva qualcuno interpretando l’anima di un popolo che non ha mai smesso di credere nel dio destino. Girare la Russia da soli è difficile e sconsigliabile, sia sul piano della sicurezza, sia su quello della possibilità di non perdere nulla dei suoi monumenti essenziali. Affidarsi a un tour operator è la cosa più opportuna, Boscolo Tour è uno di quelli consigliabili perché ha consolidato esperienza e professionalità nei Paesi dell’est europeo riuscendo a confezionare un itinerario abbastanza ricco e completo che permette di conoscere la Russia e il suo popolo, con un’offerta ricettiva di gran qualità e competitiva anche sul piano della ristorazione.
Così si può girare per San Pietroburgo in compagnia della storia: dal Palazzo d’inverno simbolo della potenza degli zar e della loro ricchezza (trionfo di luci, riflessi dorati, sfarzi incredibili di oro e ambra) all’incrociatore Aurora che col suo colpo di cannone annunciò la rivoluzione d’ottobre del 1917 e la fine di un’epoca, già fuori dalla Storia. Perfino l’assassinio dello zar Alessandro II, liberatore dei contadini dalla servitù della gleba, ha avuto la sua consacrazione nella chiesa del Salvatore sul sangue versato. Mentre sull’isola di Vassilievskij con la Fortezza di S. Pietro e Paolo cominciò a pulsare il cuore della nuova capitale.
Meraviglia delle meraviglie l’Ermitage e il suo incantato giardino d’inverno, divenuto uno dei musei più prestigiosi e ricchi del mondo. Sono proprio i giardini, anche privati, incastonati nel cuore della città che non hanno uguali al mondo e le mille fontane di Petrodvorec, la Versailles russa con le sue 140 fontane dorate alimentate con uno straordinario sistema di vasi comunicanti, capolavoro dell’ingegneria idraulica dell’epoca e quelli di Tzarskoe Selo o il settecentesco di Oranienbaum, opera dell’italiano Antonio Rinaldi. Ci sono due Russie che vanno conosciute, molto diverse fra loro e forse è quello che hanno voluto gli stessi zar da Pietro a Caterina la Grande: San Pietroburgo, occidentale e modernizzatrice e Mosca, slavofila e tradizionalista col suo splendido e blindato Cremino e le numerose chiese ricche di icone e magnifiche iconostasi che raccontano la profonda religiosità di un popolo, soppressa durante il periodo sovietico e riesplosa con la perestrojka, con pellegrinaggi di operai nati sotto la dittatura del proletariato e gite di studenti figli della nuova era, alla scoperta del loro passato: religiose icone e trofei di guerre dimenticate, echi di battaglie e conflitti fratricidi, intrighi mortali di palazzo.
La città delle “quaranta volte quaranta chiese” ortodosse vive nella contraddizione dei pope con la lunga barba che custodiscono chiese ricche di icone e cupole a cipolla appena ridonate e l’esplosione dei locali alla moda aperti 24 ore su 24 e dei night senza limiti che celebrano il gusto dell’eccesso. Il domani non esiste, occorre bruciare tutto e subito, senza risparmiare anche i pochi rubli del proprio salario (un prof universitario guadagna poco più di 100 dollari al mese) perché Mosca è una città che corre senza sapere dove, “in bilico tra la fine della Russia e l’inizio del mondo”, come dicono in tanti drogati da un progresso senza ricchezza che può essere anche la sua rovina. Come un bicchiere di vodka bevuta d’un sorso e scaraventato a frantumarsi sul selciato, quasi a cancellare quell’attimo di piacere rubato.
La Gazzetta del Mezzogiorno - 25.8.2005