Un uomo chiamato cavallo
Un molfettese di 29 anni in sella per 99 giorni dal Messico al Canada, attraverso gli Stati Uniti. Un’impresa con tanti momenti esaltanti, tanti di pericolo, tanti di sconforto. Perché l’ha fatto? Portava un messaggio
02/07/1984 09:13:00
Il cavaliere solitario è tornato a casa, dopo un'impresa unica nel suo genere, con un messaggio che ha ripetuto a centinaia di giovani, e la felicità nel cuore. Gregorio Minervini, 29 anni, di Molfetta, ha compiuto felicemente la sua traversata a cavallo dal Messico al Canada attraversando gli Stati Uniti. Alto, magro, un viso dal tratto duro del cowboy del vecchio West che nasconde un animo nobile e altruista, che lo ha spinto ad affrontare mille difficoltà per dimostrare ai giovani che si può essere felici anche andando a cavallo, senza rifugiarsi nella droga e nell’alcool. Da Nogales nel Messico, attraversando Arizona, California, Nevada ed Oregon per giungere a Seattle nello Stato di Washington quindi al Canada: 99 giorni di cammino, oltre 4mila chilometri ad una media record di 40 hm al giorno sempre a cavallo, non è un’impresa facile. Eppure Gregorio ci ha creduto fin dal primo momento (ha seguito il suo istinto). «Ti è assolutamente impossibile pensare con logica, in questi casi - dice Gregorio - altrimenti ti fai prendere dalla disperazione e torni indietro abbandonando ogni cosa». Ma non hai mai avuto la tentazione di farlo? «Solo per pochi secondi, in un attimo di stanchezza: dopo aver cavalcato per dieci ore al giorno, poi montato la tenda, cucinato e trovato cibo per i cavalli, ti vien voglia di mollare tutto. Ma la mia volontà di andare avanti è stata più forte». Ma chi è questo giovane cow-boy? Di Gregorio Minervini abbiamo già parlato alla vigilia del viaggio. A 16 anni abbandona gli studi liceali, con grande disappunto del padre, un noto farmacista di Molfetta, e decide che la sua vita sarà dedicata ai cavalli. Comincia a lavorare in un maneggio nei pressi di Bari: pulisce selle, porta da mangiare alle bestie, le prepara per i vari cavalieri, e così inizia un rapporto stretto con gli animali dei quali impara a conoscere il linguaggio e a capire ogni gesto. Per saperne di più va a Roma, dove un famoso domatore gli insegna alcuni segreti del mestiere e quindi parte per il Canada, imparando qualcosa sui cavalli da sella, per fermarsi poi nella patria dei cow-boy, il Texas, dove, lavorando in un rodeo, perfeziona la sua tecnica e diventa un serio professionista: un domatore di cavalli. Poi torna a Molfetta e trova lavoro in un maneggio nei pressi di Carbonara. Nasce così un addestratore di cavalli fra i più quotati del Sud, con buona pace del padre che avrebbe voluto vederlo farmacista. Convinto delle sue scelte, Gregorio coltiva giorno dopo giorno il suo progetto di «traversata» solitaria a cavallo degli Stati Uniti, per mettere alla prova le sue capacità e per lanciare il suo messaggio ai giovani che si sentono sconfitti e non credono più nei valori della vita e della natura. Ad incoraggiarlo è solo una ragazza, Guidetta Orlando di Firenze, che crede in lui e malgrado l’ostilità della famiglia gli promette di raggiungerlo negli Stati Uniti a metà del percorso per portargli denaro e proseguire insieme il viaggio. Questa ipotesi, poi, non si verificherà, perchè la famiglia benestante della ragazza avrà il sopravvento. Gregorio non si perderà d’animo e proseguirà per la sua strada. Dopo 13 anni di vita avventurosa e di immensi sacrifici, senza l’aiuto di nessuno, senza farsi sponsorizzare («non vado alla ricerca di pubblicità») Gregorio parte per gli Stati Uniti, compra un cavallo in Arizona e si mette in marcia. Attraversa città, campagne e deserti e alla gente che incontra parla di questo suo messaggio. La cosa non passa inosservata e i mass media americani lo intervistano, lo seguono nel viaggio, e anche la televisione gli offre spazio per parlare al giovani contro la droga e l'alcool. Come sei stato accolto dalla gente? Quali reazioni hanno