di Felice de Sanctis
E arrivò il giorno dei tassi. Atteso, sollecitato da Confindustria e Sindacati (per una volta d’accordo), il calo del tasso di sconto, era stato perfino annunciato insieme con la manovra e poi smentito. Ora, con questa prima operazione «robusta» per ridurre il debito pubblico, si punta anche a combattere la recessione, dando fiducia al mercato. Il tasso di sconto, infatti, è il tasso di interesse al quale la Banca d’Italia effettua prestiti al sistema bancario. Questo a sua volta si adegua, riducendo successivamente il costo del denaro alla propria clientela. Già ieri il Banco di Napoli aveva colto questa tendenza del mercato, riducendo di mezzo punto i tassi passivi.
A beneficiare del calo del tasso di sconto saranno sia le imprese, sia lo Stato. Le prime, infatti, potranno ottenere prestiti a costi più bassi e aumentare gli investimenti. (Un altro vantaggio lo riceveranno le esportazioni che diventeranno più concorrenziali). Lo Stato, invece, potrà pagare interessi più bassi sui titoli pubblici e risparmierà circa 7mila miliardi, che andranno ad aggiungersi a quelli che «entreranno» con la manovra economica.
La Banca d’Italia, perciò, ha fatto un’apertura di credito al Governo, giudicando adeguate le misure adottate per ridurre il deficit. Lo stesso ministro del Tesoro, Carli (foto), qualche giorno fa, aveva condizionato l’eventuale calo dei tassi ad una manovra efficace. L’intervento di Carli, inoltre, se da un lato è da considerare «eccezionale» per i rischi di inflazione che può comportare, dall’ altro era obbligato di fronte ad un generale calo registrato sui mercati monetari. In particolare, una tendenza complessiva alla riduzione manifestatasi in tutto il mondo industrializzato, Germania esclusa, e i ridotti rendimenti dei titoli di Stato italiani.
Quella di ieri è stata anche una mossa «politica», per accontentare gli industria li, penalizzati in seguito all’aumento dello 0,25 per cento delle contribuzioni per i lavoratori dipendenti, e «strategica» per avvicinare l’Italia alla media degli altri Paesi europei. Il momento è stato anche propizio, perchè lo Stato, a fine maggio, con le dichiarazioni dei redditi incasserà 10mila miliardi, e quindi potrà evitare possibili contraccolpi economici.
Quali i rischi del calo dei tassi? Il principale è l’aumento dell’inflazione: denaro meno caro significa maggiore propensione ai consumi. Poi ci può essere una ripercussione sul cambio della lira, oggi legato ai tassi di interesse, quindi un pericolo di svalutazione. La nostra moneta si indebolirebbe nei confronti del dollaro, rendendo più care le importazioni, soprattutto di petrolio. Tale rincaro finirebbe per scaricarsi anch’esso sull’inflazione.
L’altro timore è legato ad una possibile «fuga» di investitori esteri e di capitali dall’Italia e quindi ad una riduzione di liquidità per il Tesoro. Si tratta, però, di un timore infondato: il divario fra i nostri tassi e gli altri resta elevato (Usa 5,5%. Giappone 6%, Germania 6,5%, Francia 9,5%). Oggi la decisione di Carli affronterà la prova dei mercati: sarà la Borsa a dare il primo verdetto sull’efficacia del provvedimento.
La Gazzetta del Mezzogiorno - 1ª pagina - 13.5.1991
Felice de Sanctis