"Ora per andare a pescare dobbiamo mettere l'elmetto; prima il pericolo poteva venire dal mare, ma era un rischio calcolato e accettato, oggi il pericolo viene anche dal cielo". Tonino è un pescatore "in disarmo", com'egli stesso si definisce. "Tutta colpa di una brutta artrosi, che mi ha costretto a terra. Ma di questi tempi, forse è meglio".
E mentre parliamo, sulla banchina S. Domenico di Molfetta, il cielo è squarciato dal rombo degli Apache, i temibili elicotteri da combattimento americani, che puntano su Brindisi, in attesa di essere impiegati nel Kosovo.
"Come si fa a pescare con quegli uccellacci sulla testa. Ormai l'Adriatico è un mare di guerra. E noi abbiamo paura".
Anche la pesca soffre per la guerra in Kosovo e dopo un primo generico timore, oggi siamo già all'allarme. A lanciarlo sono le maggiori organizzazioni di categoria dalla Federpesca, alla Lega, alla Federcopesca. Tutto è cominciato con un dispaccio dei comandi militari Nato che hanno "segnalato" la pericolosità della navigazione nella zona di mare a 65 miglia a partire dal limite delle acque territoriali montenegrine.
"Se alle 65 miglia "sconsigliate" dalla Nato, aggiungiamo le 14 delle acque territoriali jugoslave, arriviamo a quasi 80 miglia di mare interdetto ai nostri pescherecci - dice Cosimo Farinola, direttore dell'Associazione degli armatori di Molfetta -. In queste condizioni pescare qualcosa è quasi impossibile. C'è, inoltre, un altro elemento in più da considerare: il nostro mare è già povero, entro le 6 miglia dalla costa non si deve pescare, perché è la fascia della riproduzione, così tutto si concentra in un'area limitata, dove alla fine rischiamo di farci la guerra tra noi. Una guerra tra poveri".
E dalla zona di guerra scappano tutti: "mi sono allontanato subito - ci dice Michele, capitano di un peschereccio molfettese, che abbiamo raggiunto col telefonino al largo del Montenegro - non voglio rischiare la pelle e quella dei miei compagni. La guerra a volte ci appariva lontana, ma ora sembra che dal Montenegro si siano levati lampi di fuoco. Non siamo totalmente sicuri. E' difficile distinguere distintamente. Vediamo solo passare sulle nostre teste aerei ed elicotteri, oltre alle navi militari (che hanno preso il posto degli scafi dei contrabbandieri scomparsi: neanche loro vogliono rischiare) e questo è già sufficiente a crearci uno stato ansioso. Il mio mestiere è quello del pescatore non del soldato, meglio allontanarsi. Avremo le reti quasi vuote, ma torneremo a casa sicuri: chi ci garantisce di non venire colpiti per errore? La tragedia del peschereccio "Francesco Padre" saltato in aria e quelli del "Sirio", nelle cui reti si impigliò un sommergibile, che stava trascinandolo nel fondo, ci ha insegnato qualcosa".
Per la crisi dei Balcani l'attività di pesca in Adriatico ha già subito una riduzione del 30 per cento. "Oltre al danno economico, quantificabile in circa 10-15 miliardi al mese, abbiamo problemi legati alla sicurezza - dice Nunzio Stoppiello di Manfredonia, vice presidente della Federcopesca - perché nella stessa fascia di mare transitabile c'è un traffico incredibile, che comprende oltre ai pescherecci anche le navi mercantili, costrette a lasciare le loro rotte tradizionali, per cui esiste sempre un rischio di collisione. Due se ne sono già verificate, coinvolgendo pescherecci di Molfetta e Manfredonia con navi mercantili. Per fortuna le barche dei pescatori non sono colate a picco, ma hanno ricevuto grossi danni. Finora nessuno ci è venuto incontro. Meno che mai la Regione Puglia, sempre assente sul fronte della pesca e latitante in questo periodo".
"L'Adriatico è ormai un mare blindato, lavoriamo tra contrabbandieri, bombe, traffico di armi e droga, ora ci si mette pure la guerra ed è la fine - esclama Rodolfo Maccarelli di Mola di Bari, coordinatore regionale della Lega Pesca - non si può pescare in queste condizioni. La sicurezza è sempre a rischio. In questo periodo, inoltre, i militari hanno interdetto l'utilizzo degli strumenti tecnici e quindi tutti i pescatori in Adriatico devono fare a meno degli strumenti di bordo. Chiediamo che le armi tacciano. E poi che venga dichiarata una specie di calamità naturale per la pesca, anticipando e allungando il periodo del fermo di pesca, dietro la garanzia di ammortizzatori sociali".
E, sempre in tema di danni economici, a rimetterci saranno anche i consumatori, i quali, con la scarsità di prodotto, vedranno aumentare i prezzi, già elevati, del pesce.
Ma c'è un rischio ancor più grande, che viene quasi sussurrato dalla categoria: la possibile decisione da parte di Milosevic, di allargare unilateralmente le acque territoriali del suo Paese fino a 75 miglia dalla costa. Lo ha già minacciato in passato e sembra che stia utilizzando, tra le altre, anche quest'arma di ricatto nei confronti dell'Italia e quindi della Nato. Purtroppo questa possibilità sarebbe del tutto lecita, perché garantita da una convenzione internazionale delle Nazioni Unite sottoscritta a Montego Bay il 10 dicembre 1982, ratificata a New York il 29 luglio del 1994 e approvata dal governo Berlusconi il 2 dicembre dello stesso anno.
"Se Milosevic scegliesse questa strada - afferma Farinola - per la pesca del Basso Adriatico sarebbe la fine, altro che missili, dovremmo cambiare mestiere. Questa è la vera bomba che potrebbe affondarci".
La Gazzetta del Mezzogiorno - 4.6.2001
Felice de Sanctis - La Gazzetta del Mezzogiorno