avuto i giovani? Come cercavi di parlare loro? «Dopo la prima apparizione televisiva la cosa si è ingrandita, mi hanno invitato a parlare anche in alcuni riformatori e la gente poi mi riconosceva e mi salutava per strada. C’è stato perfino chi ha fatto 40miglia per venire a stringermi la mano. Oltre 40 giornali hanno parlato di me. Ai giovani dicevo semplicemente: non sono pagato da nessuno, non porto alcuna divisa, non sono un poliziotto, né un genitore, né un insegnante, né un esperto in droga, per questo dovete credermi quando vi dico che la droga e l’alcool uccidono e che ci sono altri rimedi contro le insoddisfazioni della vita. E loro mi hanno ascoltato: nel riformatorio ho parlato per oltre tre ore con 35 ragazzi dai 15 ai 19 anni e leggevo nei loro occhi che credevano alle mie parole, perché io ero vero, non mentivo, non esercitavo nessun ruolo». Quali difficoltà hai incontrato? «Trovare acqua e cibo per il cavallo non è sempre stato facile, mi sono fatto guidare dall’istinto. Qualche volta ho dovuto girare per oltre 8 miglia per trovare dell'avena (dopo un certo percorso, ho acquistato un altro cavallo e poi l'ho rivenduto, terminando il viaggio con uno solo). Altre volte sono rimasto senza mangiare. Ad un terzo del viaggio mi sono ritrovato con sole 400 lire in tasca, perché aspettavo la mia ragazza, che però non è venuta. Nel frattempo il buco nella pancia aveva toccato quasi la spina dorsale, mentre dovevo dare da mangiare due volte al giorno ai cavalli e ogni 10 giorni cambiare i ferri, con una spesa di circa 60 dollari per il maniscalco. Ma era una cosa necessaria se volevo continuare a percorrere 250 miglia quotidiane. Non ho mai chiesto niente a nessuno, ma la gente spesso mi ha dato una mano e talvolta ho avuto l'impressione che ci fosse lassù qualcuno a darmi un’occhiata». Hai mai avuto paura? «Una volta, in una riserva indiana. Avevo alla mia sinistra l’infinito, potevo guardare l’orizzonte per 20-30 km senza vedere nessuno e alla mia destra, a poca distanza dalla mia tenda, c’erano degli indiani ubriachi, che mi hanno fatto stare sempre con un occhio aperto e una mano al fucile per tutta la notte. Mi hanno aiutato i cavalli, ormai conoscevo ogni loro gesto, ogni loro movimento voleva dire qualcosa per me, anche essi mi son venuti incontro ed io ho imparato a conoscerli meglio». «Altre due volte - continua Gregorio - mi è capitato di dovermi sotterrare sotto la sabbia per evitare una tempesta di vento. Ho messo una sella da un lato e una dall’altro per ripararmi il volto e sono rimasto così tutta la notte. Anche in quel caso mi ha aiutato l'istinto e al mattino ho avuto anche la fortuna di ritrovare il cavallo, che era rimasto lì ad aspettarmi, affrontando la tempesta legato ad un piccolo cespuglio». E la paura psicologica? «Mi sentivo forte. Fin dall'inizio sapevo che con un viaggio del genere o diventi pazzo oppure più maturo di quello che sei». Sei soddisfatto? Cosa ti è rimasto dentro? «Sono pienamente soddisfatto, alla sera a lume di candela ho scritto un diario in cui ho riportato le mie impressioni. Non potrò dimenticare i bambini che mi guardavano con occhi felici e mi stringevano la mano, che volevano accarezzare il cavallo e conoscere la mia storia. E poi quella donna che mi ha chiamato per nome vicino ad un semaforo e mi ha offerto cinque dollari perché avevo aiutato suo figlio parlando alla tv, e quei cinque ragazzi che hanno rinunciato alla droga, per me sono già un motivo di grande soddisfazione. Non si vive di solo denaro». Ora che farai? «Tornerò ad allenare cavalli. A Carbonara mi attendono 12 stalloni arabi venuti dalla Russia che dovrei addestrare per poi acquistarne uno e realizzare un mio numero che porterò in giro per l’Italia. Ma questo mio lavoro ha un futuro e mi permetterà di guadagnarmi da vivere dignitosamente. Ora lo credono anche i miei genitori». La Gazzetta del Mezzogiorno - cultura - 2.7.1984
Felice de Sanctis
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